SIMPOSIO EMBOLIA POLMONARE 2024: TERAPIA E QUESTIONI IRRISOLTE

di Noemi Valenti
Gestione del paziente critico: terapia e questioni irrisolte.

Una delle ultime sessioni di questa seconda giornata di congresso è relativa ad una delle patologie più importanti che il cardiologo si trova a fronteggiare nella pratica clinica, ossia l’Embolia polmonare.

La prima relazione è quella della Dottoressa Laura Gatto, che ha trattato il tema della terapia precoce dell’embolia polmonare, ed in particolare dell’impiego di Eparina e/o terapia anticoagulante orale (DOAC).

A differenza di quanto creduto in passato, infatti, le evidenze più recenti, derivate in particolare da 4 importanti trial sull’argomento (RECOVER, EINSTEIN, AMPLIFY, HOKUSAI-VTE), vanno ad avvalorare la possibilità di impiego dei DOAC nel trattamento dell’embolia polmonare in acuto, giacché questi ultimi hanno dimostrato di essere non inferiori al warfarin in termini di recidive trombo-emboliche, a fronte però di un netto vantaggio in termini di eventi di sanguinamento. Alla luce di ciò, le ultime linee guida ESC del 2019 hanno affermato che il trattamento anticoagulante orale di scelta per l’embolia polmonare sono i DOAC.

Tuttavia, le linee guida non ci dicono quale DOAC impiegare, quando fare lo switch alla terapia orale, né come gestire i pazienti con compromissione emodinamica (che sono stati esclusi da tutti i trial sull’argomento).

Per rispondere a queste domande è necessario stratificare il rischio del paziente valutando lo score PESi, che classifica tra 4 categorie di rischio per l’embolia polmonare.

I pazienti ad alto rischio andrebbero sottoposti a trombolisi sistemica; in questi pazienti andrebbe iniziata la terapia anticoagulante parenterale, per poi switchare a quella orale cum grano salis (ossia in base al nostro giudizio clinico). Esistono alcune piccole evidenze secondo le quali i DOAC potrebbero essere impiegati anche direttamente dopo la trombolisi, in virtù del fatto che a fronte di un tasso sovrapponibile di recidive trombo-emboliche, il DOAC precoce riduce il tempo di ospedalizzazione. Ovviamente sono necessarie ulteriori evidenze per avvalorare questa tesi.

I pazienti a rischio intermedio alto sono pazienti che necessitano di essere monitorizzati, e che rischiano di essere trombolisati a distanza in caso di peggioramento emodinamico. Pertanto, in questo setting probabilmente avrebbe senso iniziare la terapia con DOAC dopo una fase di lead-in eparinico. Lo stesso discorso può essere riproposto anche per i pazienti a rischio intermedio basso.

I pazienti a rischio basso sono quelli che potrebbero essere gestiti a livello domiciliare, purché non abbiano comorbilità e siano dotati di un supporto tale da garantire la compliance alla terapia anticoagulante. Per tali pazienti si potrebbe pensare ad una strategia anticoagulante con DOAC precoce, che garantisce l’impiego di una dose fissa, con una farmacocinetica prevedibile, ha una rapida insorgenza d’azione, e quindi permette di gestire i pazienti a domicilio in maniera efficace e sicura.

Seconda interessante relazione è quella del Dottor Marco Vatrano, che ha relazionato in merito al confronto tra trombolisi e trombectomia.

L’embolia polmonare determina una ridistribuzione del circolo polmonare e sistemico, sia per l’ostruzione meccanica da parte del trombo, sia perché il trombo stesso rilascia sostanza vasoattive sfavorevoli (come istamina) e le cellule adiacenti rilasciano endotelina e trombossano. Pertanto, si instaura una importante vasocostrizione, che agisce anche a livello alveolare, con riduzione del surfactante e quindi ipossia cronica, ulteriore vasocostrizione e atelettasia. Si ha quindi una ridistribuzione del circolo, con apertura degli shunt, aumento del mismatch ventilo-perfusorio e comparsa di desaturazione. Il tutto aumenta il post-carico del ventricolo destro.

Alla fine, arriveremo allo shock ipotensivo, che talvolta può anche essere la presentazione d’esordio con morte improvvisa.

Ma come interrompere questo circolo vizioso?

La trombolisi senza dubbio rappresenta il gold standard per il trattamento dello shock ipotensivo. Sempre più evidenze sembrano avvalorare l’impiego della dose ridotta rispetto alla dose standard di trombolitico, poiché a fronte di un’efficacia confrontabile, la dose ridotta determina un vantaggio in termini di sicurezza.

Per quanto concerne la trombectomia meccanica, il suo impiego nel contesto del trattamento dello shock ipotensivo è indicato in classe IIa quando non si ottiene beneficio dopo 2-4 ore dal termine della trombolisi sistemica a dose piena o immediatamente dopo la dose ridotta, oppure nel contesto del paziente a rischio intermedio alto quando i parametri vitali (valutati con lo score NEWS) non migliorano dopo 1-2 giorni dall’inizio del trattamento anticoagulante.

Ma quale delle due strategie è la migliore? La trombectomia sembra essere più sicura, a parità di efficacia rispetto alla trombolisi. Tuttavia, la recente introduzione della tecnica di trombolisi locoregionale guidata da ultrasuoni sembra essere più sicura anche della trombectomia percutanea.

Senza dubbio in ogni caso si rende necessaria una decisione condivisa da parte del PERT, ossia di un team di radiologi, cardiologi clinici e interventisti, il cui impiego sembra migliorare l’outcome ospedaliero e anche a lungo termine.

La sessione si è poi conclusa con la Dottoressa Iolanda Enea, che ha trattato il tema dell’Embolia polmonare sub-segmentaria (SSPE).

Trattasi di una condizione dotata di ricorrenza e mortalità simile all’embolia polmonare dei rami prossimali. Questo perché, seppure asintomatica, di riscontro incidentale, con carico trombotico minore, si associa più frequentemente a comorbilità gravi come quelle neoplastiche.

Pertanto, vale la pena di trattare con anticoagulanti i pazienti con SSPE, a maggior ragione se ad elevato rischio di ricorrenza (ad esempio pazienti allettati, in gravidanza, con neoplasia, o sottoposti recente intervento chirurgico), seppure non si possa sottovalutare l’aumentato rischio emorragico di tale categoria di pazienti, e quindi diviene estremamente importante la rivalutazione a 3 mesi con eventuale sospensione della terapia. L’alternativa, per pazienti con basso rischio di ricorrenza, è possibile impiegare una strategia di sorveglianza, proprio alla luce dell’elevato rischio di sanguinamento. Questa linea gestionale è valida sia per i pazienti sintomatici che per quelli asintomatici.

 

Noemi Valenti ANMCO
Noemi Valenti