La sindrome di Brugada: una nuova era della malattia?

di Antonella Spinelli

L’attuale definizione di sindrome di Brugada dell’expert consensus 2013 è stata modificata causa l’asintomaticità di molti pazienti, per cui non è più necessaria l’evidenza di aritmie maligne e ci si basa sulla comparsa del pattern ECG tipico “coved type” spontaneo o dopo induzione di test provocativi con farmaci Ic in almeno una derivazione precordiale destra (V1 e V2) i cui elettrodi siano posizionati nella posizione standard o nel secondo spazio intercostale. Nella relazione del Dr. Riccardo Cappato sull’iter diagnostico, si è focalizzato un punto chiave: non c’è una cura per la sindrome. Data l’evidenza di un elevato rischio di aritmie ventricolari maligne, prevalentemente notturne, suggerendo un’associazione con la bradicardia e gli eventi vagali, è fondamentale porre una corretta diagnosi per prevenire il rischio di morte cardiaca improvvisa in giovane età. Il pattern ECG tipico “coved Type” è presente però nella non totalità dei pazienti, per cui in presenza di alterazioni elettrocardiografiche dubbie o lievi è essenziale un approfondimento diagnostico. L’anamnesi approfondita permette di identificare familiarità e sintomi dubbi per possibili pregressi eventi aritmici nella storia del paziente. Il test ergometrico è in grado di evidenziare la comparsa di aritmie sotto sforzo e l’eventuale attenuazione dell’elevazione del tratto ST durante lo sforzo con una pronta ricomparsa al termine dello sforzo.

L’ECG Holter a 3 o 12 derivazioni permette di identificare la comparsa di aritmie sostenute e/o la comparsa spontanea del pattern ECG di tipo 2. L’ecocardiogramma transtoracico aiuta nella diagnosi differenziale con cardiopatie strutturali che possono esordire con aritmie ventricolari sostenute, sincopi e morte cardiaca improvvisa in giovane età. Accertata la diagnosi, lo studio elettrofisiologico (SEF) ricopre un ruolo fondamentale nella stratificazione del rischio. L’induzione di fibrillazione ventricolare (FV) al SEF risulta essere un fattore prognostico negativo. Secondo le attuali linee guida ESC l’impianto di ICD ha una classe di raccomandazione I con evidenza C (I C) in pazienti che sono sopravvissuti ad un arresto cardiaco e/o documentazione di tachicardia ventricolare, storia di sincope (IIb B) o in chi ha avuto induzione di FV al SEF (IIa C).

Quale ICD? Sottocutaneo o transvenoso? Ha risposto al quesito la Dr.ssa Sara Vargiu affermando che l’ICD sottocutaneo è risultato non inferiore all’ICD transvenoso in termini di efficacia. Secondo le attuali linee guida ESC 2015 è indicato l’impianto di ICD sottocutaneo in alternativa al transvenoso nei pazienti che non necessitano di pacing antibradicardico, di terapia antitachicardica (ATP) o di resincronizzazione (IIa C), o in alternativa quando risulta complesso l’accesso venoso, successivamente ad espianto di ICD endocavitario per infezione o nei pazienti molto giovani (IIb C).

Quale terapia medica? Ha risposto il Dr. Manuel Antonio Conti chiarendo che la Chinidina è il farmaco maggiormente utilizzato in associazione all’ICD nei pazienti ad alto rischio in quanto efficace nel controllo e nella prevenzione delle recidive aritmiche, sebbene in cronico abbia degli effetti collaterali dose-dipendenti che ne richiedono spesso la sospensione. Altri farmaci disponibili e altrettanto efficaci impiegati nella pratica clinica sono l’isoproterenolo, il cilostazolo, il bepidril e la disopiramide.

Ablazione sì o no? Ha risposto al quesito il Dr. Paolo China affermando che l’ablazione epicardica del tratto di efflusso ventricolare destro rappresenta una valida alternativa nei pazienti portatori di ICD in storm aritmico, refrattari alla terapia medica, con soddisfacenti risultati di efficacia sulla non inducibilità di nuovi eventi aritmici.

Antonella Spinelli ANMCO
Antonella Spinelli