Sindrome coronarica cronica: che cosa è cambiato nella diagnostica non invasiva

di Martina Milani
Il ruolo di test da sforzo, TC coronarica e stress imaging nel paziente con sindrome coronarica cronica.

Qual è il ruolo del test ergometrico oggi? Se ancora ne ha uno, dopo che la sua classe di raccomandazione, nelle ultime linee guida ESC del 2019, è scesa da I a IIb. L’ECG da sforzo ha infatti mostrato scarsa sensibilità ed è stato superato da altre metodiche non invasive che trovano indicazione soprattutto nel paziente con probabilità pre-test di malattia intermedia 5-15%.
Questa è la premessa, nel forum moderato dai Dottori Mario Chiatto e Francesco Bartolomucci, della relazione del Dottor Nicola Cosentino.

La “seconda vita” del test da sforzo, prosegue il relatore, potrebbe essere la valutazione prognostica del paziente con sospetta cardiopatia ischemica, per decidere se candidarlo a rivascolarizzazione. In questo caso non ci si deve limitare alla valutazione delle alterazioni ECG, ma vanno considerati anche la capacità di esercizio, l’andamento della pressione e della frequenza, la presenza di aritmie e la fase di recupero.

Il ruolo dell’ECG nel follow-up è stato molto ridimensionato, dal momento che le linee guida non pongono indicazione a ripetere il test di ischemia a meno che non cambi lo stato clinico. Infine, nello screening degli asintomatici non ha indicazione, se non negli adulti sedentari che vogliono intraprendere attività fisica intensa, che svolgono attività lavorative specifiche e nei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare.

Di TC coronarica si è occupato il Dottor Carlo Tedeschi. Essa è la più recente innovazione nell’imaging non invasivo nell’ambito delle sindromi coronariche croniche.  Si tratta dell’unica tecnica anatomica non invasiva che consente la visualizzazione diretta dell’anatomia coronarica, con l’identificazione di una placca, la quantificazione del grado di stenosi  e la caratterizzazione della sua composizione qualitativa.

Questo esame ha un elevatissimo valore predittivo negativo e consente di stratificare i pazienti a rischio cardiovascolare basso (coronarie completamente sane), intermedio (stenosi inferiori al 50%), e alto (coronaropatia ostruttiva).

Nelle linee guida ESC del 2019 la cardioTC è la grande protagonista, assumendo un ruolo di importanza fondamentale nel paziente sintomatico con probabilità bassa o intermedio bassa di malattia. Valore aggiunto è la possibilità di studiare la composizione della placca (instabile se ipodensa e poco calcifica).

Infine, il Dottor Stefano Leuzzi si è occupato di stress imaging che, nel work up diagnostico della cardiopatia ischemica cronica, ha sempre più rilevanza, consentendo di identificare l’ischemia miocardica inducibile. Tecniche diverse indagano step successivi della cascata ischemica: la risonanza magnetica di perfusione valuta il flusso ematico, la scintigrafia il metabolismo del tessuto e l’ecostress la cinesi regionale. La risonanza magnetica ha destato sempre più interesse negli ultimi anni, in particolare quella di perfusione miocardica (con utilizzo di adenosina, dipiridamolo e regadenoson, basati sul meccanismo del furto coronarico). Nelle sequenze T1 pesate si acquisiscono sezioni asse corto a livello basale, medio e apicale (per mantenere la suddivisione in 16 segmenti mutuata dall’ecocardiografia), durante ogni battito cardiaco dopo la somministrazione di gadolinio. La presenza di 3 segmenti ipoperfusi fa porre indicazione a rivascolarizzazione.

La risonanza è risultata molto utile anche nell’angina microvascolare, (assenza di regionalità, ma ipoperfusione diffusa negli strati endocardico e intramiocardico) e nella predizione della sopravvivenza nei pazienti con FE ridotta. Lato negativo è il costo elevato; tuttavia, essendo spesso conclusiva, in definitiva potrebbe risultare costo efficace.

Martina Milani