Convention delle Unità Scompenso Cardiaco

Giovanna Di Giannuario
Il lungo viaggio del paziente con scompenso cardiaco acuto. Discussione sul percorso diagnostico/terapeutico nel paziente con scompenso cardiaco e del documento ANMCO 2019
Marco Marini, ANMCO 50

Nel Village di Ponente, moderata dal Dottor Luigi Tavazzi e dalla Dott.ssa M. Frigerio, si è tenuta la Convention sullo scompenso cardiaco acuto. Il Dottor Andrea Mortara ci ha parlato del Documento di Consenso intersocietario sullo scompenso cardiaco, di cui è il primo nome, pubblicato nel 2019, illustrando le flow chart dello scompenso cardiaco acuto. Questo documento come riconosciuto sia dai moderatori che da tutti i relatori ha schematizzato in maniera sapiente, con delle flow chart grafiche immediate e chiare, sia il percorso diagnostico che terapeutico del paziente con scompenso cardiaco. Il Dottor Adriano Murrone ha sottolineato l’importanza della rapidità di definizione del paziente con scompenso cardiaco acuto. Il punto cruciale sicuramente è il Triage dove vengono rilevati pressione arteriosa, saturazione ed esami ematochimici. Il paziente viene codificato nel Triage con dei colori che identificano un tempo di attesa, una delle novità è che nel codice verde sono state identificate due sottoclassi. I pazienti con scompenso cardiaco acuto che arrivano con una bassa pressione arteriosa sono i pazienti più difficili da trattare e con una mortalità più elevata. È stato introdotto poi nel Triage il Glasgow coma scale per determinare la gravità del paziente. Poi il paziente passa dal triage alla sala medica in cui vanno identificati i pazienti ad alto rischio STEMI e NSTEMI. Viene generalmente eseguito un’emogasanalisi arteriosa in cui valutare 3 o 4 parametri tra i quali ad esempio i lattati (che hanno metabolismo epatico). L’incremento dei lattati è un segnale di ipoperfusione ma può esserlo anche di sofferenza epatica, sono importanti come marker di prognosi ma anche di efficacia della terapia. Il Dottor Fabrizio Oliva ci ha parlato poi del trattamento dello scompenso cardiaco acuto. Anche lui è partito dalla flow chart del Documento di Consenso, raccomandando di identificare inizialmente la condizione di base con l’algoritmo CHAMP. Dal punto di vista delle terapie dello scompenso acuto ha sottolineato che non esistono delle solide evidenze basate sulla medicina, gli studi esistenti sono condotti su popolazioni miste, ed esistono solo expert opinion. Il Dottor Oliva ha parlato delle principali terapie partendo dall’ossigeno e dalla ventilazione non invasiva fino a tutti i farmaci dello scompenso acuto. I diuretici utilizzati per trattare la congestione risultano nelle linee guida terapie di classe I livello C (non è possibile fare una randomizzazione). Dagli studi scientifici emerge che non vi è differenza tra utilizzo dei diuretici in bolo o in infusione continua. I dati per la ultrafiltrazione sono non conclusivi, in caso di insufficienza renale di grado severo si effettua una terapia sostitutiva dialitica. Nei pazienti ipertesi devono essere usati i vasodilatatori, in Europa generalmente i nitrati; qualcuno li propone anche nei normotesi ma non c’è un miglioramento prognostico. Nelle Linee Guida NICE vengono indicati solo nei pazienti ipertesi, ischemici e con rigurgito valvolare. Il paziente più grave da trattare è sicuramente quello ipoteso in cui si devono usare gli inotropi; negli ultimi anni è arrivata la novità del levosimendan. Lo IABP shock trial ha condannato il contropulsatore ma forse non in maniera corretta, in quanto in alcuni setting rimane ancora una strategia terapeutica importante. Il futuro deve andare verso un miglioramento delle conoscenze fisiopatologiche in modo da poter effettuare un trattamento farmacologico mirato. Conclude la prima parte il Dottor Alessandro Navazio ricordando l’inizio delle attività ANMCO sulla organizzazione degli ambulatori dello scompenso nel 2006 per poi arrivare al documento del 2019 che apre l’invito a costruire dei PDTA. Il medico di medicina d’urgenza con paziente in arresto respiratorio deve chiamare il cardiologo + il rianimatore che devono arrivare il prima possibile, perché il fattore tempo è principale per il risultato. È importante stratificare il paziente in shock cardiogeno con degli score, per centralizzare il paziente, ad esempio, che necessita di un’assistenza di circolo in un centro hub. Iniziare il supporto respiratorio prima possibile per evitare che il paziente venga intubato, con l’ausilio di esami quali Rx torace + Eco polmonare + ecocardiogramma che possano far inquadrare il contesto clinico nel quale ci muoviamo. Il problema finale della catena è sicuramente: “Dove va ricoverato il paziente?”. UTIC e subintensiva sarebbero adeguati ma spesso a seconda dei centri in cui ci troviamo possiamo avere delle soluzioni finali differenti. La Dott.ssa Maria Frigerio ha sottolineato in un commento finale la problematica dell’identificazione dello scompenso de novo, soprattutto nel mondo internistico dove c’è un gap ancora con la diagnosi di insufficienza cardiaca, ed anche con il mondo dell’urgenza dove vi è ancora una logica di rule out e rule in, in base ai valori di troponina per lo NSTEMI. Nella seconda parte il Dott. Vincenzo Amodeo e del Dott. Giuseppe Di Tano hanno moderato le relazioni sul paziente con scompenso cardiaco in condizioni non critiche. Il Dott. Marco Marini parte dalla flow chart con la parte del paziente con scompenso non critico sottolineando come l’età avanzata e le comorbidità rendono difficile sia la stratificazione che la terapia e la prognosi del paziente. Si deve capire il percorso che deve intraprendere il paziente, il CHAMP identifica un paziente a rischio alto. Il peso delle comorbidità è elevato, ed è purtroppo in progressivo aumento. Gli strumenti di stratificazione del rischio sono gli Score, ma non sono tutti uguali, dipende in quale popolazione sono stati validati, hanno dei limiti e dei vantaggi. Tra alcuni strumenti poco utilizzati vi è l’indice di fragilità del paziente, è molto importante lo stato socio economico. Probabilmente non c’è spazio per studi randomizzati, forse la soluzione saranno le analisi dei dati con le intelligenze artificiali. Il Dott. Stefano Urbinati ci ha parlato della dimissione del paziente dal PS/DEA e della presa in carico nel territorio. Il paziente con scompenso ricorre più frequentemente in Pronto Soccorso e non al medico della guardia medica per un motivo di sfiducia, l’altro problema sono gli anziani soli che spesso come unica soluzione ricorrono al ricovero ospedaliero. Il problema delle dimissioni dal DEA-PS non è solo la mortalità del paziente ma è soprattutto la possibile riduzione del numero di ricoveri in ambiente ospedaliero. Possibile ruolo dello OBI e degli Score di rischio. L’importanza dopo la dimissione è la presa in carico da parte del medico di famiglia e dal cardiologo del territorio. I pazienti vanno visti entro 2 settimane e vanno selezionati i pazienti ad alto rischio in maniera multidisciplinare. Ci parla della esperienza bolognese per la gestione ottimale del percorso di cura in cui hanno migliorato la lettera di dimissione dove devono essere presenti diverse notizie. Nei 5 distretti in cui è divisa l’area metropolitana di Bologna sono stati istituiti 10 pick up che ricevono le lettere di dimissione e comunicano con il medico di base che deve programmare il piano di presa in carico del paziente. Tre percorsi per pazienti cardiologici, internistici (visita di back up internistica ad 1 settimana) ed incremento delle visite cardiologiche dei cardiologi del territorio e dalle case di comunità e socio-sanitarie.

Il Dott. Massimo Iacoviello ci parla dei problemi della dimissione che può aumentare nei pz ad alto rischio. Identificare il paziente critico in PS/DEA comunque comporta un prolungamento della osservazione in PS. Le fasi prevedono: 1. Triage, pz non critico, 2. Stratificazione del rischio, 3. Osservazione, 4. Ristratificazione e 5. Trattamento. Per definire il rischio possono essere usati vari tipi di score: MESSI risk score, Ottawa HF Risk score. Molti score purtroppo non comprendono le comorbidità nella valutazione ed esse impattano molto nella prognosi del nostro paziente. Se il paziente è a rischio elevato merita sicuramente il ricovero in ambiente cardiologico, invece nel rischio intermedio e basso possono essere ricoverati anche in un altro reparto, ad esempio si può pensare di mantenere il paziente in osservazione breve, per poi decidere il successivo ricovero in base all’evoluzione clinica. Chiude la sessione la Dott.ssa Nadia Aspromonte che ha parlato delle differenze di gestione dello scompenso cardiaco nei vari distretti regionali in Italia. La dottoressa ha contattato gli esperti ed i centri italiani maggiori nelle diverse regioni italiane e ci ha parlato delle realtà delle singole regioni illustrando i diversi modelli organizzativi. In Piemonte esistono centri di II livello con cardiochirurgia e con possibilità di trapianti e assistenze (VAD) associati a molti centri con ambulatori dedicati allo scompenso. In Lombardia vi sono centri con grandi investimenti ma non esiste alcuna rete per lo scompenso; sta nascendo negli ultimi anni il modello sperimentale CReG che prevede la presa in carico del paziente e delle cronicità. In Liguria è in corso un grosso lavoro organizzativo; a Trieste vi è una esperienza virtuosa, con un PDTA attivo ed un indice di vecchiaia altissimo. Il Veneto è una regione divisa per macro ASL, e gli ambulatori dedicati allo scompenso utilizzano un numero molto elevato di infermieri e il follow up telefonico per seguire il malato nel territorio. Il Lazio ha un PDTA in corso di creazione, strutturato con percorsi di presa in carico dal territorio e dall’Ospedale. La Toscana esegue la presa in carico del paziente scompensato con delle flow chart definite. In Umbria esiste un PDTA strutturato regionale. In Basilicata è in corso la mappatura dei centri, mentre la Campania sta creando reti per lo scompenso tra ospedali e territorio. La Puglia ha un progetto attivo differenziato sia per il paziente scompensato cronico che per quello acuto che ha l’acronimo “PONTHE”. La Sardegna ha un progetto di rete tra aziende e territorio avanzato. La Sicilia ha un modello organizzativo di tipo distretto-sportello. Ne emerge un quadro di organizzazione regionale davvero vario e diversificato, che mostra quanto l’autonomia regionale abbia influito anche sulle risorse e sulle strutture sanitarie nella cura dei pazienti. Il percorso del paziente con scompenso cardiaco è evidentemente diverso nelle diverse regioni italiane, ma il nuovo Documento ANMCO, come sottolineato da tutti i relatori può rappresentare un’utile linea guida per costruire dei protocolli aziendali e delle reti che cerchino di ottimizzare le diverse realtà geografiche e le diverse risorse per garantire ad un paziente fragile e complesso come il malato di scompenso cardiaco il miglior trattamento possibile.