MINIMASTER
FIBRILLAZIONE ATRIALE: PERCORSI CLINICI E LINEE GUIDA ESC

di Alessandra Schiavo
Il management terapeutico del paziente affetto da fibrillazione atriale.

Il Minimaster sulla fibrillazione atriale svoltosi questa mattina era organizzato in due sessioni: la prima incentrata prevalentemente sulla diagnosi della fibrillazione atriale e la gestione della terapia anticoagulante orale, la seconda parte invece sulla terapia aritmologica e l’importanza della cardioversione elettrica e farmacologica, con le novità sulle indicazioni all’ablazione introdotte dalle recenti linee guida ESC 2020.

La prima sessione è stata aperta dal Dott. Carbonaro, che ha descritto le principali novità in termini di definizione e diagnosi della fibrillazione atriale, introducendo il concetto del pathway A-B-C relativo al management terapeutico del paziente: “A” come Anticoagulation, “B” come Better sympthoms control, “C” come Comorbilità e fattori di rischio, sottolineando l’importanza di un approccio olistico nei confronti del paziente, messo al centro di un team multidisciplinare.

La presentazione del Dott. Zanotto ha focalizzato l’attenzione sulla Fibrillazione Atriale “silente” e le sue implicazioni in termini di rischio cardio-embolico: spesso trattasi di un riscontro occasionale ad una registrazione Holter 24 ore eseguita per vari motivi oppure perché viene ricercata appositamente sulla base di un forte sospetto clinico. Come gestirla dal punto di vista terapeutico?

Ebbene, il paziente affetto da FA asintomatica ha lo stesso rischio cardioembolico del paziente affetto da FA con sintomi, e in quanto tale va innanzitutto valutata la necessità della terapia anticoagulante: il sillogismo “sintomo=coagulazione” è errato ed è necessario sganciare la gestione della fibrillazione atriale dalla gestione del “sintomo” collegato alla fibrillazione atriale.

A proposito di anticoagulazione, il Dott. Sibilio ha sottolineato l’importanza di una valutazione a 360 gradi del paziente nel momento in cui si valuta l’indicazione a terapia anticoagulante orale (OAC), che tuttavia deve valutare il peso del rischio trombo embolico da una parte e del rischio emorragico dall’altra. Ma la vera innovazione nella gestione terapeutica del paziente con fibrillazione atriale è riassunta nella lettera C del “pathway ABC” ovvero “Comorbilità” e gestione dei fattori di rischio di Stroke. Quali sono? Tra quelli maggiormente indagati e conosciuti, sicuramente quelli che rientrano nello score CHA2DS2VASc, ormai entrato di routine nella pratica clinica quotidiana per stimare il rischio di stroke nel paziente affetto da FA, ma non bisogna sottovalutare altre caratteristiche, che occupano un ruolo chiave nel decision-making soprattutto nei pazienti aventi un CHADSVASc uguale ad 1, in cui l’indicazione alla terapia anticoagulante orale non è così forte (raccomandazione IIa secondo le LG ESC) e che possono far propendendere l’ago della bilancia a favore della terapia anticoagulante orale: sindrome metabolica, disfunzione renale, tabagismo, dislipidemia, neoplasie, oltre che la valutazione delle caratteristiche ecocardiografiche (dilatazione atriale, presenza di eco-contrasto spontaneo o trombo in atrio sinistro/auricola sinistra), l’imaging cerebrale (evidenza radiologica di vasculopatia cerebrale), fino ai biomarker plasmatici (troponina cardiaca, peptidi natriuretici atriali, IL-6, porteina C reattiva, D-Dimero, fattore di von Willebrand).

Nel momento in cui si valuta l’indicazione alla terapia anticoagulante orale è fondamentale una stima del rischio emorragico attraverso lo score HASBLED. Un rischio emorragico elevato non è tuttavia ostativo per l’inizio di una terapia anticoagulante orale. E allora perché considerarlo? Perché un paziente con HASBLED elevato (superiore o uguale a 3) al baseline è un paziente che merita un più stretto follow-up clinico, con rivalutazione a 4 settimane (non più a 4-6 mesi) del rapporto rischio trombotico/emorragico.

Non ci sono ormai più dubbi sulla efficacia e sicurezza clinica dei DOAC rispetto agli AVK, ma tra i primi c’è qualcuno che risulta superiore all’altro? La risposta è no, o almeno, non abbiamo ancora sufficienti dati in proposito (e probabilmente non ne avremo mai), come spiegato dal Dott. Tizzani: non esiste probabilmente l’anticoagulante “migliore”, ma esiste l’anticoagulante “giusto” per il paziente, in base alla sue caratteristiche cliniche.

La seconda sessione è stata incentrata sulla gestione aritmica della fibrillazione atriale (Dott.ssa Mannarini): controllo del ritmo o della frequenza? In base alla LG ESC, la strategia del controllo del ritmo risulta referibile quando il paziente presenta sintomi attribuibili alla FA ed essa andrebbe perseguita quanto più precocemente possibile, nelle prime fasi della storia naturale dell’aritmia, ovvero prima che la cardiomiopatia sottostante progredisca. La scelta farmacologica deve basarsi sempre sulla valutazione clinica strumentale del paziente. L’ablazione rappresenta la prima scelta nel paziente con scompenso cardiaco con FE ridotta, mentre va presa in considerazione dopo il fallimento della terapia medica (salvo diversa scelta del paziente). Il controllo della frequenza cardiaca andrebbe riservata nei pazienti anziani, comorbidi, asintomatici, o dopo il fallimento della strategia del controllo del ritmo.

Qual è il ruolo dell’ecocardiografia transesofagea e dell’anticoagulazione nella cardioversione elettrica? Il Dott. Parato ha risposto a questa domanda spaziando dalle linee guida all’imaging integrato, che sta acquisendo sempre maggiore importanza nel rule-out della presenza di trombi in auricola sinistra anche nei pazienti in cui la fibrillazione atriale è insorta da <48 ore, in particolare nei pazienti con rischio cardioembolico intermedio-alto.

L’utilizzo inoltre dei DOAC nel periodo peri-cardioversione è da considerarsi sicuro ed efficace, come illustrato dal Dott. De Nardo, mediante una rassegna delle principali metanalisi: l’utilizzo dei DOAC consente di ridurre i tempi di attesa per la CVE.

Infine, il Dott. Limera ha illustrato i vantaggi dell’ablazione della fibrillazione atriale, il cui obiettivo principale resta l’isolamento delle vene polmonari indipendentemente dal tipo di FA. Tale procedura risulta infatti ormai sicura grazie al miglioramento della tecnica negli ultimi anni e garantisce il miglioramento della qualità di vita e della prognosi in alcuni sottogruppi di pazienti.

 

Alessandra Schiavo