MAIN SESSION: LA CONSULENZA CARDIOLOGICA PRIMA DELLA CHIRURGIA NON CARDIACA ALLA LUCE DELLE RECENTI LLGG ESC

di Carlo Barsali

Come valutare il rischio cardiovascolare pre-operatorio

Sessione moderata dal Dott. Carmine Riccio e dal Dott. Stefano Urbinati

La sessione si apre con il Dott. A. Genovesi Ebert che sottolinea come le nuove linee guida ESC del 2022 sulla chirurgia non cardiaca sia incentrate sulla definizione di corretto iter da seguire per attribuire un corretto rischio cardiologico preoperatorio che dipende sia dalle caratteristiche cliniche ed anamnestiche del paziente sia dal tipo di intervento che dovrà effettuare. Per quanto riguarda il paziente è quindi fondamentale riconoscere quei fattori di rischio personali (età, storia di sindrome coronariche, storia di scompenso cardiaco, la presenza di valvulopatie o la concomitante presenza di arteriopatia periferica) e l’autonomia funzionale del paziente. E per fare ciò esistono vari score fra cui, ad esempio il Lee score aggiornato e la scala dei METs. Nei pazienti con fattori di rischio o che dovranno essere sottoposti a chirurgia ad intermedio/alto rischio è necessario stratificare ulteriormente il rischio preoperatorio e, per questo, possono servire l’ECG e i biomarcatori. Fra questi ultimi i principali sono la troponina ad alta sensibilità e i peptidi Natriuretici. Per quanto invece riguarda ulteriori approfondimenti diagnostici, secondo le nuove linee guida, l’ecocardiogramma routinario non ha evidenziato benefici se non in pazienti con classi II-IV di Lee (>3 fattori di rischio) o con segni e sintomi di cardiopatia sottostante (soffi, anomalie elettrocardiografiche, innalzamento dei biomarcatori). L’altro fattore di fondamentale importanza da valutare nel preoperatorio è il tipo di intervento a cui il paziente andrà incontro e anche per questo esistono delle tabelle riassuntive all’interno delle linee guida. Il relatore conclude soffermandosi che la consulenza cardiologica non ha solo l’obbiettivo di valutare il rischio di morte ma anche di ridurre il rischio di eventi cardiologici a lungo termine. La sessione prosegue con il Dottor Federico Nardi che affronta un aspetto di notevole rilevanza: quando può serve l’imaging nella valutazione preoperatoria e quando no. Il relatore analizza molteplici studi che dimostrano come l’ecocardiografia possa permette di valutare ed identificare alcuni aspetti che potrebbero peggiorare la prognosi del paziente come la disfunzione diastolica, la permetti di definire, la disfunzione ventricolare sinistra, la presenza di cardiomiopatie. Ma aggiunge, un utilizzo a tappetto della metodica non ha dimostrato vantaggi concreti rispetto ad un uso guidato dalla clinica. Infatti, le stesse linee guida attribuiscono una classe di evidenza IC di eseguire un ecocardiogramma solo nei pazienti con soffio cardiaco di nuova rilevazione e nei pazienti con segni di malattia cardiovascolare. Stesso discorso vale i per test provocativi che giocano un ruolo solo in caso di precedente storia di rivascolarizzazione. Infine, per quanto riguarda la TC-Coronarica trova indicazione solo nel momento in cui siamo di fronte a pazienti con storia di coronaropatia, e con elevata probabilità clinica di progressione di malattia aterosclerotica.

Dilemma delle troponine

Il terzo relatore della sessione è il Dott. Marcello Galvani che va ad affrontare il complesso tema dei biomarcatori nello screening pre chirurgia non cardiaca. La presenza di valori elevati dei biomarcatori nel periodo pre intervento rappresenta un fattore prognostico negativo. Le linee guida proporrebbero un uso quasi estensivo sia delle Troponine ad alta sensibilità e dei peptidi natriuretici sia nel periodo pre che nel post operatorio. La maggior criticità sollevata dal relatore la si può ritrovare nella difficile gestione di eventuali innalzamenti degli stessi nel periodo post procedurale, soprattutto se non proceduti da una valutazione degli stessi nel preoperatorio. Infatti, un aumento dei biomarcatori al di sopra dell’intervallo di riferimento potrebbe anche essere una conseguenza di altre problematiche sottostanti (anemia, ipotensione intraoperatoria, ecc.). Sarebbe quindi più opportuno valutare in toto il paziente nel post operatorio sottoponendolo a un work up diagnostico non incentrato solo sul rialzo di questi biomarcatori.

Terapia antiaggregante

Il Dottor Roberto Caporale affronta la gestione della terapia antiaggregante nel paziente da sottoporre a chirurgia non cardiaca e rimarca come sia il risultato di attenta valutazione del rischio ischemico e del rischio di sanguinamento del paziente. Esistono alcuni fattori che possono valutare il rischio ischemico e fra questi i più importanti sono la presenza di una coronaropatia rivascolarizzata (da meno di 1 mese nella sindrome coronarica cronica, da meno di 3 mesi nel caso di una sindrome coronarica acuta) e il tipo di rivascolarizzazione effettuata (score di Giustino). In linea generale i pazienti ad elevato rischio ischemico, in cui la chirurgia non sia differibile, devono proseguire la duplice terapia antiaggregante ma, se devono effettuare una chirurgia ritenuta ad alto rischio di sanguinamento si dovrebbe effettuare il bridge con le piccole molecole o con antiaggreganti endovenosi. Nei pazienti a rischio ischemico non elevato si può considerare la sospensione della duplice terapia antiaggregante in base al tempo intercorso dalla rivascolarizzazione. La sospensione dell’aspirina in prevenzione secondaria non è mai da effettuare se non nei pazienti a rischio di sanguinamento molto alto (neurochirurgia). Il relatore mostre in conclusione una app “stent and surgery” che grazie all’attribuzione di un rischio trombotico si sceglie il tipo di intervento da realizzare che attribuisce un rischio di sanguinamento e indica la condotta da proseguire.

Profilassi tromboembolica quando veramente necessaria

La sessione si chiude con il Dottor Andrea Rubboli che analizza la profilassi tromboembolica nei pazienti sottoposti a chirurgia non cardiaca. In una metanalisi di 52 studi sul tromboembolismo venoso e il rischio di sanguinamento si è dimostrato come una profilassi medica, sistematica, nel post operatorio non rappresenti un reale beneficio per il paziente, ma anzi aumenti solo il rischio emorragico. Esistono infatti degli score come il CAPRINI che valutando alcuni fattori sia personali che del tipo di chirurgia attribuisce il rischio di trombo embolismo venoso in basso, intermedio ed alto rischio. In conclusione, la trombo profilassi deve essere considerata quando il rischio operatorio è intermendio/alto e deve essere quindi effettuata fino a 24 ore prima dell’intervento e ripresa nel post operatorio. Per i pazienti già in terapia anticoagulante orale non è più raccomandato il bridge se non nei pazienti ad alto rischio embolico (protesi valvolari, stroke <3 mesi, CHADvasc >7 malattia reumatica in atto) da sottoporre ad interventi ad alto rischio di sanguinamento. Negli interventi a basso rischio non è più invece da considerare una sospensione degli OAC.