MINI SIMPOSIO CARDIOLOGIA CLINICA: LE DOMANDE NASCOSTE

di Nicolina Conti

Nella seconda giornata congressuale si è svolta, sotto la guida del Dott. Talarico e del Dott. Parente, questa interessante sessione che si è focalizzata su aspetti estremamente pratici e dilemmi in cui il cardiologo si imbatte nella pratica clinica.

Primo relatore è stato il Dott. Manduca, che ha discusso le indicazioni al test da sforzo nel follow-up del paziente che ha avuto una sindrome coronarica acuta. Dopo più di 90 anni, il test da sforzo rimane una indagine fondamentale: si tratta infatti di un esame facilmente disponibile, a basso costo e con un impatto operativo basso. Permette di valutare l’adeguatezza dell’apparato cardiovascolare nel rispondere a uno stimolo in ambiente protetto, ricavando informazioni sia elettriche che prettamente cliniche. Importante ricordarsi che questo test ha una media sensibilità (65%) a fronte di una specificità di circa 85% utilizzando il protocollo di Bruce (che utilizza carichi sequenziali di 25w ogni 15 min). Altro aspetto fondamentale che può essere valutato con questo test è la capacità di esercizio del nostro paziente, espressa in METs (equivalente metabolico del lavoro), che è fattore predittivo indipendente di mortalità cardiovascolare. Nella cardiopatia ischemica cronica in prevenzione secondaria bisogna stratificare la prognosi e intercettare una eventuale ischemia residua.

Vi possono essere due strategie differenti:

-strategia selettiva: intercetta solo i pazienti sintomatici;

– atteggiamento sistematico: screening esteso indipendentemente dai sintomi.

Da numerosi studi osservazionali emerge che utilizzando la strategia di eccesso prescrittivo non vi è beneficio prognostico. Infatti, solo il 2.3% dei pazienti asintomatici con test da sforzo positivo avrà bisogno di essere sottoposto a rivascolarizzazione. La percentuale di test inappropriati si attesta in questo contesto al 75%.

Il test da sforzo rimane comunque una metodica con una capacità unica di fornire informazioni sul sistema cardiovascolare e sui sistemi neuro umorali e di valutare l’efficacia della terapia medica in maniera indiretta.

A seguire, il Dott. Fabiani ha affrontato il ruolo di ecostress e scintigrafia miocardica. Già nel 2019 le linee guida ESC sulla cardiopatia ischemica cronica hanno ben collocato gli esami diagnostici indicando l’esecuzione di test funzionali nei pazienti con probabilità pre-test intermedio-alta. Questo ruolo è stato confermato anche dalle linee guida americane del 2021, che specificano con maggior attenzione la collocazione dei test funzionali (da considerare in pazienti di età > 65 anni e sospetto di patologia ostruttiva coronarica più grave) rispetto alla TC coronarica (pazienti a rischio intermedio-alto più giovani).

Sulla carta, l’ecostress ha maggior specificità, mentre la SPECT presenta maggior sensibilità. Ma in realtà, l’aspetto cruciale è come si utilizzano questi test. Ad esempio, se associamo al classico WMSI la valutazione della riserva coronarica e l’utilizzo di mezzo di contrasto, possiamo innalzare la sensibilità della metodica. Per la SPECT, l’utilizzo di nuovi detettori fa salire sensibilità e specificità fino al 95%. Del resto, gli studi di confronto tra le due metodiche sono pochi. Boiten et al, nel 2018, hanno dimostrato la sovrapponibilità tra le due metodiche in termini di impatto prognostico sulla mortalità cardiovascolare a distanza. La scelta della metodica deve dipendere pertanto dalle caratteristiche specifiche del paziente (ad esempio presenza di BPCO, aritmie, conformazione fisica), dal problema clinico in esame, dall’accuratezza e specificità della metodica (che dipende dai protocolli utilizzati) e dalla disponibilità ed esperienza locale.

Dalla vivace discussione finale è emerso il ruolo cruciale della disponibilità di ogni metodica nel singolo Centro e dell’appropriatezza della scelta del test da utilizzare. L’esperienza a livello territoriale si scontra spesso, infatti, con le limitazioni tecnologiche, la disponibilità delle metodiche e le tempistiche per ottenerle. D’altra parte, ai test di imaging oggi dobbiamo imparare a porre le giuste domande in modo da poter correttamente interpretare le risposte. Vi è infatti una zona grigia al di fuori delle linee guida che si scontra con l’esperienza “real life”, in cui spesso si gioca la partita più difficile.

Nicolina Conti