IL DEFIBRILLATORE INDOSSABILE

di Andrea Caccia
Indicazione all’utilizzo del defibrillatore indossabile in particolare nella cardiopatia ischemica e nella cardiomiopatia primitiva. In questo utile focus sul defibrillatore impiantabile si sono rivisti i principali studi svolti in merito e le conseguenti indicazioni nella pratica clinica. La sessione è stata moderata dal dott. Antonio Granatelli e dal dott. Marco Matteo Ciccone.

Nella Sala del Tempio si è tenuto un focus sul defibrillatore indossabile, moderato dal Dottor Antonio Granatelli e dal Dottor Marco Matteo Ciccone. In prima istanza il Dottor Stefano Aquilani ha ricordato le indicazioni delle linee guida ESC in merito all’impianto di defibrillatore indossabile in prevenzione primaria: la principale indicazione è presente in pazienti con severa disfunzione sistolica ventricolare sinistra persistente successivamente ad un adeguato periodo di terapia medica ottimale. Molteplici studi hanno infatti mostrato che la terapia farmacologica migliora significativamente la frazione d’eiezione e riduce la mortalità, agendo però nel lungo termine; i primi benefici si mostrano di solito a circa 6-12 settimane e proseguono fino ad un 1 anno dall’inizio della stessa. Inoltre, come sottolineato dal Dottor Antonio Duca durante il suo intervento, indipendentemente dall’eziologia la funzione sistolica recuperata e quindi il rischio di morte cardiaca improvvisa ridotto si mantengono in seguito per molti anni. In questo frangente hanno migliori possibilità di recupero di funzione le cardiopatie ad eziologia non ischemica. Si trova indicazione all’impianto di ICD sia nella cardiopatia ischemica che nella cardiomiopatia primitiva in assenza di sufficiente recupero di funzione. Tuttavia, il rischio aritmico nel periodo intercorrente non è trascurabile, è anzi il periodo più delicato nel caso della cardiopatia post ischemica, come rilevato nel VALIANT trial. In questo contesto ha trovato spazio l’utilizzo del defibrillatore indossabile come bridge to decision. Gli studi svolti in merito, tra cui il PROLONG II, hanno mostrato risultati promettenti in quanto la maggior parte degli shock appropriati si sono verificati entro i 3 mesi e circa la metà dei pazienti ha mostrato un recupero di funzione tale da non avere più indicazione ad impianto di ICD. D’altro canto, l’indicazione all’utilizzo del defibrillatore indossabile è di grado IIb secondo le linee guida ESC perché l’unico studio randomizzato controllato eseguito (VEST) non ha raggiunto significatività in merito alla riduzione della morte cardiaca aritmica nella casistica studiata, che consisteva di pazienti affetti da recente infarto miocardico acuto. Il Dottor Paolo China ha però evidenziato che la criticità maggiore dello studio è stata l’aderenza terapeutica dei pazienti; infatti, il tempo medio per cui il dispositivo è stato indossato è stato subottimale. Tuttavia, per quanto non pienamente soddisfacente, una analisi dello studio eseguita per protocollo e non per intention to treat, quindi valutando solo i pazienti che rispettavano il protocollo di studio, ha mostrato invece il raggiungimento dell’endpoint per morte aritmica. L’indicazione all’utilizzo del defibrillatore indossabile è stata ribadita anche dalle varie società di cardiologia nazionali, tra cui ANMCO che ha pubblicato in merito un position paper che conferma e rafforza le indicazioni ESC cercando anche promuovere in maniera più capillare e standardizzata il suo utilizzo. In conclusione, il defibrillatore indossabile è uno strumento utile se utilizzato in maniera appropriata e con elevata aderenza da parte dei pazienti e le sue possibili applicazioni si estendono anche oltre i temi trattati durante la sessione che si è tenuta o che sono stati accennati (quali cardiomiopatia peripartum, canalopatie ecc.). Permangono tuttavia, come ribadito anche dai moderatori e dai relatori, importanti limitazioni al suo utilizzo quali il suo elevato costo e la non rimborsabilità del dispositivo in tutte le regioni italiane. A maggior ragione saranno utili ulteriori studi volti a stratificare il rischio aritmico e quindi individuare i pazienti maggiormente candidabili all’utilizzo del dispositivo, per esempio con l’utilizzo della risonanza magnetica cardiaca per la ricerca di substrato aritmogeno.

Andrea Caccia anmco
Andrea Caccia