SIMPOSIO TRAPIANTO CARDIACO – UPDATE 2023

di Francesco Lisi

Inaugurato il 54°Congresso Nazionale ANMCO, venerdì mattina nella Sala Anfiteatro si parte subito nel vivo della discussione con un tema di grande dibattito. Con la mediazione del Dott. Marco Corda e Andrea Montalto si è parlato di Trapianto Cardiaco.

Nella prima relazione della Dott.ssa Simona Leone, è stata sviscerata quale deve essere l’organizzazione della rete dello scompenso cardiaco in maniera da avviare il paziente con scompenso cardiaco in un centro deputato al trapianto cardiaco con il giusto timing.

I dati mostrati dalla dottoressa dimostrano come le terapie moderne e l’impianto di device hanno ridotto la mortalità dei pazienti con scompenso cardiaco. Si è visto che il 10% dei pazienti progrediscono verso la forma avanzata ed in 3 anni il 70% dei pazienti è colpito da progressione di malattia tanto da necessitare della valutazione di una terapia di supporto o trapianto cardiaco. Definire l’insufficienza cardiaca avanzata è già una sfida. Sono stati introdotti tanti score ed acronimi (come “l NEED HELP”) che aiutano il clinico a identificare il livello avanzato dello scompenso cardiaco, utilizzando il riconoscimento sia di trigger clinici (numero di ospedalizzazioni, ridotta capacità funzionale) che trigger biochimici (es. aumento dell’NTproBNP) ed ecocardiografici (riduzione della frazione d’eiezione, aumento dell’insufficienza mitralica e tricuspidale). La relazione ha poi ricordato l’importante inquadramento dei pazienti all’interno dei profili INTERMACS che sono fondamentali per stabilire i tempi necessari per fornire supporto terapeutico al paziente. Infine, la Dott.ssa Leone ha ricordato, facendo riferimento all’ultimo Documento di Consenso dell’ANMCO sul tema, che è fondamentale nell’organizzazione della rete dello scompenso, formata da centri Hub e centri Spoke, la bidirezionalità. La centralità resta sempre presso l’ambulatorio dello scompenso per dettare tempi e percorsi diagnostici-terapeutici.

In seconda battuta la parola è passata al Prof. Francesco Musumeci che nella sua relazione si è soffermato sulla necessità di avere dei protocolli nazionali omogenei per identificare i pazienti idonei al trapianto. Partendo dal dato oggettivo del progressivo incremento negli ultimi due anni dei trapianti cardiaci, che hanno visto risultati eccellenti in Italia soprattutto in termini di sopravvivenza (a 5 anni il 72% dei pazienti ed a 10 anni del 61%), risulta evidente che per far decollare il programma trapianti di cuore risulta centrale il problema della donazione. Oggi ci sono 1.042 pazienti in attesa di lista e con una mortalità che si attesta al 7% durante l’attesa. Se si considera che il trapianto è il gold standard per il paziente con insufficienza cardiaca avanzata che non risponde alle terapie convenzionali, bisogna cercare soluzioni per superare queste criticità. La relazione ha poi ricordato i criteri di inserimento in lista d’attesa secondo 3 categorie d’urgenza: STANDARD riservata ai pazienti che sono in attesa di trapianto e che può essere a domicilio con terapia ottimizzata al massimo ma fortemente limitato nelle attività quotidiane (sostanzialmente i pazienti del profilo INTERMACS 3-4); URGENZA 2 di MACROAREA (che sono pazienti dal profilo INTERMACS 2); UREGENZA 1 (paziente dal profilo INTERMACS 1).

La parola è passata infine al Prof. Aldo Domenico Milano, che ha fornito una fotografia di quelli che sono i dati sul trapianto cardiaco in Italia con uno sguardo anche alle prospettive future. La brillante relazione ha portato in rassegna i dati del Report del Centro Nazionali Trapianti dal 2000. Sono 5.500 pazienti circa che sono stati trapiantati e seguiti per 6-7 anni. Il 75% dei trapianti è stato eseguito nella macro area nord. Ci sono regioni che vedono un alto tasso di migrazione di pazienti che giungono dal sud al nord. Dal 2000 al 2022 ci sono stati aumenti del 3,7% delle donazioni ed il numero di trapianti è salito del 2,5%. Di circa 1.000 pazienti che sono in lista solo 250 vengono trapiantati; pertanto, anche il Prof. Milano ha ricalcato che la problematica dell’accumulo dei pazienti in lista è centrale alla luce sia dell’alto tasso di mortalità durante l’attesa del trapianto e del tempo medio di attesa che si attesta al 3,7%. Con l’analisi critica dei dati si è anche visto che il programma non soddisfa le attese ed è tutto dettato da una scarsa politica sulle donazioni che vede ancora alcune regioni con alto tasso di opposizione alla donazione. Da qui lo sguardo al futuro con la possibilità di aumentare il pool dei donatori utilizzando per esempio i così detti donatori marginali e migliorando la qualità degli organi donati. Infine, ha commentato anche una prospettiva che è divenuta realtà in Italia solo qualche giorno fa: prelievo d’organo da donatore con morte cardiaca controllata. Questa tecnica è già utilizzata da alcuni anni e che per la prima volta è stata eseguita alcuni anni fa in Australia. A Padova l’11 maggio 2023 è stato eseguito il primo trapianto con tale tipo di donazione in Italia. I dati internazionali di confronto della sopravvivenza sono sovrapponibili alle metodiche definite convenzionali, pertanto può essere ritenuta una strada percorribile.

L’ultima relazione del Prof. Enrico Amati si è occupata della gestione del follow-up a lungo termine dei cardio-trapiantati. Considerando che allo stato attuale si ha una mediana di sopravvivenza superiore ai 12 anni, per migliorare il follow-up dobbiamo capire le cause specifiche di morte post trapianto. Nel primo periodo abbiamo una mortalità per cause diverse rispetto al lungo periodo. Mentre nella prima fase si può avere più facilmente un fallimento per insufficienza acuta del graft (40%), complicanze post-chirurgiche (7%) oppure multi-organ faliure (14%); le infezioni sono causa di fallimento in tutte le fasi del follow-up ma soprattutto in una fase intermedia. Dopo un anno di follow-up le cause di morte sono principalmente di natura coronarica sull’organo trapiantato (10.15%), di rigetto acuto cellulare del trapianto frutto di una inadeguata sorveglianza della terapia immunosoppressiva e l’insorgenza di neoplasie (19%). Dopo i primi dieci anni importante è cercare di evitare l’insorgenza della malattia renale cronica. Molto dipende sicuramente dalle caratteristiche del donatore, ma importante è anche l’utilizzo di protocolli che vadano a stabilire quali e quando eseguire controlli POST-trapianto (biopsia miocardica, coronarografia, RMN, prelievi ematici, ECG, ecocardiogramma e controllo per l’insorgenza di neoplasie solide).

Francesco Lisi
Francesco Lisi