La malattia coronarica ha una alta prevalenza ed è una delle principali cause di morte nel mondo configurandosi come una vera e propria “pandemia”. Per questo è necessario investire su programmi di prevenzione primaria ed invertire il trend. Importante è concentrare la loro attenzione sul rischio cardiovascolare globale mediante l’utilizzo di carte del rischio (SCORE) standardizzate che prendono in considerazione i principali fattori di rischio cardiovascolare.
La malattia coronarica è una delle principali cause di morte nel mondo configurandosi come una vera e propria “pandemia”. Per questo motivo è necessario concentrare la ricerca sulle sue cause ultime, investire sugli interventi preventivi ed invertire il trend. Alcuni studi hanno confermato che oltre il 50% della riduzione osservata nella mortalità per la cardiopatia ischemica è dovuta alla modificazione dei fattori di rischio e il 40% al miglioramento dei presidi terapeutici. Le strategie preventive non devono rivolgersi solo al paziente ad alto rischio cardiovascolare, ma idealmente alla popolazione generale e sono pertanto necessari programmi di educazione pubblica. Le ultime linee guida europee, fin dalla loro prima edizione, hanno concentrato la loro attenzione sul rischio cardiovascolare globale mediante l’utilizzo di carte del rischio (SCORE) standardizzate che prendono in considerazione l’età, il sesso, l’abitudine al fumo, pressione arteriosa e livelli lipidici. Infatti il rischio cardiovascolare è generalmente il risultato dell’effetto combinato di diversi fattori che possono interagire tra loro, spesso anche con effetto moltiplicativo. I vantaggi nell’utilizzare una carta del rischio risiedono anche nell’obiettività della valutazione e nel definire un linguaggio comune all’interno della comunità scientifica. Anche il sistema SCORE ha dei limiti: l’impatto dell’anamnesi familiare è probabile che risulti estremamente approssimativo, portando quasi sicuramente ad una sottostima del rischio.
Lo scenario ideale sarebbe che ogni soggetto adulto venisse sottoposto a valutazione: le linee guida comunque raccomandano di prendere in considerazione uno screening dei fattori di rischio che includa il profilo lipidico in tutti i soggetti adulti di sesso maschile di età > 40 anni e di sesso femminile di età > 50 anni o in età postmenopausale.
Il punteggio SCORE riesce a stratificare i pazienti in quattro classi: classe di rischio molto alto (punteggio > 10%); alto (tra ≥ 5% e < 10%); moderato (tra ≥ 1% e < 5%) e basso (< 1%). Più elevato è il rischio, maggiore è il beneficio derivante dagli interventi di prevenzione. Nei pazienti a rischio intermedio, alto e molto alto alcune metodiche diagnostiche e clinico-bio-umorali come l’ultrasonografia carotidea o la semplice misurazione dell’indice pressorio caviglia-braccio sono in grado di fornire informazioni aggiuntive ad integrazione della valutazione dei classici fattori di rischio, che possono essere utili per stabilire l’opportunità di instaurare una terapia medica per la prevenzione primaria. In casi selezionati l’elettrocardiogramma da sforzo può essere preso in considerazione in adulti a rischio moderato, in particolare nei soggetti sedentari che intendano iniziare un programma di attività fisica intensa.
Il trattamento terapeutico principale da perseguire è l’instaurazione di corrette abitudini alimentari, oltre ad una riduzione del peso corporeo ed esercizio fisico adeguato.
LA TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE ORALE: DAGLI INIBITORI DELLE HMG-COA AGLI ANTICORPI MONOCLONALI
di Riccardo Barucci
In questi anni sono in corso di studio nuovi farmaci ipolipemizzanti tra cui il lomitapide (inibitore dell’MTP), mipomersen (oligonucleotide antisenso progettato per inibire la sintesi dell’apolipoproteina B) e gli anticorpi monoclonali PCSK9.
In particolare questi ultimi, tra cui si ricorda l’alirocumab, legandosi alla proteina PCSK9 inibiscono la degradazione del recettore LDL, riducendo la concentrazione del suo ligando. In studi di fase II questi farmaci hanno dimostrato una riduzione di circa il 70% del colesterolo LDL rispetto al basale. Dai primi dati di sicurezza emerge che questa nuova classe di farmaci non presenta particolari reazioni avverse, in particolare non mostra tossicità epatica o muscolare.
Ad oggi le statine sono la classe di farmaci più utilizzata nella terapia ipolipemizzante orale. Esse oltre ad avere un indubbio effetto sulla riduzione del colesterolo, presentano anche effetti pleiotropici con conseguente stabilizzazione della placca aterosclerotica e riduzione della disfunzione endoteliale. Hanno dimostrato una notevole efficacia nel ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori soprattutto nel paziente diabetico. Parallelamente alcuni studi hanno mostrato un aumento dell’incidenza di diabete nella popolazione in trattamento. Tuttavia il beneficio clinico netto rimane a favore per una terapia con statine.
Nel paziente con insufficienza renale le statine hanno evidenziato una riduzione della mortalità. Le ultime linee guida internazionali consigliano, nell’insufficienza renale di grado moderata-grave, di utilizzare molecole con ridotta escrezione renale come atorvastatina, fluvastatina, pitavastatina e rosuvastatina.
Le statine sono farmaci da lungo tempo utilizzati nella pratica clinica, generalmente ben tollerati. Tuttavia prima di intraprendere una terapia ipolipemizzante è necessario valutare attentamente il rischio cardiovascolare globale del paziente e l’eventuale comorbilità. È necessario quindi controllare la funzione epatica tramite il dosaggio delle transaminasi (AST, ALT), la funzione renale tramite la creatininemia, CPK ed il TSH per eventuale presenza di ipotiroidismo. Questi esami possono essere ripetuti insieme all’assetto lipidico al primo controllo a circa otto settimane di distanza: non è tuttavia necessario un controllo routinario nel paziente asintomatico. In caso di intolleranza muscolare il medico può optare per una riduzione del dosaggio o il passaggio ad un’altra statina a differente farmacodinamica. Solo nel caso di sintomi da miopatia associati a rialzo della CPK di più di 10 volte il valore di riferimento o ad alterazioni della funzione epatica (AST o ALT > 3 ULN) è mandatoria la sospensione di statine.
Diversamente da quanto descritto in alcuni studi un’ampia metanalisi condotta da Alberton e colleghi ha dimostrato l’assenza di significatività statistica di insorgenza di cancro nei pazienti in terapia con statine. Inoltre l’uso delle statine in aggiunta a chemioterapia o radioterapia in pazienti affetti da neoplasie è associato a ridotta mortalità per cancro. In alcuni modelli sperimentali le statine hanno dimostrato di possedere sia proprietà neuroprotettive che neurotossiche. I dati della letteratura ad oggi disponibili non hanno dimostrato evidenze convincenti che l’uso delle statine nell’uomo comporti modifiche significative delle funzioni cognitive.