Non più solo frazione di eiezione in 2D!
Cosa il cardiologo di domani deve sapere sull’imaging per orientarsi nella valutazione “integrata”
Ieri in Sala Masoni, una platea non molto numerosa, ma sicuramente attenta e interessata, ha assistito a quattro originali ed esaustive relazioni sul corretto utilizzo e l’adeguata interpretazione delle indagini strumentali più innovative e tecnologicamente avanzate che oggi possiamo applicare in ambito cardiologico. Ha aperto il simposio la Dott.ssa Alessandra Sabini, dell’Ospedale di Arezzo, che ha messo in evidenza l’importanza dell’imaging, quello invasivo, nel trattamento e nell’outcome del paziente con arresto cardiaco (ACR) extraospedaliero. In particolare, nell’ambito della post-resuscitation care, la precocità dell’angiografia coronarica in combinazione alla PCI, e all’ipotermia terapeutica, ha mostrato risultati incoraggianti in questo setting clinico ed è diventata oramai una linea comportamentale condivisa nei pazienti con dimostrazione di sopralivellamento del tratto ST all’ECG post-ROSC. E per i pazienti che nel tracciato elettrocardiografico dopo ripristino del circolo non presentano sopralivellamento del tratto ST? In questo ambito, le certezze sono forse meno salde, ma anche alla luce dell’algoritmo, recentemente proposto da Armellini e colleghi, il messaggio è abbastanza chiaro: l’ECG non è uno strumento sufficientemente affidabile per la diagnosi di ischemia come causa di ACR!
A seguire nella scaletta, il gruppo dell’Ospedale di Torino ha proposto un accuratissimo ventaglio di indagini strumentali utili per la stratificazione aritmica del paziente con sindrome coronarica acuta. La ormai celebre e attempata signora frazione d’eiezione, per quanto ancora caposaldo delle nostre giornaliere valutazioni cardiologiche, è diventata sicuramente riduttiva e parziale e va integrata con altri più approfonditi parametri quantitativamente definibili. Si fanno avanti allora la sorella minore FE 3D, i cui volumi sebbene sottostimati rispetto a quelli misurati con la RMN (attuale gold standard) offrono una valutazione della performance cardiaca con accuratezza assolutamente sovrapponibile. E ancora il TDI, strumento ormai consolidato per la valutazione della dissincronia ventricolare e del più futuristico parametro di “dispersione meccanica”, teoricamente utile per identificare i pazienti con FE > 35% che potrebbero beneficiare dell’impianto di ICD; per concludere un excursus sullo strain globale longitudinale, sullo studio dell’innervazione simpatica mediante MIBG e ovviamente la cardio-RMN, che è stata la protagonista della relazione successiva. Il Dott. Vitrella, dopo una essenziale esegesi delle sequenze RMN utili in diagnostica, ha fornito una serie di illuminanti messaggi sulla corretta valutazione di questa indagine in ambito clinico, soprattutto in relazione alle cardiomiopatie… Take home message: la cardio-RMN è diventata ormai fondamentale per accuratezza diagnostica e diagnosi differenziale, ma soprattutto attraverso la valutazione quantitativa e qualitativa di una serie di elementi morfologici ci garantisce un bagaglio importante nella stratificazione prognostica (recovery di una miocardite, responsiveness all’ICD).
A concludere la panoramica sull’imaging integrato, la Dott.ssa Aldovrandi , che attraverso una ricca iconografia ha puntualizzato il ruolo delle metodiche innovative nell’inquadramento generale del paziente con cardiopatia ischemica stabile, e dal punto di vista funzionale e dal punto di vista morfologico/anatomico. In particolare, l’approccio integrato tra eco stress (consigliato il fisico), TC coronarica, TC coronarica con FFR integrata (ancora poco diffusa), SPCT e la più recente SPECT-TC, anche alla luce delle ultime linee guida ESC dell’angina stabile 2013, offre un armamentario diagnostico completo ed eclettico che ben si applica alla versatile realtà della cardiopatia ischemica cronica.