INCONTRO CON L’ESPERTO
LE QUATTRO COSE CHE AVRESTE VOLUTO CHIEDERE SULL’EMBOLIA POLMONARE

di Francesca Terzi

Il Dott. Francesco Lo Giudice ha introdotto la sessione sull’embolia polmonare moderata da Claudio Picariello e Loris Roncon con la relazione dal titolo “Eparine in fase acuta: sono davvero tutti uguali i Pazienti?”.

Le linee guida raccomandano di iniziare il più precocemente possibile la terapia anticoagulante nel paziente con sospetta embolia polmonare acuta. Nei Pazienti con instabilità emodinamica (definiti ad alto rischio), che sono solo un 5% del totale, è necessaria la terapia trombolitica in associazione a terapia anticoagulante con eparina non frazionata. Il 30% dei pazienti presenta un basso rischio alla stratificazione secondo le linee guida, beneficia della terapia con anticoagulanti orali diretti e della dimissione precoce. La maggior parte dei Pazienti però (65%) presenta un rischio intermedio, nell’ambito del quale è identificabile uno spettro di gravità molto variabile che è possibile quantificare con l’utilizzo di score come il PESI e lo sPESI. In questo setting di pazienti la trombolisi non è raccomandata come evidenziato nello studio Peitho.  Lo studio Peitho pubblicato nel 2014 nel New England Journal of Medicine ha testato l’efficacia e la sicurezza del tenecteplase in 1005 pazienti con embolia polmonare acuta a rischio intermedio riportando una riduzione dell’endpoint composito di morte e scompenso emodinamico nel gruppo trattato ma al prezzo di una incidenza del 2,4% di ictus emorragico. Nei Pazienti a rischio intermedio-alto è preferibile l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare; quest’ultima ha infatti un inizio d’azione rapido, è facile da somministrare ed è gravata da un basso rischio emorragico. La maggior parte di questi pazienti, tuttavia, continua ad essere trattata con eparina non frazionata con il rischio di non raggiungere un’adeguata scoagulazione nelle prime 24-48 ore, le più critiche per la prognosi. In conclusione, non tutte le eparine sono uguali ed il loro utilizzo deve essere guidato dalla tipologia di paziente da trattare.

La sessione prosegue con la relazione della Dott.ssa Francesca Giordana: “Embolia polmonare subsegmentaria isolata: come comportarsi?”

L’embolia polmonare subsegmentaria isolata interessa le diramazioni più periferiche dell’arteria polmonare, oltre la quarta divisione, dalle arterie subsegmentarie a quelle più distali (calibro <2-3 mm). La maggior parte delle diagnosi si basa sul riscontro radiologico casuale in Paziente asintomatico. Con la diffusione dell’angio-TC, l’incidenza dell’embolia polmonare è aumentata dell’81 % come conseguenza di una possibile sovradiagnosi di casi di embolia polmonare subsegmentaria isolata non clinicamente rilevante. Bisogna prendere in considerazione il rischio di falsi positivi.

Non ci sono evidenze da trial randomizzati e controllati che documentino la necessità e la sicurezza della terapia anticoagulanti in questi scenari.

In conclusione: nel caso si documenti alla TC embolia polmonare subsegmentaria isolata è necessario in primis rivalutare il caso con il Radiologo per escludere artefatti o falsi positivi, eventualmente bisogna ripetere la TC per la conferma diagnostica. Se il reperto è confermato in caso di associata trombosi venosa profonda (TVP) vi è indicazione a somministrare la terapia anticoagulante al paziente, nel caso in cui invece non sia documentabile TVP è necessario valutare il burden trombotico, il rischio di recidiva, il profilo di rischio tromboembolico ed il rischio emorragico presentati dal Paziente per la scelta terapeutica più adeguata.

La Dott.ssa Maria Teresa Manes ha relazionato riguardo “Embolia polmonare a basso rischio: come gestire al meglio i DOAC dal PS a domicilio?

I Pazienti con embolia polmonare a basso rischio presentano una mortalità a 30 giorni inferiore all’1% e come da indicazione delle linee guida possono essere dimessi precocemente con la terapia anticoagulante adeguata. L’introduzione degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) ha portato ad abbattere le barriere per dimettere precocente il Paziente a basso rischio. Lo studio HoT-PE ha dimostrato che, in pazienti con embolia polmonare acuta a basso rischio dimessi dall’ospedale anticipatamente, il trattamento domiciliare con rivaroxaban è fattibile, efficace e sicuro, tali risultati sono stati confermati anche nei Pazienti fragili. È importante, comunque, alla dimissione educare il Paziente o l’eventuale caregiver alla necessità di compliance alla terapia e di follow-up. In conclusione: adottando specifici parametri clinici e funzionali sulla gravità della malattia, si possono individuare i pazienti a basso rischio di complicanze correlate a embolia polmonare.  Questi parametri possono rassicurare i medici nel dimettere prima quei pazienti che risultano idonei e che poi continueranno la terapia a casa, limitando il rischio di sviluppare complicanze associate alla degenza e, nel contempo, razionalizzando l’impiego delle risorse sanitarie.

L’ultima relazione è della Dott.ssa Romaniello Antonella: “Embolia polmonare e SARS-CoV-2: DOAC? E per quanto tempo?

I Pazienti COVID presentano alterazioni del profilo emocoagulativo caratterizzate spesso da alti valori di d-dimero alto. Gli eventi trombotici risultano più frequenti nei pazienti più gravi. Spesso l’embolia polmonare è distale, segmentaria e subsegmentaria. Il virus determinando lo storm citochinico comporta un danno diretto all’endotelio che si traduce spesso in trombosi microvascolare in situ, anche detta immunotrombosi. I DOAC rappresentano i farmaci di scelta per l’embolia polmonare, nel paziente con il COVID, tuttavia, bisogna prestare attenzione al potenziale rischio di interazioni farmacologiche, in particolare con i farmaci antivirali. Inoltre, il paziente con COVID può essere un paziente critico e per questo difficilmente trattabile con una terapia orale. Secondo l’opinione degli esperti è preferibile quindi trattare questi pazienti con eparina. Non ci sono chiare evidenze riguardo la durata della terapia che andrebbe proseguita per almeno tre mesi, considerando il COVID come un fattore di rischio removibile.

 

Francesca Terzi