MAIN SESSION ARITMIE VENTRICOLARI E PREVENZIONE DELLA MORTE IMPROVVISA

di Alessia Currao
Un sistema integrato e personalizzato per ridurre la morte improvvisa. Moderatori: Sakis Themistoclakis, Agnieszka Justyna Pawlak.

Stratificazione del rischio di morte improvvisa nelle cardiomiopatie: quali novità dalle Linee Guida ESC – Raimondo Calvanese – Ospedale del Mare, Napoli

La morte improvvisa interessa i pazienti nelle fasce di età più giovani. La diffusione dei defibrillatori automatici esterni (DAE) insiemi agli sviluppi farmacologi hanno portato ad una riduzione della mortalità nei pazienti affetti da cardiopatia ipertrofica. La stratificazione del rischio aritmico è un processo che va condiviso con il paziente e deve tenere conto di aspetti culturali, del contesto sociale delle preferenze individuali del credo e di circostanze di vita particolari.

Viene poi passata in rassegna la storia della stratificazione prognostica e di come si è evoluta la ricerca di fattori di rischio di morte improvvisa e l’indicazione all’impianto del defibrillatore. Ai classici fattori di rischio aritmico si sono affiancati nuovi marcatori come, ad esempio, la presenza di un aneurisma apicale, la funzione sistolica ventricolare sinistra inferiore al 50% e l’estensione della fibrosi valutata con risonanza magnetica cardiaca.

Già da qualche anno ormai, la Società Europea di Cardiologia ESC incoraggia i clinici  ad utilizzare uno score per la valutazione del rischio. Il vantaggio di tale score è la facile fruibilità, l’estrema diffusione anche se in qualche caso sovrastima il rischio.

Nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa il principale determinante di rischio è la frazione di eiezione ventricolare sinistra e il cut-off decisionale è 35%.

Per anni la frazione di eiezione è stata considerato l’unico elemento su cui basare la decisione ma negli anni più recenti, soprattutto con lo sviluppo e la diffusione della risonanza magnetica anche l’estensione della fibrosi ha assunto un ruolo crescente. Siccome rappresenta un indicatore dell’estensione del substrato aritmico è ragionevole ritenere che la presenza e l’estensione della fibrosi è associata ad eventi aritmici ed è completamente indipendente da i valori di frazione di eiezione.

Al giorno d’oggi la stratificazione del rischio aritmico si base in maniera sempre più importante sulla valutazione genetica in quanto alcune mutazioni si sono dimostrate associate ad un aumentato rischio di aritmie. Ad esempio la mutazione a carico del gene  della filamina C (FLNC) si è dimostrata  associata a maggior rischio di aritmie ventricolari. Anche nella cardiomiopatia dilatativa il rischio di morte improvvisa tende a ridursi con l’età.

Morte improvvisa nella Cardiopatia Ischemica – Marco Scaglione – Ospedale Cardinal Massaia, Asti

La cardiopatia ischemica può essere associata alla morte improvvisa sia nella sua forma acuta (infarto miocardico acuto) che nella sua forma cronica.  Ovviamente i meccanismi alla base delle aritmie e le aritmie stesse saranno differenti a seconda che subentrino in pazienti con cardiopatia ischemica acuta o cronica.

I trigger nella cardiopatia ischemica improvvisa possono essere molteplici.

Alcuni studi sono stati condotti per cercare di capire cosa possa aumentare il rischio di aritmie nella fase acuta dell’infarto ma non abbiamo ad oggi dati definitivi.

L’oracolo predittivo ad oggi maggiormente considerato è, ancora una volta, la frazione di eiezione. Dopo almeno 40 giorni dall’infarto acuto una frazione di eiezione inferiore al 35% rappresenta un’indicazione all’impianto del defibrillatore in prevenzione primaria.

Altri predittori sono i surrogati elettrofisiologici come la presenza di aritmie ventricolari spontanei o inducibili allo studio elettrofisiologico, presenza di fibrosi alla risonanza magnetica cardiaca, la valutazione dei riflessi barocettivi espressione di un aumentato o ridotto tono vagale, alcuni valori derivati dagli esami ematochimici quali PCR, e omocisteina, e alcuni marker genetici in rado di determinare la reattività endoteliale del circolo coronarico.

Quindi, la sola frazione di eiezione non basta, è importante valutare il paziente nel suo complesso: la coesistenza di FA, classe NYHA, diabete e la presenza di aritmie atriali o ventricolari per presenza ad esempio di tessuto cicatriziale.

Anche pazienti con frazione di eiezione maggiore di 40% non hanno un rischio nullo di avere aritmie ventricolari e morire improvvisamente.

Lo studio PRESERVE EF ha valutato altri possibili predittori della morte improvvisa in pazienti con pregresso infarto miocardico e frazione di eiezione maggiore del 40%.

Questo studio ha ricercato la presenza di fattori di rischio quali: la presenza di complessi ventricolari prematuri o tachicardie ventricolari non sostenute, potenziali tardivi, QTc prolungato, aumento dell’alternanza delle onde T, ridotta variabilità della frequenza cardiaca, capacità di decelerazione anomala con turbolenze anomale. I pazienti che avevano almeno un fattore di rischio sono stati sottoposti a studio elettrofisiologico mediante stimolazione ventricolare programmata (PVS) e l’impianto dell’ICD è stato eseguito nei pazienti inducibili. Su 575 pazienti 204 avevano almeno un fattore di rischio. Durante un follow-up medio di 32 mesi nessuno dei pazienti senza fattori di rischio ha avuto eventi così come i pazienti con almeno un fattore ma studio elettrofisiologico negativo.

Anche nella cardiopatia ischemica cronica la presenza e l’estensione della fibrosi ha un ruolo predittivo. Pazienti che hanno fibrosi alla risonanza e che hanno anche una frazione di eiezione ridotta hanno un outcome peggiore.

Nei pazienti con cardiopatia ischemica cronica posti infartuale con frazione di eiezione inferiore al 40% l’ablazione preventiva della tachicardia ventricolare si è dimostrata in grado di ridurre il numero di interventi del defibrillatore. Alla luce dei dati dello studio PREVENTIVE VT questa possibilità è appara nelle recenti linee guida ESC sulle tachicardie ventricolari

Terapia farmacologica: scelta ragionata – Sakis Themistoclakis – Ospedale dell’Angelo, Mestre

Mentre ci sono stati progressi in termini diagnostici e nello sviluppo dei device in tema di farmaci antiaritmici non abbiamo assistito a progressi significativi.

Alcuni farmaci antiaritmici sono stati studiati per verificare la loro utilità nel ridurre la morte improvvisa. La Flecainide ha dimostrato un effetto peggiorativo nei pazienti con cardiopatia ischemica cronica post-infartuale.

Anche con il d-sotalolo aumentava il numero di eventi rispetto al placebo per induzione di torsioni di punta. In particolare, le donne ed i pazienti con cardiopatia strutturale avevano un rischio aumentato di torsioni di punta. Come noto, i farmaci antiaritmici possono avere anche un effetto proaritmico che è più evidente nei pazienti con cardiopatia strutturale e con ipertrofia ventricolare.

Inoltre, occorre considerare un altro aspetto importante quando si somministrano farmaci antiaritmici cronicamente. Invecchiando cambiano molti parametri che possono influenzare l’efficacia del farmaco: cambia l’assorbimento, il volume di distribuzione, il metabolismo epatico e l’escrezione renale.

In acuto l’amiodarone è più efficace della lidocaina ma non determina alcuna riduzione sulla mortalità totale ma solo aritmica. Da non sottovalutare gli effetti collaterali dell’amiodarone anche a lungo termine. La somministrazione cronica di amiodarone, infatti, si associa molto spesso a disturbi tiroidei, più spesso ipotiroidismo, e ad accumuli in diversi distretti. Fedeli alleati dei farmaci antiaritmici sono i farmaci betabloccanti specie se non selettivi come il propranololo.

Anche nella gestione dello storm aritmico betabloccanti non selettivi e amiodarone sono i farmaci di prima scelta ma a volte da soli non bastano e quindi servono altri rimedi come la sedazione profonda, l’ablazione transcatetere e la neuromodulazione.

In merito all’impiego di profilassi farmacologiche croniche nei pazienti con cardiopatia ischemica cronica vi sono poche evidenze ed i farmaci utilizzabili sono pochi in quanto

Anche per quanto riguarda la cardiopatia ipertrofica non abbiamo molti dati sulla cardiopatia ipertrofica non abbiam studi a supporto per cui le casistiche sono limitate. Tuttavia, nuovi farmaci per la cura dello scompenso sono entrati a far parte dell’armamentario del clinico- Pur non essendo propriamente dei farmaci antiaritmici vi sono evidenze a supporto di un loro possibile effetto antiaritmico.

In conclusione: nessun antiaritmico ha dimostrato la riduzione della morte per tutte le cause

Terapia non farmacologica – Massimo Grimaldi – Ospedale generale regionale Miulli, Acquaviva delle Fonti (BA)

La cardiopatia ischemica nella sua forma acuta e cronica è la prima causa di morte improvvisa. Come prevenire non farmacologicamente la morte improvvisa dei pz

Le ultime linee guida ESC sul trattamento delle tachicardie ventricolari raccomandano di valutare la frazione di eiezione a 40 giorni dall’infarto. Se inferiore o uguale al 35% vi è direttamente l’indicazione all’impianto dell’ID in prevenzione primaria. Se compresa tra 36 e 40% in presenza di un evento sincopa vi sarà indicazione ad eseguire un SEF ed in caso di inducibilità di tachicardie ventricolari sostenute si procederà all’impianto di un defibrillatore. Va però considerato che l’impianto del defibrillatore è un’arma molto utile contro la morte improvvisa ma non riduce la mortalità totale. Ciò è quello che si evince dagli studi DINAMIT e IRIS. Se è vero che occorre aspettare i 40 giorni per valutare la frazione di eiezione residua dopo l’vento acuto è altrettanto vero che la mortalità nei primi trenta giorni non è affatto bassa e risente della frazione di eiezione. Più bassi sono i valori di frazione di eiezione più alto è il rischio di morte nei primi trenta giorni. Tale rischio rimane elevato in caso di mancato recupero della razione di eiezione come dimostrato dagli studi REFINE e CARISMA. Potrebbe, quindi essere ragionevole proteggere il paziente con un defibrillatore indossabile nei primi 40 giorni.

L’ablazione potrebbe essere, in casi selezionati, un’ottima strategia non farmacologica. Sono stati descritti casi di fibrillazione ventricolare innescati da extrasistoli provenienti dalle fibre di purkinje che possono essere trattate con l’ablazione.

Nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (minore di 35%) la defibrillazione ha una indicazione di classe IIa nel caso di cardiopatia non ischemica e Ia nel caso di cardiopatia ischemica. Ciò deriva da evidenze dello studio SCD-HeFT che ha dimostrato come il defibrillatore fosse superiore rispetto all’amiodarone nel ridurre la mortalità. Tuttavia, la minore classe di di raccomandazione per la cardiopatia non ischemica deriva dallo studio DANISH in cui la mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco ad eziologia non ischemica non beneficiavano dall’impianto del defibrillatore. Inoltre, se il QRS è largo vi sarà l’indicazione ad impianto di un sistema di resincronizzazione (CRT): classe IIa se QRS 130-149, classe Ia se QRS maggiore di 150 msec.

Infine, i nuovi farmaci per il trattamento dello scompenso come l’associazione sacubitril/valsartan hanno dimostrato un effetto nel migliorare i valori di frazione di eiezione a distanza di mesi. Aspettare potrebbe portare a non dover impiantare il defibrillatore. Anche in questo contesto potrebbe trovare un impiego il defibrillatore indossabile per poter proteggere il paziente nel periodo di attesa in terapia medica ottimizzata. A questo proposito si è espresso un position paper dell’ANMCO secondo cui il defibrillatore indossabile può essere utilizzato nei primi 40 giorni dopo l’infarto e nei primi novanta giorni dopo rivascolarizzazione miocardica chirurgica o percutanea. Nel caso invece di cardiopatia ad eziologia non ischemica il defibrillatore indossabile può essere indicato nei 90 giorni di trattamento medico ottimizzato, e nei primi 90-180 giorni dopo una miocardite o dopo una cardiopatia peripartum.

Indipendentemente dai valori di frazione di eiezione il defibrillatore indossabile può essere indicato nei pazienti in attesa di eseguire un’ablazione transcatetere, nei pazienti nell’attesa di reimpianto dopo una estrazione per infezione del defibrillatore impiantabile o in attesa di trapianto cardiaco. Le linee guida 2022 riportano anche un concetto fondamentale. Per prevenire la morte improvvisa non basta la scienza medica ma occorre un sistema integrato pronto ad intervenire precocemente in caso di arresto cardiaco. Sottolineano, infatti l’importanza della distribuzione dei defibrillatori automatici (DAE).

La Prevenzione nel rischio di morte improvvisa: le 5 cose che si devono sapere – Professor Maciej Sterlinski – Hearth Rythm Center, Warszawa (Polonia)

La morte improvvisa è la prima causa di morte con incidenza che variano a seconda delle casistiche.  I maschi sono più a rischio delle donne, soprattutto nelle fasce di età più giovanili. Le patologie più implicate nella morte improvvisa sono la cardiopatia ischemica nella sua forma acuta e cronica e le cardiopatie strutturali. La prevenzione della morte improvvisa va fatta in modo individualizzato evitando così sotto- o un sovrautilizzo del defibrillatore impiantabile. Il rischio di morte va anche valutato nel tempo in quanto potrebbero esserci fattori competitivi. Si è poi tornato sull’impiego del defibrillatore indossabile ribadendo i punti espressi precedentemente. Ed in conclusione sono stati sottolineate le implicazioni psicologiche della morte improvvisa soprattutto nei pazienti che ricevono un defibrillatore.

Alessia Currao ANMCO
Alessia Currao