MAIN SESSION
SULLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE

di Martina Milani
Incertezze e prospettive in tema di prevenzione primaria e secondaria.

In apertura della seconda giornata del 53° Congresso ANMCO, si è tenuta la Main Session dedicata alla prevenzione cardiovascolare, moderata dai Dottori Francesco Fattiroli e Massimo Uguccioni.

Protagonista indiscussa della prevenzione è chiaramente la terapia ipolipemizzante, essendo i lipidi causa, e non fattore di rischio, della patologia aterosclerotica.

In pochi contesti clinici c’è così grande chiarezza come nelle Linee Guida ESC del 2019 sulle dislipidemie: esse, infatti, definiscono con precisione le classi di rischio e i target raccomandati per ciascuna categoria ed elencano i numerosissimi farmaci che abbiamo a disposizione. Non dovrebbero quindi esserci scusanti, ha sottolineato il Dottor Furio Colivicchi, alla non corretta applicazione delle raccomandazioni; tuttavia, da studi di real world, come il DA VINCI, emerge che la prescrizione nei Paesi occidentali è ancora subottimale. Tra gli ostacoli che si interpongono al raggiungimento dei target raccomandati, alcuni sono legati al paziente (anziano, con comorbilità e scarsamente aderente alle prescrizioni). Bisogna però riconoscere che esiste anche un’inerzia prescrittiva da parte dei professionisti, che spesso non conoscono adeguatamente o non considerano applicabili al loro contesto clinico le raccomandazioni, sono perplessi sulla sicurezza dei farmaci o ritengono di non avere sufficiente tempo nella pratica quotidiana per fornire un adeguato counselling e identificare correttamente il rischio cardiovascolare e la relativa terapia.

Un’altra possibile barriera è l’approccio stepwise dell’algoritmo di trattamento, che consiste nell’introduzione dapprima della statina e in tempi successivi di ezetimibe e PCSK9i, in caso di mancato raggiungimento dei livelli desiderati di LDL. È perciò tempo di cambiare il paradigma, proponendo sin dall’inizio una terapia di combinazione (in analogia al trattamento dell’ipertensione arteriosa) e introducendo da subito farmaci potenti nel paziente a rischio cardiovascolare molto elevato (ad esempio PCSK9i durante il ricovero per sindrome coronarica acuta).

Il fervore scientifico degli ultimi anni in tema di terapia ipolipemizzante ha portato a riscoprire la Lipoproteina a, nota sin dagli anni ‘60. Il Dottor Marcello Arca ha sottolineato come livelli di Lp(a) superiori a 50 mg/dL si associano a incrementato rischio cardiovascolare. Questa molecola, infatti, avendo una struttura analoga al plasminogeno, è dotata di un effetto protrombotico e, essendo un reservoir di fosfolipidi ossidati, incrementa lo stress ossidativo. I livelli di Lipoproteina a sono determinati da fattori genetici ed esiste una grande eterogeneità della sua concentrazione plasmatica nella popolazione generale.

Il target terapeutico in questo caso è la sintesi della lipoproteina: Pelacarsen, un oligonucleotide antisenso che può ridurre fino all’80% i livelli plasmatici di Lpa.

Parlando di prevenzione cardiovascolare, non si può fare a meno di soffermarsi sui farmaci antidiabetici, argomento della relazione del Dottor Edoardo Gronda. Da un lato ci sono gli agonisti recettoriali del GLP1, che attivano la secrezione insulinica quando il bolo alimentare arriva nell’intestino, normalizzando la glicemia in fase di assorbimento. Essi determinano, a differenza dell’insulina, calo ponderale, con beneficio nel paziente diabetico e non. Dall’altro troviamo gli SGLT2i, che migliorano la prognosi nel paziente diabetico e nel paziente con scompenso cardiaco, abbattendo l’iperfiltrazione del glomerulo (che comporta l’aumento del consumo di ossigeno nel rene e la forte attivazione del sistema simpatico), con un’efficacia clinica immediata.

Questi farmaci migliorano anche la prognosi nel paziente con insufficienza renale e ne riducono la mortalità globale. Il beneficio in questo caso segue a medio e a lungo termine alla caduta dell’iperfiltrazione nel glomerulo, causa principale di perdita dei nefroni.

Al Dottor Gian Piero Perna è stato chiesto se, dopo la pubblicazione dei risultati dell’ISCHEMIA trial, abbia ancora senso cercare l’ischemia miocardica nel paziente con sindrome coronarica cronica. Se è vero che la coroTC ormai riveste un ruolo di primaria importanza, lo stress test resta di scelta in molti contesti: ad esempio in presenza di controindicazioni o limitazioni alla tomografia computerizzata (elevato calcium score, insufficienza renale, aritmie, obesità), in caso di indisponibilità della metodica (per assenza di macchinari ed expertise nell’interpretazione delle immagini), per lo studio della vitalità in presenza di disfunzione ventricolare sinistra, per guidare l’indicazione ad angioplastica o a chirurgia, per decidere di ricanalizzare una CTO e per valutare la relazione tra sintomi anginosi ed ischemia nelle INOCA.

Una volta che la prevenzione primaria ha fallito e si è verificato un evento cardiovascolare, bisogna essere ancora più aggressivi nell’introdurre tutti i pilastri portanti della terapia ottimale che in precedenza erano sfuggiti, oppure nell’ottimizzare ulteriormente e rapidamente quelli già in uso.

La prevenzione secondaria, come sottolineato dal Dottor Carmine Riccio, si deve fondare sui cardini della fisiopatologia della patologia aterosclerotica: il colesterolo LDL e la trombosi. Del primo punto si è già trattato; a proposito del secondo gli studi PEGASUS e COMPASS hanno mostrato l’efficacia di una terapia antitrombotica prolungata: la doppia antiaggregazione con aspirina e ticagrelor andrà scelta in caso di rivascolarizzazione complessa, mentre la double pathway inhibition andrà preferita ad esempio nei pazienti con numerosi fattori di rischio cardiovascolare, con pregresso stroke e con arteriopatia degli arti inferiori. Queste promettenti strategie terapeutiche sono tuttavia ancora poco implementate nella pratica clinica (da evidenze di real world emerge come solo nel 16% dei pazienti viene prescritta la DAPT oltre i 12 mesi).

Infine, non si deve dimenticare che, dopo una sindrome coronarica acuta, al controllo dei fattori di rischio, deve aggiungersi la riabilitazione cardiologica: è una strategia posta in classe IA nelle linee guida. Essa non deve basarsi solo sulla prescrizione di un allenamento personalizzato, ma deve consistere in una presa in carico del paziente sotto molti aspetti (stabilizzazione clinica, counselling sullo stile di vita, controllo dei fattori di rischio, attenzione alle popolazioni challenging, come soggetti fragili, con device, oncologici, con scarsa aderenza). Il Dottor Marco Ambrosetti ha ribadito come eseguire un ciclo riabilitativo aggiunga un vantaggio (in termini di mortalità e prevenzione di morbilità cardiovascolari, riduzione del tasso ricoveri, miglioramento della capacità funzionale e della qualità di vita) ancora significativo in un’epoca, come quella moderna, caratterizzata dai successi tecnici dell’emodinamica.

Nel concreto, ancora molto resta da fare. Innanzitutto, serve aumentare il referral e ridurre il mismatch sul territorio tra domanda e offerta. È fondamentale anche garantire un servizio certificato che soddisfi i criteri di qualità previsti dalle Linee Guida e che sia standardizzato, ma anche flessibile nell’adeguarsi ai fenotipi clinici (dal paziente post-SCA che riesce a eseguire un test cardiopolmonare, ai soggetti sarcopenici e anziani) e innovativo (implementazione dei progetti di home-rehabilitation).

 

Martina Milani

 

Immagine di copertina: stefamerpik