La sessione sulle nuove frontiere della riduzione del rischio cardiovascolare, moderata dal Professor Leonardo De Luca, dal Dottor Sandro Petrolati e dal Dottor Sandro D’Amico è stata introdotta da una breve relazione del Professor Aldo Pietro Maggioni con lo scopo di rendere nota l’attività del Centro Studi nell’ambito della patologia renale cronica.
L’esperienza parte dallo studio EMPA – KIDNEY, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di empagliflozin nei pazienti con malattia renale cronica (CKD) diabetici e non diabetici. L’endpoint principale era un composito di riduzione della progressione della malattia renale e morte per cause cardiovascolari. Il risultato ha visto una riduzione del 28% dell’endpoint primario con un NNT di 28. Su questa base il farmaco è stato approvato con l’indicazione di prevenzione della progressione della malattia renale.
In questa popolazione di pazienti, anche se trattati con inibitori del sistema renina angiotensina e con SGLT 2, l’aldosterone ha un effetto deleterio in termini di disfunzione endoteliale, progressione della fibrosi e del danno glomerulare.
Gli studi FIDELIO e FIGARO, condotti in pazienti diabetici, hanno testato l’efficacia di finerenone (un antagonista non steroideo dei recettori mineralcorticoidi) in termini di riduzione della progressione della malattia renale e di riduzione della mortalità cardiovascolare. Entrambi gli studi hanno avuto risultato positivo (il FIDELIO-DKD nella riduzione della progressione della malattia renale, il FIGARO-DKD nella riduzione della mortalità cardiovascolare). Gli studi hanno però indagato solo pazienti diabetici e con proteinuria.
Da questo nasce la necessità dello studio EASi Kidney. EASi-KIDNEY mira ad arruolare una popolazione di pazienti con malattia renale cronica a rischio di progressione sia diabetici (strato 1, circa 4800 soggetti), sia non diabetici (strato 2, circa 6200 soggetti), per un totale di 11.000 pazienti. Tutti i partecipanti allo studio saranno trattati con empagliflozin e con inibitori dell’angiotensina (terapia di base) e verranno randomizzati a placebo o un nuovo antagonista dei recettori dei mineralcorticoidi, attualmente chiamato BI 690517. L’outcome primario sarà un composito di morte cardiovascolare o ospedalizzazione per scompenso cardiaco o progressione della malattia renale (valutata come end stage disease, morte per insufficienza renale o declino sostenuto di eGFR). Lo studio partirà a settembre 2024.
La relazione seguente (Professor Sergio Leonardi) si concentra sulle terapie attuali e future per il paziente obeso. Sovrappeso e obesità aumentano il rischio di eventi cardiovascolari indipendentemente dalla presenza di diabete. In particolare, l’aumento del rischio di malattia coronarica è stimabile nel 50%, l’aumento del rischio di scompenso cardiaco, soprattutto nel fenotipo a preservata frazione di eiezione, di quasi il 100%.
Lo studio SELECT ha valutato l’efficacia e la sicurezza della semaglutide, un agonista del recettore GLP-1, nel ridurre gli eventi cardiovascolari in soggetti sovrappeso ed obesi ma non diabetici ad elevato rischio cardiovascolare (pregresso infarto miocardico, ictus o malattia vascolare periferica). Circa l’80% dei 17000 pazienti arruolati aveva avuto una pregressa sindrome coronarica acuta. I risultati positivi del trial sono noti (riduzione del 20% dei MACE) e hanno suscitato entusiasmo nella comunità cardiologica. La separazione delle curve avviene molto precocemente ed è imputabile principalmente ad una riduzione di infarto miocardico. L’effetto di riduzione dell’outcome si manifesta prima della riduzione di peso (e quindi indipendentemente) e prima che del raggiungimento del dosaggio target di 2,4 mg /settimana sottocutaneo.
Cosa ci riserva il futuro? La relazione prosegue con una overview delle molecole attualmente in studio. La caratteristica comune dei nuovi farmaci è la ricerca di nuovi target metabolici (in particolare il glucagone e il polipeptide insulinotropico glucosio dipendente GIP) da associare all’azione di agonismo sul recettore GLP-1:
- la tirzepatide (un attivatore del recettore GLP-1 e del polipeptide insulinotropico glucosio dipendente GIP) ha dimostrato un potente effetto di riduzione del peso corporeo (superiore a semaglutide);
- la combinazione cagrilintide/semaglutide (conosciuta come CagriSema) è una combinazione di semaglutide con un analogo della amilina che rallenta lo svuotamento gastrico e aumenta il senso di sazietà;
- l’orforglipron, un analogo non peptidico agonista del GLP-1 per via orale, affiancherà probabilmente la somministrazione orale di semaglutide;
- la survodutide sfrutta il doppio agonismo recettoriale su GLP-1 e glucagone;
- il retatrutide (un triplo agonista recettoriale di GLP-1, glucagone e GIP) è stato studiato in una popolazione di pazienti obesi e diabetici. L’effetto più sorprendente è quello osservato sulla riduzione di peso, per la prima volta competitivo con i risultati della chirurgia bariatrica.
Al termine della relazione i moderatori della sessione si pongono domande riguardo alle implicazioni organizzative e gestionali della diffusione delle nuove terapie per l’obesità.
Uno dei primi ostacoli è l’attuale assenza di rimborsabilità della terapia nel paziente non diabetico.
A questo si aggiunge la necessità da parte del cardiologo di ampliare il proprio bagaglio di conoscenze in ambito diabetologico, nefrologico ed endocrinologico. Una delle soluzioni auspicabili, anche se di difficile attuazione pratica soprattutto in realtà periferiche, è la creazione di ambulatori multispecialistici per la gestione dei pazienti più complessi e delle terapie di associazione (GLP-1 RA e SGLT 2).
Una domanda attualmente senza risposta è l’età a cui è opportuno iniziare un trattamento farmacologico dell’obesità. Un tema particolarmente importante in Italia, data l’elevata prevalenza di sovrappeso e obesità nella popolazione infantile (circa 40%). I moderatori e i relatori riconoscono l’importanza di affrontare i temi dell’educazione alimentare fin dalla scuola primaria, ma concordano sull’attuale assenza di dati riguardo al trattamento farmacologico nei pazienti inferiori a 18 anni.
