Miocarditi: quali novità nella diagnosi e terapia?

Annachiara Aldrovandi

La miocardite è una patologia caratterizzata da una notevole variabilità di manifestazioni cliniche e di evoluzione, che ne rendono complessa la diagnosi e la gestione. Le principali forme di presentazione sono le miocarditi pseudo-infartuali, caratterizzate da una prognosi favorevole, lo scompenso cardiaco, associato a forme dalla prognosi peggiore, e forme a manifestazione aritmica, ipo o ipercinetica. La risonanza magnetica viene utilizzata sempre più frequentemente come strumento diagnostico e questo vale soprattutto per le forme pseudo-infartuali grazie alla buona accuratezza diagnostica, definita secondo i criteri di Lake Louise (positività di due parametri tra edema miocardico, early enhancement e late enhancement). Al contrario, nelle altre manifestazioni cliniche di esordio della miocardite l’esame è meno utile per la sua limitata sensibilità e specificità. La biopsia miocardica viene utilizzata di rado nella pratica clinica, ma rimane un esame raccomandato soprattutto nelle forme emodinamicamente instabili in cui una diagnosi eziologica precisa può indirizzare verso terapie specifiche. Oltre alla terapia medica convenzionale, in casi selezionati quali ad esempio la miocardite a cellule giganti, si può instaurare una terapia immunosoppressiva, laddove persista un quadro clinico severo e la biopsia abbia confermato la diagnosi di miocardite in assenza di genoma virale alla PCR. Nell’ambito degli sforzi per gestire il più efficacemente possibile la miocardite è stato proposto di identificare tre classi di pazienti, a basso, medio ed alto rischio, sulla base della presentazione clinica per intraprendere la strategia diagnostico-terapeutica più adeguata, dalla gestione non invasiva delle forme a basso rischio, fino ad arrivare alla biopsia ed al supporto circolatorio nei casi di grave instabilità emodinamica.