La gestione in rete dello shock cardiogeno

Stefania Angela Di Fusco

Nonostante nell’ultimo ventennio sia stato riportato un incremento della sopravvivenza dei pazienti con shock cardiogeno, la morbilità e la mortalità correlate a questa condizione sono ancora elevate e solo pochi interventi terapeutici atti a migliorarne la prognosi sono basati su chiare evidenze scientifiche. Partendo da queste premesse, il Simposio dedicato alla rete per lo shock cardiogeno ha affrontato una serie di punti critici nella gestione di questa delicata condizione. L’inquadramento eziologico precoce è essenziale per effettuare interventi terapeutici mirati pertanto è raccomandato un uso tempestivo di ECG ed ecocardiogramma. Il monitoraggio multi-parametrico di indici di funzione d’organo e parametri emodinamici è un altro aspetto assolutamente cruciale per seguire l’evoluzione della condizione e la risposta alla terapia. Fino all’80 % dei casi di shock cardiogeno si presenta nella fase acuta dello STEMI, pertanto sia da un punto di vista terapeutico che prognostico è fondamentale l’accesso precoce alla PCI primaria, strategia terapeutica associata ad una significativa riduzione della mortalità nel medio e nel lungo termine. Per quanto riguarda la terapia farmacologica di supporto inotropo si è ancora una volta evidenziato come, ad oggi, siano disponibili poche evidenze su cui basare la scelta di un vasopressore o un inotropo piuttosto che su un altro ed in generale si è sottolineato come sia da preferire l’utilizzo di una combinazione di più inotropi a basso dosaggio rispetto ad una singola molecola a dosaggi elevati. Lo shock cardiogeno è una condizione acuta rara e gravata da una elevata mortalità pertanto la gestione ottimale di questa patologia si giova di un’assistenza organizzata con una rete dedicata e strutturata a livello territoriale. Le evidenze scientifiche hanno infatti dimostrato che alti volumi ospedalieri sono associati ad una migliore sopravvivenza per cui si dovrebbero creare sistemi di assistenza con ospedali centrali “hub” che dispongano di risorse e tecnologie terapeutiche ‘on-site’ collegati con ospedali con differente livello di complessità al fine di centralizzare o decentrare il paziente a seconda della necessità. Un approccio collaborativo nell’ambito di uno spirito di squadra con un team multidisciplinare che includa tra gli altri emodinamisti, rianimatori e cardiochirurghi è sicuramente un’ulteriore strategia vincente per la cura di questa popolazione di pazienti.