CORSO AVANZATO IMAGING CARDIOVASCOLARE

di Chiara Tognola

Ad aprire il corso avanzato di imaging cardiovascolare tenutosi in questa ultima mattinata di lavori congressuali è stata la Dott.ssa Giovanna Di Giannuario che ha parlato del ruolo dell’ecocardiogramma trans-toracico e trans-esofageo nella patologia valvolare mitralica. La dottoressa ha mostrato bellissime immagini bidimensionali e tri-dimensionali con rendering true-view con casi clinici che hanno coperto tutto lo spettro della patologia mitralica.

La parola è passata al Dott. Vincenzo Polizzi che ha invece trattato la valvola tricuspide, sottolineando che la stessa è tricuspide solo nel 54% dei casi mentre è bicuspide e quadricuspide nei restanti casi. L’insufficienza tricuspidale è di natura secondaria nel 75% dei casi. Esiste la forma funzionale atriale, quella ventricolare e la forma da elettrocatetere dove deve essere dimostrato l’impingement o l’aderenza dell’elettrocatetere a livello dei lembi e può essere corretta mediante estrazione, in particolare nei casi in cui l’impianto è stato recente (< 1 anno). Le linee guida ancora raccomandano con bassa evidenza la correzione percutanea edge-to-edge nei casi di insufficienza severa sintomatica; come mostra una recentissima review pubblicata sul NEJM il 18 maggio 2023, la correzione con clip è particolarmente utile nella forma atriale ed è importante trovare il timing giusto per intervenire e portare il paziente al recovery. È inoltre importante ricordare che solo i rigurgiti settale-anteriore e settale-posteriore possono essere trattati con clip fino ad un certo grado di coaptation depht.

Il Dott. Marco Campana, moderatore della sessione, ha poi introdotto il Dott. Antonello D’Andrea, intervenuto da remoto, che ha parlato del valore aggiunto dello strain nelle cardiopatie a fenotipo ipertrofico. Il dottore ha mostrato una serie di interessanti casi clinici con immagini di ecocardiografia classica ed analisi della deformazione miocardica con strain, mettendo davanti agli occhi degli ascoltatori quanto quest’ultimo sia ormai uno strumento irrinunciabile nella pratica clinica quotidiana per guidare verso la corretta diagnosi. I casi clinici riguardavano fenotipi e fenocopie di cardiopatia ipertrofica: ipertensione arteriosa, cuore d’atleta, stenosi valvolare aortica, amiloidosi cardiaca, malattia di Fabry, cardiomiopatia ipertrofica apicale e settale. In molte di queste patologie infatti si hanno dei pattern tipici di deformazione miocardica: nell’amiloidosi cardiaca il cosiddetto risparmio apicale o cherry on top con una riduzione della deformazione miocardica a livello dei segmenti medio-basali ed un risparmio in sede apicale; nel caso della malattia di Fabry invece è tipica la riduzione della deformazione a livello della parete inferiore ed infero-laterale basale. Un parametro ancora più completo è il miocardial work, derivato dalla normalizzazione dei valori di strain per la pressione arteriosa, che permette di distinguere il lavoro costruttivo effettuato dal miocardio ai fini della contrazione dal lavoro perso – ossia tutto quel lavoro a valvola aortica chiusa – e tradurre questo concetto in un numero che è l’efficienza lavorativa.

La successiva relazione della Dott.ssa Francesca Mantovani invece si è incentrata sul concetto di cardiomiopatia atriale, concetto comparso per la prima volta in un consensus europeo dell’EHRA nel 2016. Vi è una classificazione di gravità della cardiomiopatia atriale: su un atrio normale vari fattori come l’invecchiamento, l’infiammazione, lo stress ossidativo e lo stretch delle pareti agiscono portando allo stadio A, ossia a rischio di sviluppare cardiomiopatia atriale. Altri fattori – come la fibrosi, il rimodellamento strutturale ed elettrofisiologico – portano allo stadio B di cardiomiopatia atriale asintomatica ed infine allo stadio C e D quando la cardiomiopatia è manifesta e rispettivamente reversibile o irreversibile. La cardiomiopatia atriale può essere diagnosticata mediante ECG in ritmo sinusale che fornisce informazioni sull’eventuale rimodellamento pre-trombotico: prolungamento onda, anomalie dell’asse dell’ond P, blocchi interatriali avanzati, anomalie terminali della T in V1. Un’altra cosa importante è la presenza di battiti ectopici sopraventricolari frequenti (> 30/h o run > 20 battiti). L’imaging ci permette di definire la volumetria e la funzione atriale mediante strain, che mostra il calo di funzionalità dell’atrio prima che avvenga il rimodellamento volumetrico. Lo strain inoltre predice l’insorgenza di FA e quanto a lungo verrà mantenuto il ritmo dopo ablazione transcatetere; può anche dimostrare il rimodellamento inverso dopo terapia ablativa. Molte domande sono ancora in attesa di risposta, la più importante è come incorporare il concetto di miopatia atriale nel guidare la terapia anticoagulante.

Le ultime tre relazioni, a cura della Dott.ssa Alessia Gimelli, della Dott.ssa Georgette Khoury e della Dott.ssa Valeria Pergola hanno invece trattato in maniera eccellente rispettivamente le metodiche nucleari, la risonanza magnetica e la TC, mostrando come quello che permette di fare la differenza è l’utilizzo di un imaging multi-modale integrato.

Chiara Tognola
Chiara Tognola