IMA e stroke ischemico: un dilemma condiviso tra cardiologo e neurologo

Giovanna Di Giannuario

Gli eventi cardiaci e quelli cerebrali non solo presentano una simile fisiopatologia ma spesso si associano. L’incidenza di infarto miocardico (IMA) nei pazienti con stroke varia dal 15 al 20%, viceversa un paziente con IMA può sviluppare ischemia cerebrale secondaria a meccanismi quali la ipoperfusione in corso di shock cardiogeno ed il cardio-embolismo sistemico da trombosi apicale ventricolare sinistra.
L’interrelazione con l’IMA vale anche per la emorragia cerebrale che, quando estesa, può causare alterazioni elettrocardiografiche che mimano l’infarto miocardico così come le alterazioni adrenergiche in corso di emorragie cerebrali possono essere tali da indurre ischemia cardiaca. Il ruolo del dosaggio della Troponina ad alta sensibilità (hs Tn) in caso di ictus è molto dibattuto in letteratura, quello che appare significativo non è tanto l’innalzamento in sé del valore in corso di ictus ma l’andamento dello stesso ad un prelievo basale ed uno a 3 ore: l’innalzamento del valore correla con lo sviluppo di un quadro di SCA e correla con una mortalità più elevata rispetto ai pazienti che hanno valori di Tn in riduzione o stabili. La Troponina positiva durante stroke si associa anche ad una più alta probabilità di insorgenza di fibrillazione atriale, che a sua volta aumenta la mortalità dei pazienti.
Anche nell’ictus criptogenetico l’aumento della Troponina ad alta sensibilità è associato ad un aumento della mortalità. Date queste evidenze deriva la indicazione al dosaggio basale e a 3 ore della Troponina nei pazienti affetti da ictus, ai quali va anche garantito un ECG di base, il monitoraggio prolungato del ritmo ed un ecocardiogramma senza comunque tralasciare la ricerca di cause non cardiache di incremento della Troponina. Quando l’ictus insorge in pazienti con infarto miocardico acuto nel 90% dei casi è di tipo ischemico. L’incidenza di un ictus dal momento del ricovero ad un mese dalla dimissione per un IMA è dell’1,1 – 1,5 %, a 6 mesi del 3% e a 10 anni dell’8,6 % tuttavia questi dati emergono da studi piccoli e da registri specifici e non considerano la popolazione anziana. Secondo le linee Guida ISO-SPREAD del 2017 nei pazienti con più di 70 anni con evento infartuale cerebrale acuto la trombolisi è controindicata in caso di IMA recente per il rischio di rottura di cuore e di emopericardio. Secondo le linee guida americane è ragionevole procedere alla trombolisi se l’IMA recente era un NSTEMI o uno STEMI della parete inferiore e del ventricolo dx così come nel caso di un trombo apicale responsabile di ictus esteso.
Una evenienza piuttosto rara ma di difficile gestione è la contemporanea insorgenza di un quadro di SCA e di ischemia cerebrale acuta: in questi casi va deciso a che trattamento dare la priorità ricordando che i dosaggi dei trombolitici in caso di ischemia cerebrale acuta sono inferiori a quelli utili per lo STEMI. In tale evenienza appare ragionevole la indicazione delle le linee guida AHA/ASA che propone di somministrare il trombolitico alteplase alla dose indicata per l’ictus cerebrale acuto e di procedere alla angioplastica percutanea coronarica.
La sessione si è chiusa con una relazione sulla terapia antiaggregante in paziente con infarto miocardico e recente stroke, in cui andrebbe eseguita una valutazione multifattoriale sui fattori di rischio pro-ischemici e pro-emorragici in modo da decidere la strategia terapeutica migliore. Nel caso in cui sia l’ictus acuto a insorgere dopo una recente sindrome coronarica acuta nella gestione della terapia va distinto se l’ictus sia stato di natura non cardio-embolica, nel qual caso è sufficiente la terapia con doppio antiaggregante, o se di origine cardio-embolica, caso nel quale viene suggerita la triplice terapia con doppio antiaggregante ed anticoagulante (TAO) o, in alternativa, un singolo antiaggregante, generalmente il clopidogrel, associato ad un NAO.
La durata della duplice o triplice terapia secondo le linee guida ESC deve essere la più breve possibile variando tra 1-3-6 mesi, a seconda della indicazione clinica e dei fattori di rischio del singolo paziente bilanciando il rischio ischemico con quello emorragico.
Alla luce dei dati l’evenienza di un duplice evento ischemico cardiaco e neurologico seppur rara rappresenta un evento critico che va gestito mediante una stretta collaborazione tra neurologo e cardiologo concordando la strategia terapeutica.