Dulcis in fundo di questa seconda giornata di lavori è stato il brillante simposio sulle pericarditi svoltosi nella gremita Sala del Lavatoio. Ad aprire i lavori è stato il Dottor Scicchitano, con un’interessante introduzione al tema. Pur essendo una delle patologie meno considerate tra le malattie cardiovascolari, la pericardite acuta ha un impatto rilevante sulla spesa sanitaria e sull’attività clinica dei nostri reparti di cardiologia.
Nel corso degli anni sono state elaborate diverse linee guida per la gestione clinico-terapeutica di questi pazienti, tuttavia la loro efficacia risulta spesso limitata dall’incapacità di determinare le cause alla base dell’evento acuto; infatti, l’80-90% delle forme di pericardite acuta risultano essere idiopatiche.
Per quanto riguarda la terapia, le linee guida europee suggeriscono un approccio staged, che prevede come prima linea di trattamento l’associazione di FANS e colchicina a basso dosaggio. I primi agiscono sul controllo del processo infiammatorio e sulla riduzione dei sintomi, alleviando il dolore toracico. La seconda, invece, è efficace solo sulla flogosi e non ha nessun effetto antalgico. Tale farmaco è comunque considerato il secondo cardine della terapia della pericardite acuta, in quanto il suo utilizzo contribuisce a ridurre il rischio di recidiva. È stato inoltre ricordato come lo steroide sia da considerarsi solo una terapia di seconda linea, in quanto non esistono studi solidi che ne dimostrino l’efficacia in questa patologia. Addirittura, sembra incrementare il rischio di cronicizzazione della malattia quando introdotto in terapia prima della colchicina. Durante la presentazione, sono stati individuati cinque casi in cui è indicato l’utilizzo dello steroide:
- la presenza di controindicazioni alla terapia con FANS;
- nelle forme ricorrenti in cui FANS e colchicina non sono efficaci;
- nelle forme autoinfiammatorie;
- nelle forme post-cardiotomiche;
- in caso di possibile interazione farmacologica con FANS.
Riguardo alla durata della terapia, è stato sottolineato come la letteratura sia poco dirimente a riguardo e come sia ragionevole proseguirla fino a completa negativizzazione degli indici di flogosi e regressione dei sintomi. Fondamentale è inoltre evitare l’interruzione brusca dei farmaci, che al contrario vanno lentamente scalati per evitare una recrudescenza della sintomatologia.
Il cuore del simposio è stato dedicato alla gestione diagnostico-terapeutica dei versamenti pericardici idiopatici, brillantemente illustrata dal professor Brucato. In particolare, è stato sottolineato come in molti casi il versamento pericardico non sia correlato alla presenza di pericardite, ma costituisca un’entità clinica a sé stante. Fondamentale per la corretta gestione clinica è ricercare, quando identificabile, una causa sottostante. A questo proposito, il professor Brucato ha illustrato come la TC torace sia l’esame principale per la diagnosi eziologica, mentre la pericardiocentesi si rivela utile a questo scopo solo in una percentuale esigua di casi. I criteri di Light, infatti, non sono applicabili ai versamenti pericardici, a causa degli elevati livelli di LDH e proteine, e l’analisi citologica ha una bassa sensibilità nell’identificare i versamenti di natura neoplastica. Infine, va considerato che fino al 16% dei casi la pericardiocentesi si complica con una pericardite acuta, mentre i versamenti idiopatici, anche importanti, senza segni di tamponamento, nel lungo termine hanno una prognosi favorevole e un basso tasso di complicanze. Secondo il prof. Brucato, la strategia migliore in questi pazienti è il trattamento conservativo, riservando la pericardiocentesi solo ai versamenti sintomatici che impattano sull’emodinamica.
Il Dottor Imazio ha concluso il simposio affrontando il tema delle pericarditi ricorrenti. Queste si verificano quando un paziente sperimenta un episodio di pericardite acuta, seguito da una remissione completa (assenza di sintomi e normalizzazione dei parametri infiammatori) per almeno 4-6 settimane, dopodiché si presenta un nuovo episodio di pericardite. Questa condizione implica che ci sono intervalli di tempo durante i quali il paziente non presenta segni o sintomi della malattia. Va distinta dalle forme incessanti, che si manifestano quando i sintomi della pericardite persistono, senza una remissione completa, per più di sei settimane ma meno di tre mesi, oppure quando c’è una remissione solo parziale. Queste distinzioni sono cruciali per la gestione clinica e la scelta del trattamento appropriato per i pazienti affetti da pericardite, in quanto solo le forme incessanti possono evolvere nelle temute forme costrittive.
I cardini della terapia delle forme ricorrenti sono gli stessi delle forme acute, con l’aggiunta di farmaci di seconda linea quali l’anakinra, rimborsato in Italia in caso di pericardite idiopatica ricorrente, dipendente dallo steroide e resistente alla colchicina. Va ricordato infine che l’effetto terapeutico dei FANS non va oltre le 8 ore, di conseguenza, anche durante il tapering della terapia, è importante mantenere le tre somministrazioni giornaliere, in modo da non lasciare il paziente scoperto dalla terapia
