Il primo intervento è della Dottoressa Sciortino che parla di sindrome di Tako-Tsubo, una patologia che mima la sindrome coronarica acuta, ma che se ne discosta sia da un punto di vista prognostico che di gestione clinica e terapeutica.
La Tako-Tsubo è una sindrome che colpisce prevalentemente pazienti di sesso femminile ed è caratterizzata da caratteristiche quali l’apical balooning, disfunzione sistolica più o meno marcata, coronarie epicardiche indenni da stenosi critiche (anche se esistono casi di overlap) e altre alterazioni che risultano tuttavia essere transitorie, con regressione nell’arco di 4-8 settimane. Lo score interTAK è uno strumento che ci permette di individuare con una buona specificità il paziente affetto da Tako-Tsubo, ma che da solo non è sufficiente a porre diagnosi. Strumento utile oltre la coronarografia che è necessaria ad escludere la SCA è la risonanza magnetica che generalmente documenta edema a livello dei segmenti acinetici ed assenza di LGE a differenza di ciò che avviene nella cardiopatia ischemica e nelle miocarditi. La terapia si basa principalmente sull’utilizzo di beta-bloccanti ed ace-inibitori. Particolare attenzione va posta nel paziente con ostruzione dinamica al tratto d’efflusso e nel paziente in bassa portata. In quest’ultimo caso l’inotropo di scelta è il levosimendan in quando esente da attività catecolaminergica.
Il secondo intervento è del Dottor Russo che discute di MINOCA e INOCA. Sottolinea come la diagnosi di queste condizioni sia una working diagnosis e che per porre una diagnosi definitiva è necessaria una valutazione multiparametrica.
La diagnosi del MINOCA non può prescindere dalla coronarografia con l’utilizzo di tecniche di imaging intracoronarico per identificare l’eventuale presenza di dissezione coronarica spontanea o complicanza di placca (che per definizione è di entità non critica). Utile è poi lo studio del microcircolo e l’esecuzione della risonanza magnetica.
L’INOCA si identifica come una sindrome coronarica cronica in paziente con coronarie epicardiche indenni da stenosi critiche. Cruciale in questo caso è lo studio della fisiologia coronarica, attraverso il test con adenosina e il test con acetilcolina. In caso di valori di CFR < 2 ed IMR >= 25 si può porre diagnosi di disfunzione del microcircolo. In questo caso il paziente con angina potrà beneficiare di terapia con beta-bloccanti con effetto vasodilatatore (nebivololo, carvedilolo). Nel caso di positività al test di vasoreattività con acetilcolina (vasocostrizione >90%) si pone diagnosi di angina vasospatica. In tal caso il paziente potrà beneficiare di una terapia con calcio antagonisti.
Il penultimo intervento è del Dottor Granatelli che approfondisce il tema della malattia del microcircolo. Una condizione che si può identificare come una patologia sistemica, in quanto spesso associata ad altre manifestazioni cliniche quali ad esempio la vasculopatia cerebrale, l’ipertensione polmonare, la retinopatia, la nefropatia e l’HFpEF. Nella diagnosi differenziale della SCA e della CCS nel caso di paziente con coronarie indenni, importante è l’esecuzione della ventricolografia, metodica sempre più in disuso, nel sospetto di Tako-Tsubo e la risonanza magnetica cardiaca. Chiude il suo intervento rimarcando l’importanza di eseguire una valutazione clinica complessiva del paziente per porre una diagnosi difficile com’è quella della malattia del microcircolo.
Chiude la sessione il Dottor Ferlini con un intervento sulla dissezione coronarica spontanea (SCAD), una condizione clinica che è quasi totalmente appannaggio del sesso femminile e che riconosce come fattore scatenante in molti casi il periodo peri-partum. Esistono altre condizioni predisponenti come la displasia fibromuscolare, le connettivopatie e le malattie infiammatorie sistemiche. La diagnosi si effettua tramite coronarografia con eventuale ausilio dell’imaging intracoronarico (IVUS, OCT) che tuttavia va utilizzato con estrema cautela. La TC coronarica purtroppo non è in grado di escludere la SCAD per limitazioni tecniche. Dal punto di vista terapeutico possiamo adottare una strategia conservativa in caso di paziente stabile e con flusso distale conservato, tenendo in considerazione che spesso la SCAD regredisce spontaneamente. Qualora non vi fossero le suddette condizioni si può effettuare un’angioplastica percutanea con apposizione di stent oppure una rivascolarizzazione chirurgica. La terapia medica è un discorso complesso in quanto non esiste evidenza se non per la terapia beta-bloccante che si è rivelata essere efficace nella riduzione delle recidive. La pratica clinica abituale è quella di dimettere il paziente in aspirina, betabloccante e statina, così come avviene nel paziente con patologia aterosclerotica coronarica.
