Una sessione del congresso ANMCO 2013 dedicata al tema dell’angina stabile titolava: cosa diranno le nuove linee guida ESC: nuove raccomandazioni, vecchi dubbi?
Ed eccoci un anno dopo a parlarne in un simposio dedicato.
La cosiddetta “malattia coronarica stabile” (SCAD) è un entità dalle molte facce, di difficile definizione epidemiologica per la sua essenza prettamente clinica oltre che per la tendenza troppo diffusa a dimenticare l’esistenza dell’angina microvascolare e vasospastica. Per evitare di brancolare nel buio le linee guida ci invitano a muoverci per step: individuare la probabilità che un paziente abbia una SCAD, eseguire test non invasivi per fare diagnosi nei pazienti con probabilità intermedia e, una volta fatta diagnosi, approntare la terapia medica ottimale, individuando i pazienti che potrebbero beneficiare di indagini invasive e di procedure di rivascolarizzazione. Gli obiettivi che dobbiamo raggiungere sono chiari: eliminare i sintomi anginosi per migliorare la qualità della vita, ridurre l’ischemia ed aumentare la sopravvivenza.
Parte integrante della terapia è il controllo dei fattori di rischio e un adeguato stile di vita (abolizione del fumo, dieta e attività fisica), elementi imprescindibili che impongono uno stretto follow-up e un sistema territoriale efficace nella fase post-dimissione. Parallelamente abbiamo nuovi farmaci a disposizione che hanno modificato il concetto di terapia medica ottimale: ivabradina, che riduce la domanda di ossigeno senza effetti su inotropismo e pressione arteriosa e ranolazina, un inibitore delle correnti tardive del sodio con effetti anti-ischemici. Entrambi sono inseriti nelle recenti linee guida come seconda opzione terapeutica, in aggiunta o in associazione a beta-bloccanti e/o calcio-antagonisti in pazienti con sintomi persistenti.
Per rimuovere una eventuale ischemia residua sottostante, a guidare la decisione di rivascolarizzare o meno un paziente un ulteriore strumento è stato offerto ai colleghi emodinamisti: la fractional flow reserve (FFR) permette di determinare la necessità di procedere a stent di stenosi coronariche tra il 50 e il 90% (studio FAME-2) e puntare così alla rivascolarizzazione coronarica completa dal punto di vista funzionale e non solo anatomico.
Alcuni passi avanti sono stati indubbiamente fatti, ma si può guardare oltre ed ANMCO lo sa: il registro osservazionale prospettico STAR è proposto proprio da ANMCO a livello nazionale per valutare i percorsi diagnostici e terapeutici dei pazienti ricoverati nelle Cardiologie italiane con diagnosi di coronaropatia stabile: lo scopo è quantificare l’entità del problema nelle diverse zone d’Italia, capire come i pazienti vengono indirizzati a terapia medica ottimale o a rivascolarizzazione miocardica ed analizzare la ricorrenza dei ricoveri nei due gruppi.
Conoscersi per migliorare!
MINIMASTER: TERAPIA ANTIAGGREGANTE PIASTRINICA NELLE SINDROMI CORONARICHE ACUTE
di Alessio Mattesini
I nuovi antiaggreganti piastrinici, prasugrel e ticagrelor, rappresentano un importante armamentario a disposizione del cardiologo clinico ed interventista nel trattamento dei pazienti con sindrome coronarica acuta. Queste nuove molecole si rivelano particolarmente utili nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta ad alto rischio. Anche se le linee guida internazionali forniscono delle raccomandazioni generali preziose sull’impiego dei diversi farmaci antiaggreganti, il loro impiego richiede comunque una attenta e scrupolosa valutazione del quadro clinico. Numerose sono infatti le variabili che concorrono alla scelta del farmaco più indicato per ciascun paziente. Tra queste rivestono particolare importanza il bilancio del rischio ischemico ed emorragico, il quadro angiografico ed i dettagli procedurali in caso di rivascolarizzazione percutanea, il concomitante utilizzo di farmaci anticoagulanti e, non ultimo, il costo dei diversi antiaggreganti e la loro rimborsabilità. Altrettante problematiche affiorano nel momento in cui si debba considerare la sospensione precoce della terapia per rischio emorragico elevato o ricorso non differibile alla chirurgia maggiore. A questo proposito, la fine del 2013 ha visto la pubblicazione di una consensus multidisciplinare sulla gestione della terapia antiaggregate in pazienti chirurgici portatori di stent coronarici stilata di concerto delle maggiori società italiane di cardiologia, di chirurgia e di anestesia e rianimazione. Questo documento rappresenta un elemento importante nell’ottica di una continuità di gestione della terapia antiaggregante tra professionisti di diverse specialità.
In questo panorama il minimaster ANMCO è rivolto a tutti coloro che vogliano approfondire questa tematica estremamente attuale e di notevole rilevanza clinica. L’esposizione sarà articolata in tre sessioni. Nella prima parte, i relatori, moderati da Antonio Nicosia e Alessandro Salvi proporranno una analisi critica mirata ad illustrare i trial e le raccomandazioni delle linee guida relative ai diversi farmaci offrendo spunti clinici di riflessione relativi alla gestione della terapia antiaggregante in particolari scenari clinici.
La seconda parte del minimaster riprenderà la questione proponendo soluzioni pratiche mirate alla gestione delle attuali problematiche riguardanti la sostituzione del clopidogrel con prasugrel o ticagrelor e viceversa, focalizzandosi inoltre sulla esposizione di protocolli di bridging con antipiastrinici parenterali per la gestione perioperatoria di pazienti ad alto rischio ischemico.
L’ultima sessione sarà rivolta ad analizzare le prospettive future inerenti nuove evidenze scientifiche di efficacia e sicurezza ed il ruolo dei test di aggregazione piastrinica nella gestione del trattamento. Gli aspetti decisionali relativi alla scelta del trattamento saranno rivisti criticamente anche in un’ottica di tipo economico-gestionale.
Il minimaster offre un’ occasione importante per potersi confrontare con specialisti esperti su in tema di estrema rilevanza e ampio respiro. Al termine dei lavori siamo certi che ciascuno dei partecipanti avrà migliorato il proprio bagaglio di conoscenze finalizzate alla gestione più appropriata della terapia antiaggregante piastrinica.
ARRESTO CARDIACO IN ITALIA: UNA SFIDA APERTA
di Emilia Biscottini
Puntiamo ad ottenere una diffusione capillare delle conoscenze di rianimazione cardiopolmonare anche nella popolazione generale così come dei defibrillatori di pubblico accesso e miriamo ad un sistema d’emergenza territoriale che intervenga nei tempi più brevi possibili. Ciò potrebbe aumentare il numero di pazienti con ROSC (Return of Spontaneous Circulation)
In Italia ogni anno 50.000-60.000 sono i decessi per arresto cardiaco. Sono colpite persone di ogni età, in apparente buona salute così come persone già affette da patologie cardiovascolari. La morte cardiaca improvvisa rappresenta oltre il 50% di tutti i decessi per malattie cardiovascolari e può essere la via finale comune della malattia coronarica, delle cardiomiopatie o di patologie aritmogene geneticamente determinate. E se è vero che nell’85% dei casi la causa sottostante è un aritmia ipercinetica defibrillabile, è anche vero che un trattamento tempestivo è nella maggior parte dei casi impossibile perché niente viene fatto fino all’arrivo dei soccorsi. Ci siamo mai chiesti perché? Perché non possiamo aspirare a formare un popolo tanto civile da sapere cosa fare in caso di arresto cardiaco? Sensibilizzare è senza dubbio la parola chiave! Progetti sul territorio, sul web, all’interno delle scuole, grazie ai quali chiunque possa dire con orgoglio “sono un cittadino soccorritore”. Un esempio a livello nazionale è il progetto VIVA che ha proposto una serie di eventi volti a informare le diverse fasce della popolazione italiana circa la rilevanza dell’arresto cardiaco e l’importanza di saper eseguire le manovre che possono salvare la vita: manovre semplici, sicure, che chiunque di noi, anche senza una preparazione sanitaria specifica, è in grado di attuare, quando è testimone di un arresto cardiaco. Solo grazie al superamento di questo limite la cardiologia italiana potrà essere pronta a costruire piani per la migliore gestione del paziente rianimato e organizzare protocolli per l’attuazione dell’ipotermia terapeutica, puntando a formare team di cardiologi clinici ed interventisti, rianimatori e neurologi per gestire la cosiddetta “sindrome post-arresto cardiaco”. Obiettivo comune è individuare quanto prima la causa sottostante dell’arresto cardiaco, scegliendo i tempi per lo studio coronarografico in modo da orientare il successivo iter terapeutico. I risultati sono ancora insoddisfacenti, con deboli effetti su sopravvivenza e recupero neurologico. E’ arrivato quindi il momento di affrontare tutti gli ostacoli e trovare la strada per creare reti regionali efficaci, lavorando tutti nella stessa direzione. Puntiamo a superare i nostri limiti: dobbiamo ottenere una diffusione capillare delle conoscenze di rianimazione cardiopolmonare anche nella popolazione generale oltre che di defibrillatori di pubblico accesso e mirare ad un sistema d’emergenza territoriale che intervenga nei tempi più brevi possibili.