MINI CORSO
Aritmie pediatriche e sport: dai casi clinici alla gestione strutturata

di Raffaele Abete
ECG, aritmie neonatali, rischio aritmico nell’attività fisica e cardiopatie congenite: servono multidisciplinarietà, esperienza e buon senso clinico; un minicorso ad alta intensità formativa per riconoscere, valutare e accompagnare i piccoli pazienti nella crescita e nello sport

Nel panorama sempre più rilevante della cardiologia pediatrica, la sessione “Mini Corso Aritmologia Pediatrica e Sport”, moderata da Rachele Adorisio (Roma) ed Elena Bennati (Firenze), ha fornito un’utile sintesi clinico-pratica dei principali temi aritmologici in età evolutiva, con particolare attenzione al contesto sportivo. Dalla corretta interpretazione dell’ECG pediatrico alla gestione delle aritmie neonatali, dalla farmacologia all’approccio integrato alla pre-eccitazione ventricolare, il corso ha posto le basi per una valutazione più sicura e competente del paziente pediatrico.

ECG pediatrico: leggere con occhi da bambino

La prima sessione del minicorso è stata aperta dalla Dott.ssa Lilia Oreto (Messina) che ha guidato i partecipanti attraverso le peculiarità dell’elettrocardiogramma pediatrico, strumento fondamentale ma spesso frainteso quando interpretato con criteri dell’adulto. Nei primi mesi di vita, ad esempio, è fisiologica una deviazione destra dell’asse cardiaco, così come onde T negative nelle precordiali destre fino all’età scolare. L’ampiezza dei voltaggi QRS, le variazioni del tratto PR e QT, e la frequenza cardiaca vanno sempre letti in funzione dell’età e del contesto clinico. Una lettura non esperta può portare a sovrastimare anomalie innocue o, peggio, a non riconoscere segni precoci di patologie come le canalopatie o le cardiomiopatie ereditarie. Come evidenziato anche in letteratura, l’ECG nei bambini richiede una formazione specifica per evitare errori diagnostici e decisioni inappropriate, soprattutto nel contesto dell’idoneità sportiva. L’intervento ha ribadito che l’ECG in età evolutiva è un linguaggio da apprendere: semplice nei tracciati, ma complesso nel significato se non inserito in una visione clinica e maturata dell’età pediatrica.

Aritmie neonatali: piccoli cuori, grandi sfide

La Dott.ssa Paola Ferrari (Bergamo) ha offerto un’ampia panoramica sulle aritmie neonatali, una condizione rara ma talvolta critica. Le tachiaritmie più frequenti in epoca neonatale, come la tachicardia sopraventricolare (TSV) e il flutter atriale, spesso si presentano in bambini con cuore strutturalmente sano, ma richiedono un’attenta gestione per prevenire scompenso e disfunzione ventricolare. Tra le bradiaritmie, il blocco atrioventricolare congenito rappresenta la forma più rilevante, soprattutto nei neonati da madri con connettivopatie autoimmuni. Fondamentale è la distinzione tra forme benigne e potenzialmente pericolose, attraverso un inquadramento clinico-elettrocardiografico tempestivo. Le linee guida pediatriche suggeriscono l’uso iniziale di manovre vagali e adenosina per le tachicardie da rientro, mentre l’amiodarone è preferito in caso di disfunzione ventricolare (Immagine).

La lezione appresa: anche nei neonati, riconoscere il tipo di aritmia e agire con protocolli mirati può fare la differenza tra cronicizzazione e risoluzione spontanea.

Farmaci antiaritmici nei bambini: tra efficacia e prudenza

Nel suo intervento, il Dott. Fulvio Gabbarini (Torino) ha affrontato il tema dell’uso razionale dei farmaci antiaritmici in età pediatrica, sottolineando quanto la gestione farmacologica in questi pazienti debba tener conto di parametri età-specifici. Farmacocinetica variabile, peso corporeo, funzione epatica e rischio pro-aritmico rendono necessaria una personalizzazione attenta della terapia. I farmaci più utilizzati restano i betabloccanti, la flecainide e l’amiodarone, quest’ultimo da riservare a casi selezionati per i suoi noti effetti collaterali. Nei neonati con disfunzione ventricolare, ad esempio, l’amiodarone rappresenta ancora una scelta efficace e sicura, se ben monitorata. Gabbarini ha infine richiamato la necessità di formazione specialistica e protocolli condivisi per evitare sottotrattamenti o, al contrario, esposizioni non necessarie a molecole potenzialmente tossiche.

Pre-eccitazione ventricolare: rischio e sport, un equilibrio complesso

Fabrizio Drago (Fiumicino) ha infine affrontato uno dei temi più discussi in ambito di medicina dello sport: la pre-eccitazione ventricolare. La presenza di una via accessoria (sindrome di Wolff-Parkinson-White) è generalmente benigna, ma può esporre a rischio di fibrillazione atriale con conduzione rapida e degenerazione in fibrillazione ventricolare. La stratificazione del rischio si basa su parametri clinici (storia di sincope, tachicardia documentata) ed elettrofisiologici (scomparsa del pattern preeccitato in corso di esercizio, refrattarietà della via accessoria durante lo studio EPS). In ambito sportivo, l’idoneità è subordinata alla valutazione del rischio aritmico. In pazienti sintomatici o con via accessoria a rischio, è raccomandata l’ablazione transcatetere, una procedura oggi sicura anche nei bambini, con tassi di successo >95% e complicanze minime. Drago ha sottolineato l’importanza di una comunicazione chiara con famiglie e società sportive, per evitare esclusioni inappropriate e garantire un’attività fisica sicura.

Diagnosi fine su ECG e aritmie complesse

Lilia Oreto ha aperto la seconda sessione con una serie di casi clinici emblematici. Il primo riguardava un lattante di due mesi con pseudobradicardia da bigeminismo atriale bloccato, un pattern ECG che può simulare bradiaritmie ma che riconosce un’origine benigna (Immagine).

Altro caso interessante, una bambina asintomatica con extrasistoli ventricolari “mascherate”, in apparente ritmo trigemino atriale: la diagnosi precisa passa per la lettura attenta delle onde T post-ectopiche, mostrando l’importanza dell’esperienza nell’interpretazione ECG (Immagine).

Infine, un caso di PJRT (tachicardia a rientro permanente della giunzione), (Immagine) in un lattante con scompenso severo ha sottolineato come alcune aritmie siano refrattarie alle manovre vagali e necessitino farmaci specifici come l’amiodarone o cardioversione elettrica nei casi instabili.

Aritmie e sport: tra rischio, età e sindromi

Elena Bennati ha delineato con chiarezza la complessità della stratificazione aritmica nei giovani atleti. Lo sport può agire da trigger aritmico, ma la sua correlazione con il rischio reale varia ampiamente in funzione dell’età, della presenza di cardiopatie strutturali o sindromi genetiche, e del tipo di aritmia. Il percorso diagnostico, necessariamente multidisciplinare, include cardiologo pediatra, aritmologo, medico dello sport e genetista. Fondamentale l’anamnesi familiare, seguita da ECG, ecocardiogramma e – nei casi indicati – RMN cardiaca. Le extrasistoli ventricolari (BEV) nei bambini con cuore sano sono per lo più benigne, con tendenza alla risoluzione spontanea. Tuttavia, nei pazienti sintomatici o con burden elevato (>30%), vanno approfondite con imaging avanzato e valutazione del rischio. Nei giovani atleti, i BEV devono essere analizzati per morfologia, frequenza, complessità e comportamento sotto sforzo, distinguendo le forme comuni (tratto di efflusso, fascicolari) da quelle non comuni o potenzialmente maligne (Immagine).

La relazione si è poi spostata su forme più complesse, come le cardiomiopatie ipertrofiche a esordio pediatrico. Queste forme mostrano un rischio aritmico maggiore ma anche una maggior difficoltà nella stratificazione, data l’eterogeneità fenotipica. Score predittivi come HCM Risk-Kids e PRIMaCY (che include dati genetici) aiutano a orientare le decisioni cliniche. Altre aritmie possono essere manifestazione di mutazioni geniche come nel caso di mutazioni LMNA o FLNC, che predispongono a cardiomiopatia aritmogena o dilatativa. In questi scenari la RMN con LGE è essenziale per la caratterizzazione tissutale e la valutazione del rischio aritmico.

Sport e cardiopatie congenite: tra prudenza e apertura

Elena Cavarretta ha affrontato il tema dell’attività fisica nei pazienti con cardiopatie congenite, evidenziando come la sedentarietà, spesso consigliata per precauzione, possa peggiorare la funzione ventricolare e l’endotelio vascolare. Studi come quello di Voss et al hanno mostrato che la quantità di attività fisica nei pazienti con cardiopatie congenite non dipende dal tipo di patologia, ma spesso da barriere culturali o ambientali. Le linee guida COCIS offrono aperture importanti: nei pazienti con valvola aortica bicuspide non complicata, è consentita l’idoneità a tutti gli sport con sorveglianza ravvicinata. Nei pazienti corretti per tetralogia di Fallot, è possibile autorizzare sport di destrezza (classe A) e, in casi selezionati, anche sport di resistenza (classe C), previa valutazione attenta.

Cavarretta ha evidenziato l’importanza della prescrizione strutturata dell’attività fisica, differenziando l’attività adattata (a basso carico) da programmi di esercizio personalizzati, con monitoraggio tramite test cardiopolmonare ed ecostress.

Prevenzione e screening: idoneità sempre più centrale

Alessandro Biffi ha concluso evidenziando come la pratica sportiva in età pediatrica sia in espansione, con età di inizio dell’agonismo anche sotto gli 8 anni. I dati italiani mostrano che, nella popolazione generale, la prevalenza di aritmie nei giovani atleti non supera quella dei sedentari, ma che vi è maggiore incidenza di eventi fatali in presenza di cardiomiopatie e cicatrici non ischemiche. Le caratteristiche di rischio delle BEV in età giovanile includono: storia familiare di morte improvvisa, sincope da sforzo, alterazioni dell’ECG (onde T negative, QRS anomali), morfologia rara delle extrasistoli, complessità degli eventi, e persistenza allo sforzo. L’origine delle extrasistoli è cruciale per il rischio: quelle da tratto di efflusso sono benigne, ma forme non comuni meritano approfondimento e possibile sospensione dell’attività. Infine, nel giovane atleta, la bradicardia può riflettere un adattamento all’allenamento, ma se accompagnata da sintomi o anomalie di conduzione (BAV di grado variabile) può indicare una patologia. In questi casi, un periodo di detraining di 2–4 settimane aiuta a distinguere tra bradiaritmia fisiologica e disturbo intrinseco: la regressione dei segni suggerisce un’origine benigna, la persistenza richiede ulteriori indagini.

Raffaele Abete
Raffaele Abete