La sessione, moderata dal Dottor Carmine Riccio e dal Dottor Loris Roncon, viene aperta dal Dottor Gian Piero Perna su epidemiologia e impatto prognostico dell’angina.
L’impatto di prevalenza dipende dall’età, sesso (la prevalenza è maggiore nelle donne) dalla razza, etnia e regione geografica, in generale dal tipo di osservatorio epidemiologico che viene usato.
Nel paziente ambulatoriale è circa il 15%, il 20% nel setting ospedaliero, 27% quando si considerano entrambi (studio START); questi dati sono confermati dai registri (20-30% nel registro Clarify).
Dal punto di vista della prognosi la valutazione è complessa: nel registro Clarify la presenza di angina aumentava di 1.5 volte il rischio, mentre nello studio REACH i pazienti con sintomo presentavano il 15% di riospedalizzazione in più a 4 anni.
La prognosi dipende dall’estensione della malattia coronarica (ISCHEMIA trial); più recentemente viene utilizzato lo score di Seattle per descriverla, che considera parametri come la limitazione fisica in termini di esercizio e qualità della vita (in termini di riospedalizzazioni). Nell’ISCHEMIA trial il 90% dei pazienti aveva storia di angina, ma una quota significativa era asintomatica nelle ultime 4 settimane, la rivascolarizzazione non sembra impattare sulla prognosi ma migliora lo score di Seattle, ancora di più se rivascolarizzazione completa a 4 anni riduce la morte CV ma non la totale.
Il sottogruppo che non si giova della rivascolarizzazione è quello del paziente anziano over 75; nel sottogruppo donne il sintomo è più frequente ma la coronaropatia è meno estesa e l’ischemia è meno severa.
Circa il 21% del totale del campione aveva angina senza coronaropatia, mentre la quota è del 13% nel CIAO ISCHEMIA; la maggioranza sono donne, con alta probabilità di MINOCA, dove si è osservato che ad un anno l’ischemia migliora, nel 43% dei casi senza terapia e peggiora nel 14% dei casi, non c’è correlazione tra variazione di angina e variazione di ischemia. Le donne sono 1.5 volte più frequenti nel gruppo INOCA, presentano alterazioni strutturali e funzionali del microcircolo con un impatto prognostico negativo, mentre per lo spasmo coronarico non c’è differenza nei due gruppi uomo/donna.
Il Dottor Leonardo Bolognese risponde alla domanda se ricercare l’ischemia o l’estensione della coronaropatia.
Il paziente inquadrato è il paziente sintomatico che non ha ancora diagnosi di CAD. L’approccio tradizionale prevede l’utilizzo di test di ischemia che condurranno il paziente alla coronarografia; il paziente potrà avere CAD significativa, e andrà incontro a PCI oppure CAD non significativa. Il ‘filtro’ da applicare è la rilevazione di ischemia come marker surrogato di stenosi significativa. Si parte da alcuni assunti sull’ischemia: l’associazione lineare con angina, associazione lineare con un outcome peggiore, prevalentemente causata da coronaropatia ostruttiva, migliorata dalla rivascolarizzazione, se migliorata dalla rivascolarizzazione migliora l’outcome. Questi assunti sono stati parzialmente discussi, in alcuni registri solo il 40% dei pazienti sottoposti a stress test aveva CAD e nello studio FAME il 20% delle lesioni considerate significative dall’emodinamista erano FFR negative. Ci si chiede se ci sia ancora ruolo per i test di ischemia dopo ISCHEMIA trial, in realtà esiste una relazione lineare tra carico trombotico ed eventi, indipendentemente dall’entità della stenosi. C’è da riflettere tra la disparità tra i risultati degli studi osservazionali e quelli prospettici: lo studio prospettico (COURAGE, BARI 2, ISCHEMIA) mostra outcome simili tra pazienti ischemici rivascolarizzati e trattati con terapia medica ottimale, mentre lo studio osservazione mostra che la rivascolarizzazione è associata a riduzione della mortalità; le differenze potrebbero essere ricondotte al fatto che la terapia medica è ora efficace nel ridurre il rischio clinico in pazienti con ischemia moderata/severa, e ai bias di selezione del paziente. Si giunge quindi ad un rimodernamento della flow chart del test di ischemia: l’aterosclerosi è la malattia, non la stenosi o l’ischemia, la severità della stenosi è la conseguenza anatomica secondaria dell’arterosclerosi del lume, l’ischemia è la conseguenza terziaria dell’arteriosclerosi e riduzione del lume coronarico, il burden totale aterosclerotico rappresenta il maggior fattore prognostico determinante.
La coronaroTAC non è indicata come prima linea, per le disponibilità di risorse e competenze, per la percentuale di falsi positivi, è una strategia non validata da studi randomizzati (studio PRECISE).
Nel paziente asintomatico con bassa probabilità pre test userò la coronaroTAC, negli altri pazienti test di ischemia; l’approccio deve essere dinamico in base a evoluzione del profilo di rischio e la risposta alla terapia medica.
Il Dottor Marino Scherillo parla di timing e modalità della rivascolarizzazione: per la rivascolarizzazione delle lesioni non culprit nelle SCA, le linee guida distinguono STEMI da NSTEMI; nel paziente STEMI il cut-off è 45 giorni, (classe I A), mentre nel paziente NSTEMI è possibile durante la procedura (classe II A).
La rivascolarizzazione totale riduce i MACE e il rischio a distanza, come mostrano alcune metanalisi del 2017, mentre una metanalisi del 2020 mostra che giova anche sulla mortalità cardiovascolare.
Nel paziente con sospetta CAD il tipo di rivascolarizzazione dipende dal tipo di malattia coronarica; se uno o due vasi indicata la PCI (Ia), se trivasale e paziente diabetico indicata la CABG (IA). L’ischemia è il descrittore prognostico.
Per ciò che riguarda le tecniche di imaging coronarico, lo studio PROSPECT ha mostrato i MACE correlati a lesioni non culprit, mentre lo studio CLIMA (con OCT) ha mostrato che più valutazioni vengono eseguite sui vasi non culprit migliore è il profilo prognostico. La placca va valutata in maniera multimodale; lo studio PREVENT ha mostrato che un paziente con placca instabile all’OCT con FFR negativo aveva più eventi rispetto al gruppo di controllo.
Nel paziente asintomatico con sospetta CAD si esegue coronaroTAC, se la stenosi è maggiore del 70%, si effettua valutazione funzionale con FFR, se lesioni tra 50 e 70% si esegue un test funzionale di ischemia, se < 50% si avvia a terapia medica ottimale. L’evoluzione è la valutazione della placca ad alto rischio con metodiche integrate in pazienti sintomatici e asintomatici.
Il Dottor Jacopo Oreglia discute sul trattamento delle occlusioni croniche.
Le occlusioni croniche sono un reperto frequente, circa 82.5 % sul totale delle coronarografie; la presenza di CTO si associa a prognosi sfavorevole, maggiormente nelle SCA. Nel registro Canadian delle CTO si è osservato che la rivascolarizzazione migliora la prognosi.
La disostruzione porta beneficio? lo studio DECISION-CTO è inconclusivo (campione poco numeroso, elevato crossover nei due gruppi); la riduzione del burden ischemico migliora l’outcome, maggiormente se la rivascolarizzazione è completa.
Nel paziente con FE ridotta il beneficio aumenta, maggiormente a sei mesi in base al recupero di FE, mentre nel paziente non disfunzionante il beneficio non è mantenuto.
Il beneficio esiste sui sintomi, nei trial e registri con valutazione del test cardiopolmonare il beneficio è stato osservato e confermato.
Il più recente documento sull’argomento è il Consensus di Eurointervention 2024 che distingue diversi fenotipi clinici delle CTO: paziente SCA, peggiori per prognosi, scompenso, IMA di tipo 2, angina stabile, diagnosi incidentale; se il paziente è sintomatico si interviene, se asintomatico, in caso di disfunzione sistemica si rivascolarizza se ce vitalità, se la funzione è conservata, si ricerca l’ischemia che deve essere maggiore della quota del 10%.
Per ciò che riguarda la complessità/fattibilità esistono score anatomici, vengono usati algoritmi standardizzati; il tasso di successo in mani esperte è del 90%, aumenta con il volume delle procedure.
I MACE si attestano intorno al 2%, la mortalità è dello 0.4 %, ci sono fattori che si associano ai MACE e anche su questo viene creato uno score di rischio del paziente.
Il registro PROGRESS-CTO raccoglie la casistica e i dati delle curve di apprendimento, e pone l’attenzione sulle competenze di centri esperti ai quali devono essere riferiti i pazienti e la selezione accurata dei casi.

Foto di Christine Sponchia