MINI SIMPOSIO
TERAPIA ANTICOAGULANTE E ANTIAGGREGANTE IN SETTING CLINICI COMPLESSI

di Giovanna Di Giannuario
La gestione della terapia antiaggregante e anticoagulante spesso pone il cardiologo di fronte a casi clinici complessi in cui servono dei punti di riferimento per non incorrere in errori pericolosi per la salute del paziente. La letteratura scientifica spesso non ci aiuta presentando a volte dati discordanti di studi condotti in maniera non omogenea e su piccoli campioni, che vanno analizzati ed interpretati correttamente al fine di eseguire una buona pratica clinica.

Nel primo pomeriggio della prima giornata congressuale si è tenuta nella sala del Lavatoio, in un’aula gremita dalla presenza di numerosi discenti, un’interessante sessione su casi complessi e gestione della terapia anticoagulante ed antiaggregante. Il simposio ha toccato alcuni dei più frequenti casi clinici complessi in ambito cardiologico.

La prima relazione ha trattato il caso complesso dei pazienti ischemici con trombosi endoventricolare: partendo dalle diapositive introduttive sulla triade di Virchow come meccanismo patogenetico dei trombi, ha evidenziato come l’incidenza della malattia trombotica nella cardiopatia ischemica sia in riduzione dall’era pre PCI 30-46% rispetto all’era post-PCI, nonostante un incremento della capacità diagnostica attuale.

Nell’infarto e nella cardiopatia ischemica acuta si hanno delle anomalie piastriniche e l’incremento di alcuni fattori pro-trombotici: il fibrinogeno, il D-dimero e il fattore di von Willebrand; che favoriscono la formazione di trombi. Ma è stato sottolineato che è possibile trovare trombosi endoventricolare anche nel setting dello scompenso cardiaco e delle cardiomiopatie. Le Tecniche diagnostiche che si utilizzano nella diagnosi di trombosi endoventricolare vanno dall’Ecocardiografia Transtoracica potenziata eventualmente con mezzo di contrasto sonicato, fino alla RMN cardiaca, che è considerata il gold standard per la diagnosi.

Nell’ecocardiografia transtoracica è importante definire alcune caratteristiche morfologiche: il movimento, la densità e la forma dei trombi endoventricolari, trombi protrudenti e mobili sono a rischio di embolizzare, l’identificazione di un aneurisma apicale spesso non è un elemento protettivo per il rischio di embolizzazione.

Nelle linee guida ESC esiste una apertura nei casi di intolleranza al coumadin verso l’utilizzo dei nuovi anticoagulanti orali (DOAC) nella trombosi endoventricolare.

Esistono piccole esperienze con studio di circa 40-50 pz, in cui è stato dimostrato che l’efficacia di apixaban e rivaroxaban è simile al coumadin. Esiste inoltre uno retrospettivo di real world che utilizzava apixaban con efficacia di riduzione dei trombi.

Uno studio recente del 2020 retrospettivo ha dimostrato però che l’uso dei DOAC vs warfarin avevano un maggior rischio di embolia sistemica e morte.

Esistono però alcuni studi di confronto ancora in corso, un Trial egiziano ha dimostrato che il rivaroxaban ha una azione simile al warfarin, rivaroxaban ed apixaban sono i DOAC più studiati in questo particolare setting clinico.

Dabigatran e edoxaban ancora in corso di studio, ed esiste uno studio recente che ha associato la terapia con doppia antiaggregazione (DAPT) con rivaroxaban 2,5 mg.

Sicuramente al momento il trattamento di scelta per la trombosi endoventricolare è il warfarin per almeno 3-6 mesi ma nei prossimi anni potrebbero essere riconosciuti efficaci anche i nuovi anticoagulanti orali.

La seconda relazione aveva come argomento la doppia antiaggregazione nello shock cardiogeno: è iniziata con la presentazione di un caso clinico di STEMI con shock cardiogeno, il paziente contropulsato si presentava  con malattia dei 3 vasi coronarici dopo aver  eseguito PTCA, veniva  trattat0 con ticagrelor e cardioaspirina, la successiva comparsa di fibrillazione atriale portava a sostituire il ticagrelor con il clopidogrel effettuando un carico di 600 mg dopo 12 ore dall’ultima somministrazione di ticagrelor. Il relatore ha sottolineato che il ticagrelor anche frantumato è efficace quindi ha il vantaggio di poter essere somministrato nei pazienti intubati. Nello shock è indubbio il valore dei nuovi anticoagulanti, ma il dosaggio va adeguato al paziente non lasciarsi influenzare dalla doppia terapia antiaggregante.

La terza relazione ci ha presentato l’annoso problema dei pazienti ischemici sottoposti a rivascolarizzazione percutanea con necessità di doppia antiaggregazione, che devono essere sottoposti ad una chirurgia non cardiaca.

Nel 2021 alcuni studi hanno dimostrato che non è infattibile la sospensione della DAPT, identificando periodi in cui è più basso il rischio di trombosi, tali dati sembrerebbero essere confutati da uno degli studi più recenti sull’argomento che invece ha mostrato che non è così semplice e sicuro sospendere la doppia antiaggregazione soprattutto nel paziente con sindrome con coronarica acuta, che ha presentato una infiammazione della placca. Il relatore ha sottolineato che sarebbe molto importante un confronto tra medico e chirurgo, ma spesso è difficile riuscire a trovare un tempo qualitativo adeguato discutere il caso clinico, si dovrebbe fare un meeting o costituire un mini heart team per confrontare il rischio di emorragia legato al tipo di intervento e di trombosi intrastent legata al tipo di stent e di paziente.

Se è necessario un intervento chirurgico in urgenza si possono somministrare le piastrine in sede intraoperatoria, mentre se l’intervento è programmabile e la DAPT non è sospendibile per rischio trombotico, si può fare il bridge con le piccole molecole o con il cangrelor.

Esistono degli articoli interessanti di revisione l’ultimo di Angiolillo del 2022 ed un articolo della Rossini, che schematizzano bene le possibili soluzioni terapeutiche, esistono inoltre anche delle app che aiutano la scelta ed il dosaggio dei farmaci. Secondo un articolo molto interessante pubblicato su JAMA si identificano i 9 giorni di sospensione della DAPT durante chirurgia, come cut-off di rischio trombotico.

Si suggerisce per tanto il confronto tra tutti i professionisti coinvolti nella decisione (cardiologo, chirurgo, anestesista) con un incontro condiviso, in cui si valuti il bilancio tra rischio emorragico legato al tipo di intervento e rischio trombotico del paziente, e venga stilata una relazione alla fine della quale è sempre ben inoltre informare anche i parenti sui rischi eventuali e sulla decisione presa.

Nell’ultima relazione è stata trattata la terapia in caso di infarto miocardico da dissezione coronarica, argomento molto complesso e difficile.

La dissezione delle coronarie può essere caratterizzata da due meccanismi eziopatogenetici: lo slaminamento che si ferma nelle biforcazioni, o l’emorragia intraparietale. Generalmente sono pazienti di età media, spesso donne, a volte casi complessi in gravidanza, con ST sopraslivellato o sottoslivellato, generalmente tra le coronarie il tronco comune non è mai coinvolto, e colpisce più spesso la discente anteriore o il circonflesso.

I pazienti trattati in maniera conservativa hanno un buon follow-up, sono molto rari i casi che necessitano di PCI e di CABG.

È consigliabile appena possibile sospendere l’anticoagulazione per evitare complicanze emorragiche, per evitare lo scioglimento di un eventuale trombosi del falso lume, ed è spesso consigliabile il singolo antiaggregante verso la doppia antiaggregazione, tale dato è confermato da uno studio che evidenziava l’aumento di eventi in caso di utilizzo di DAPT (ASA e clopidogrel). La strategia migliore è la stratificazione del paziente in base al tipo di lesione e di trattamento utilizzato, sospendendo la DAPT nei casi non trattati limitandola solo ai casi in cui viene fatta la PTCA.

La sessione si è conclusa poi con la discussione in cui sono state rivolte domande da parte dei moderatori e dell’audience su alcune questioni ancora oggetto di dibattito degli argomenti trattati.

Giovanna Di Giannuario ANMCO
Giovanna Di Giannuario