Protagonista della sessione, moderata dal Dott. Iacovoni, è stato il Dott. Franco Cecchi, riconosciuto esperto internazionale nella cardiomiopatia ipertrofica, che ha tenuto una lectio magistralis sul tema della valutazione clinica e strumentale dell’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS).
Cecchi ha aperto la sua presentazione mostrando la definizione fornita dall’intelligenza artificiale della IVS, descritta come un aumento dello spessore della parete del ventricolo sinistro, spesso causato da un carico di lavoro aumentato che obbliga il cuore a pompare con maggiore forza.
Questo adattamento può verificarsi in diverse condizioni: ipertensione arteriosa, stenosi aortica, cardiomiopatie, ma anche esercizio fisico intenso, che può slatentizzare una predisposizione genetica o, al contrario, regredire con la sospensione dell’attività.
Per la cardiomiopatia ipertrofica (HCM) viene generalmente adottato un cut-off di 15 mm nello spessore parietale ventricolare. Tuttavia, come sottolinea il Dott. Cecchi, si tratta di un valore in parte arbitrario, che andrebbe sempre contestualizzato in base al paziente e al quadro clinico complessivo.
L’espressione fenotipica della cardiomiopatia può variare significativamente in base allo stadio della malattia: nelle fasi avanzate, ad esempio, si osserva spesso una riduzione dello spessore parietale associata a dilatazione delle camere cardiache, in particolare degli atri.
Pertanto, una volta rilevata la presenza di ipertrofia, il compito principale del cardiologo non è solo documentarla, ma soprattutto interpretarne il significato.
Come ricordava il compianto Professor Rapezzi, è necessario entrare nel cosiddetto “mindset cardiomiopatico”: agire come un vero e proprio detective, alla ricerca di indizi che, partendo dal fenotipo, conducano il clinico/detective alla diagnosi corretta.
Per questo, è essenziale considerare numerosi elementi: anamnesi familiare, presenza di aritmie, coinvolgimento di altri organi, oltre a esami di laboratorio come CPK, troponina e peptide natriuretico (BNP).
Un ruolo centrale nel percorso diagnostico è svolto anche dalla valutazione genetica. Oggi, mutazioni nei geni sarcomerici vengono identificate in circa il 50% dei pazienti con HCM. Nel 30% dei casi si riscontrano invece varianti di significato incerto (VUS), mentre un ulteriore 5% presenta mutazioni in geni non sarcomerici, associati a condizioni sindromiche che possono determinare ipertrofia, come la sindrome di Noonan, le glicogenosi, le atassie neuromuscolari, le malattie mitocondriali e l’amiloidosi.
È inoltre importante ricordare che esistono condizioni non genetiche che possono spiegare un quadro di IVS, tra cui obesità, ipertensione non diagnosticata (soprattutto quella giovanile), uso di farmaci anabolizzanti, e attività sportiva intensa.
Il Dott. Cecchi ha quindi illustrato i risultati di un recentissimo studio pubblicato su European Heart Journal nel 2025, che ha dimostrato quanto l’impiego delle cosiddette “red flags” sia cruciale nella diagnosi differenziale delle cardiomiopatie.
Lo studio ha evidenziato come, in numerosi pazienti con IVS, l’amiloidosi cardiaca – una patologia infiltrativa spesso sottostimata – fosse la reale causa dell’ipertrofia.
Tra gli strumenti a disposizione del cardiologo, l’elettrocardiogramma (ECG) può offrire spunti diagnostici rilevanti: la presenza di PR breve e onde T profondamente negative può infatti indirizzare il sospetto verso una HCM, in particolare se associata a mutazioni nei geni LAMP2 o PRKAG2.
Proprio sui pazienti con mutazione LAMP2 è attualmente in corso un trial di terapia genica, coordinato dal Prof. Olivotto, che apre a nuove prospettive terapeutiche per forme finora prive di opzioni specifiche.
Un’altra condizione che può presentarsi con fenotipo ipertrofico è la malattia di Fabry, patologia a coinvolgimento multiorgano, spesso non riconosciuta tempestivamente, soprattutto nelle donne giovani che lamentano angina nonostante coronarie indenni.
In questi casi è fondamentale considerare una possibile mutazione del gene GLA, poiché una diagnosi tardiva può compromettere la gestione clinica e l’efficacia delle terapie disponibili.
In conclusione, in presenza di ipertrofia ventricolare, il cardiologo deve affrontare un percorso diagnostico strutturato e approfondito.
Fondamentale, sottolinea il Dott. Cecchi, è che questo percorso sia condiviso con il paziente, in un’ottica di medicina personalizzata, che tenga conto del contesto clinico, familiare e sociale di ciascun individuo.
