La prima relazione del Prof. Furio Colivicchi (Past President ANMCO), che parla delle attuali strategie terapeutiche per ridurre il Col-LDL dicendo che è l’elemento centrale della placca aterosclerotica e quindi allo sviluppo della malattia aterosclerotica, ci fa vedere una metanalisi di diversi studi clinici in cui il rapporto tra LDL e il rischio di insorgenza della placca aterosclerotica nelle coronarie è direttamente proporzionale (Long Linear Association) e quello che conta è il anche il tempo, cioè il tempo di esposizione dell’LDL ad aumentare la placca aterosclerotica. Quindi l’approccio al trattamento è dato dal tipo di paziente che abbiamo di fronte e cioè quando trattare, quanto trattare in base alla quantità del C-LDL e in quanto tempo dobbiamo raggiungere il target e ovviamente altra cosa importante da considerare è la persistenza del trattamento. Abbiamo 5 categorie di farmaci contro LDL: statine, acido bempedoico, pcsk9 inhibitor, SiRNA. Sappiamo come per ogni Mmol di LDL riduciamo gli eventi cardiovascolare di circa il 20%. Abbassare il C-LDL ci fa migliorare la prognosi del paziente; il meccanismo e il beneficio delle 5 categorie non è uguale, più efficaci, in singola terapia, sono quelli che agiscono contro il recettore del PCSK-9 o siRNA. Il Prof. Colivicchi parla quindi dell’algoritmo 2019 dello Stepwise Approach to Lowering LDL-c cominciando dalla statina, aggiungendo poi l’ezetimibe ed infine pcsk9 ma in alcuni pazienti con rischio molto alto l’intervento deve essere accelerato ed essere strong già dall’inizio. Ma riusciamo a raggiungere sempre il Target terapeutico? Lo studio SANTORINI tra il 2020 e il 2021 non ci da ottimi risultati, per questo nasce lo studio BRING UP, italiano, in cui l’endpoint primario è la percentuale di pazienti che arriva al goal per il col LDL < 55 mg/dl; con 8.860 pazienti ad oggi arruolati in 84 cardiologie italiane, i dati del follow up a 12 mesi su circa 4.000 pazienti ci dicono che a 12 mesi dal 34% dei pazienti siamo arrivati con l’intervento terapeutico al 62% per il target Col-LDL <55 mg/dl, mentre per il Col non-LDL siamo passati dal 49% al 78%; si è visto un incremento del 12% dei pazienti trattati con PCSK9-Inhibitor e dell’Inclisiran col 12%. Ottimo risultato anche sull’aderenza alla terapia che è stata maggiore del 90%.
La seconda relazione è del Prof. M. Averna che ci parla delle prospettive future dell’LDL. Secondo il Professore gli obiettivi terapeutici del futuro per il Col-LDL potrebbero essere tra >25mg/dl e <50 mg/dl in prevenzione secondaria, per le Apo(a) < 25 mg/dl. Parla quindi del futuro approccio terapeutico sul rischio residuo del C-LDL come CETPi (Obicetrapib), gli Oral PCSK9i e gli Inibitori del PCSK9i di 3rd. Tratta poi del CETPi che ha come effetto finale l’espressione aumentata del recettore LDL epatico ed intestinale, riducendo quindi LDL e aumentando l’HDL; si pensa riduca anche il rischio di demenza, da solo riduce il 43,5% di LDL e insieme ad ezetimibe lo riduce del 63,4 %. Viene poi citato il Trial uscito da poco TANDEM, in cui la riduzione dell’LDL è del 32 % in mono e del 49% in associazione, dobbiamo però aspettare il PREVAIL che ci dirà di più. Poi parla dei PCSK9i orali come Enlicitide AZD0780, che nello studio DATO al dosaggio di 30 mg riduce il C-LDL del 60,9%, ma si aspettano i dati del CORAL per saperne di più. Infine, abbiamo i PCSK9i iniettabili di terza generazione con Trial Liberate-HR che valuta l’effetto di questa piccola proteina di fusione che riduce il LDL-C in monoterapia di circa il 50-60%. Il Prof. Averna conclude la sua relazione parlando della vaccinazione contro LDL come prospettiva futura accennando i trial in corso come l’HEART-2 nel quale abolendo l’espressione del gene PCSK9 l’LDL si riduce di circa il 53%.
La terza relazione è del Prof. M. Arca che parla dei Trigliceridi e tutto ciò che c’è intorno. La misura della Trigliceridemia deve entrare nella definizione del rischio CV del paziente. Essere portatori di varianti genetiche che aumentano i trigliceridi aumenta il rischio di eventi CV. Fa vedere una corte di paziente nei quali anche avendo ridotto il Col-LDL il rischio CV era comunque aumentato per l’ipertrigliceridemia. Studiare la trigliceridemia è più complicato del C-LDL, perché sottende delle condizioni fisiopatologiche eterogene, è influenzata dalle condizioni ambientali (stile di vita, attività fisica) e si modifica molto velocemente. La sua distribuzione non è normale perché abbiamo valori molto bassi o valori molto alti, queste due popolazioni sono diverse nella propria architettura poligenica con diversi varianti e modificazioni di alcuni geni ed è per questo che parliamo di ipertrigliceridemia poligenica. Quando aumentano nel sangue cambia il profilo delle lipoproteine, l’alterazione principale che si verifica è data dall’accumulo di queste lipoproteine chiamate Remnant colesterolo; la possiamo definire Colesterolemia non-HDL. Mostra uno studio in cui si vede che per ogni incremento unitario delle LDL il rischio relativo CV aumenta del 40%, questo vale sia per l’aumento dei Remnant che l’aumentano di due volte e mezzo. Il potenziale aterogeno dei Remnant Col è pari a quello dell’LDL. I trigliceridi si accumulano nell’endotelio vascolare alterandolo, danno disfunzione endoteliale e tendono a promuovere l’infiammazione. Il trattamento dell’ipetrigliceridemia e della riduzione dei Remnant Col sono le statine, i fibrati e IPE. Parla del REDUCE-IT in cui è stato utilizzato l’Icosapent Ethyl, in cui c’è stata una modesta riduzione dei trigliceridi che dava una riduzione dell’infiammazione valutata tramite la riduzione della PCR e questo si rifletteva nella riduzione degli eventi cardiovascolari, riducendoli del 25%. Nel futuro quello da fare è misurare, sempre, oltre il C-LDL anche il colesterolo non-HDL e l’Apolipoproteina B.
La quarta e ultima della sessione è della Dott.ssa C. Dalla Valle parla della Lipoproteina(a) e dei nuovi target terapeutici; è una particella LDL-like legata ad apo(a), è proinfiammatoria perché aumenta le citochine, è proaterogena e protrombotica, scoperta nel 1963 ma studiata solo dal 2009, mostra una metanalisi che dà una relazione lineare tra apo (a) e IMA, il PROCARDIS study, che fa vedere una relazione lineare tra apo (a) e malattia coronarica ma anche alla stenosi aortica calcifica. Piu l’apo (a) è aumentata più la malattia coronarica è estesa. L’apo (a) è più aterogenea del col LDL. L’apo (a) è circa 6 volte più aterogene del C-LDL anche se LDL è molto più presente in circolo. Chi ha valore elevato di apo (a) è a rischio maggiore di secondo evento cardiovascolare. Ma quindi chi deve essere screenato? I pazienti con malattia CV, i pazienti con familiarità CV e i pazienti che hanno un alto rischio CV. Il valore è normale < 30, abbiamo poi una zona grigia 30-50 mg/dl, e parliamo di aumentata quando è > 50 mg/dl. Se non calcoliamo l’apo (a) sottostiamo il rischio CV del paziente, parlando quindi di rischio aggiunto dell’apo (a) e cioè aggiunto a tutti i suoi fattori di rischio come fumo, diabete, ipertensione. Le statine non hanno effetto, i PCSK9i invece sì, come anche l’LDL Aphereses che si deve fare settimanalmente soprattutto nei pazienti che hanno altissimi valori. Le prospettive future saranno i SiRNA che riducono l’apo (a) di circa 80-100% e che saranno l’Olpasiran nello studio OCEAN, il Lepodisiran nel Trial l’ACCLAIM-Lp8a e lo Zerlasiran.
