Elettrofisiologia cardiaca avanzata e aritmologia clinica: approccio terapeutico ECG mirato

Sonia Lo Iacono

Le tachicardie sopraventricolari hanno una prevalenza di 2.2 su 1.000 pazienti e risultano molto più frequenti nelle donne e nei giovani. In caso di tachicardia con intervalli RR regolari se sono visibili le onde P la diagnosi differenziale richiede la valutazione dell’intervallo RP e PR. Il trattamento prevede in tutti i casi di instabilità emodinamica la cardioversione elettrica mentre in caso di stabilità vanno eseguite le manovre vagali e la somministrazione di adenosina, utile anche per la diagnosi; successivamente vanno considerati il verapamil, il diltiazem, i betabloccanti e l’amiodarone. In caso di fallimento della terapia medica si pone indicazione ad ablazione transcatetere. In caso di tachicardia sopraventricolare in presenza di WPW prima di somministrare farmaci è fondamentale visionare un ECG in ritmo sinusale per valutare la presenza di pre-eccitazione, in tal caso non devono essere somministrati beta-bloccanti, digossina, amiodarone e verapamil e diltiazem. Durante il Mini Simposio è stata sottolineata l’importanza dell’ECG anche in caso di QRS largo (maggiore a 120 millisecondi), dalla analisi approfondita della sua morfologia emergono infatti elementi elettrofisiologici essenziali per inquadrare la terapia medica o ablativa. Le derivazioni V1 e aVR devono essere analizzate con attenzione in caso di sospetto di Sindrome di Brugada secondo l’algoritmo di Brugada e quello di Vereckei. In urgenza è opportuno considerare tutte le aritmie a QRS largo come ventricolari e trattarle di conseguenza. La presenza di incompetenza cronotropa nei pazienti bradicardici è un indicatore prognostico negativo.