La prima giornata congressuale vede sul palco della sala Agorà importanti relatori per il Master sulla Fibrillazione Atriale.
La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia cardiaca più comune in termini di prevalenza, associata anche all’invecchiamento della popolazione, e rappresenta una sfida significativa per il cardiologo clinico. La fisiopatologia della FA è complessa e multifattoriale, comprendendo un substrato anatomico funzionale predisponente, trigger specifici e fattori modulanti. Negli anni ’90, il pionieristico lavoro di Haissaguerre identificava nelle vene polmonari il principale focus di innesco della FA che ancora oggi, alla luce dell’evoluzione delle conoscenze e della tecnica, rimane il principale target nel trattamento interventistico dell’aritmia. Negli ultimi anni la prevalenza di FA secondaria a cardiopatie di varia eziologia è aumentata notevolmente, diventando al momento la più rappresentata.
In più relazioni, da parte dei relatori si è fatto riferimento ai risultati di alcuni recenti importati studi, in particolare l’EAST-AFNET 4, che ha evidenziato come una terapia precoce per il controllo del ritmo possa ridurre significativamente il rischio di esiti cardiovascolari avversi rispetto alla terapia farmacologica nei pazienti con FA precoce.
Tra i “temi caldi” della sessione, la FA subclinica ha suscitato grande interesse, anche in ragione delle novità introdotte dai risultati dei recenti clinical trial. Gli episodi di FA subclinica con alta frequenza atriale (AHRE) registrata dai dispositivi cardiaci impiantabili (CIED) sono molto comuni nei pazienti anziani e sono associati a un aumento del rischio di ictus e di FA clinica. Le linee guida europee del 2020 non forniscono indicazioni chiare sull’anticoagulazione di questi pazienti, lasciando spesso la decisione al giudizio clinico, basata sul rapporto rischio-beneficio. Gli studi NOAH-AFNET 6 e l’ARTESiA da tempo attesi e giunti a conclusione nel 2023erano stati disegnati per definire il ruolo degli anticoagulanti. Il NOAH-AFNET 6 è stato interrotto a causa di un warning sulla sicurezza e per la constatazione di futilità dell’efficacia della terapia con edoxaban. L’ARTESiA ha invece mostrato il beneficio della terapia con apixaban nella riduzione degli ictus invalidanti o fatali a fronte di un rischio di sanguinamenti maggiori più alto. In questo studio i pazienti erano esposti a una condizione di rischio tromboembolico più alta calcolata secondo il punteggio CHA2DS2-VASC, mentre gli episodi di AHRE avevano una media di 1.5 ore.
Il messaggio da portare a casa è quindi che gli anticoagulanti riducono il rischio di ictus, in particolare quelli invalidanti o fatali, aumentando inevitabilmente il rischio di sanguinamenti anche gravi, ma che possono essere gestiti comunque in modo conservativo nella maggior parte dei casi.
Lasciato il mondo degli AHRE ma non degli anticoagulanti i DOAC sono stati oggetto di nuovi studi incentrati sull’ottimizzazione e sulla gestione della terapia anticoagulante in diversi settings. I DOAC hanno oltre 11 anni di storia che ha cambiato il panorama del trattamento della FA. Nuovi score di rischio sono stati sviluppati negli anni, ma un consensus sul loro impiego non è ancora disponibile per via della loro efficacia e della c-statistics limitata.
Il CHA2DS2-VASC rimane ancora lo score più impiegato perché di facile applicazione, nonché economico ma non vanno dimenticate alcune sue evidenti limitazioni, in particolari nei pazienti con un punteggio1 negli uomini e 2 nelle donne, nei pazienti con insufficienza renale, cancro e precedenti sanguinamenti. Per questi non infrequenti gruppi di pazienti continuano a non esserci ad oggi esplicite evidenze che forniscano chiare indicazioni nella pratica quotidiana.
Nel setting della cardioversione elettrica l’X-VeRT e l’ENSURE-AF analizzano il timing della cardioversione esponendo le principali differenze tra una strategia early o delayed.
Un documento di rilievo nel settore è rappresentato dal consenso ANMCO-SIMEU per la gestione del paziente con fibrillazione atriale nel setting di urgenza/emergenza in pronto soccorso. I DOAC sono adatti alla CVE in pronto soccorso indipendentemente dallo stato (pazienti stabili ed instabili) grazie al rapido onset d’azione (da 2 a 4 ore) e la breve emivita. Il documento affronta anche la gestione dei sanguinamenti in corso di terapia anticoagulante, sia con DOAC che con antagonisti della vitamina K.
Sono disponibili all’uso agenti che antagonizzano i DOAC sia in maniera non specifica come l’acido tranexamico ed agenti diretti come l’idaracizumab specifico per dabigatran, somministrabile in due boli ad una dose specifica e l’andexanet alfa con due protocolli di dosaggio (basso e alto) diretto contro il fattore Xa della coagulazione, in grado di inibire anche fondaparinux ed eparinoidi.
Quando la terapia anticoagulante è controindicata o non praticabile la chiusura dell’auricola (LAAC) rimane un’opzione terapeutica da considerare, con indicazioni precise nella selezione del paziente nelle attuali linee guida europee. La LAAC riduce il rischio di tromboembolismo associato a FA e gli studi RE-DUCE AF e WATCHMAN, hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della procedura a fronte comunque di possibili complicanze quali la trombosi del dispositivo, la sua embolizzazione e il tamponamento pericardico. Gli ultimi registri disponibili a tal proposito sono il Pinnacle FLX e l’Amulet registry da cui si evince che questo tipo di complicanze, seppur ancora presenti, sta tendendo a diminuire nel tempo.
Anche l’utilizzo di dosi ridotte di DOAC, è un argomento di grande rilievo nella gestione dei pazienti con FA. Uno degli errori più comuni nella somministrazione dei DOAC è l’underdosing del farmaco, spesso intenzionale, mentre l’overdosing è più involontario. Gli studi mostrano come persista ancora oggi l’errata convinzione che ridurre la dose dei DOAC possa diminuire il rischio di sanguinamento. Tuttavia, questo approccio trascura l’aumento significativo del rischio di ictus associato a dosi insufficienti. È importante sottolineare che non esiste una chiara associazione che dimostri che i DOAC siano la principale causa dei sanguinamenti; questi eventi dipendono infatti da vari fattori intrinseci, come l’età, la funzionalità renale, la massa corporea e l’anemia, oltre a fattori estrinseci come la politerapia, l’uso di FANS, DAPT, SAPT e le interazioni farmacologiche. Inoltre, non ci sono evidenze chiare che le dosi di DOAC debbano essere aggiustate in base al peso corporeo, sia per pazienti obesi che per quelli sottopeso (altro argomento spesso oggetto di controversie), né per quelli con insufficienza renale cronica severa o in terapia dialitica.
Nelle relazioni conclusive della sessione sono infine state affrontate l’efficacia delle attuali strategie ablative con radiofrequenza e crioablazione e le prospettive future delle stesse e della più recente ablazione a campo pulsato (PFA). Il vantaggio principale dell’ablazione a campo pulsato è la sua maggiore selettività per il tessuto bersaglio. Questo significa colpire in modo più preciso le cellule cardiache che causano la FA, riducendo il rischio di danneggiare altri tessuti sani.
Uno dei più importanti studi a riguardo è quello pubblicato recentemente sul New England Journal of Medicine che ha confrontato l’ablazione termica convenzionale e l’ablazione a campo pulsato con PFA. Lo studio ha evidenziato che la PFA non è inferiore all’ablazione termica convenzionale nel prevenire la ricomparsa della FA a 1 anno. Inoltre, lo studio non ha riscontrato differenze significative tra le due metodiche riguardo la sicurezza e la comparsa di effetti collaterali gravi. Mancano per ovvie ragioni temporali studi a lungo termine sulla PFA in grado di predire eventuali recidive tardive, attualmente oggetto di molti studi. Sono inoltre in studio nuovi cateteri a punta reticolare e tips in nitinolo in grado di erogare due tipi di energia permettono scegliere tra due modalità: una combinata che utilizza sia la radiofrequenza che l’ablazione a campo pulsato (RF/PF) e una che utilizza solo l’ablazione a campo pulsato (PF/PF). I risultati sono incoraggianti, ma necessitano ancora di studi più approfonditi.
La discussione al termine del master è stata animata da interessanti quesiti clinici, che come spesso accede sollevano anche ulteriori spunti che meritano di essere approfonditi e che troveranno sicuramente spazio in queste giornate congressuali e nei prossimi appuntamenti dedicati, come il congresso ANMCO “Beat Life Rhythm” a Bari, il 29-30 novembre 2024, dove esperti del settore discuteranno gli ultimi progressi nella gestione della FA.
