CONVENTION
EVOLUZIONE DELLE UTIC IN ITALIA

di Francesca Terzi

Nella cornice della sala Anfiteatro l’ultimo giorno del congresso si è tenuta un’importante Convention sulla “Evoluzione delle UTIC in Italia”.

Il primo simposio è stato moderato dal Presidente Furio Colivicchi e dal Dott. Marino Scherillo.

Il Dott. Leonardo De Luca ha esposto il “Panorama attuale delle UTIC in Italia”.

La valutazione è stata effettuata sulla base dei dati raccolti dal settimo censimento delle strutture cardiologiche italiane, del 2015. Su 668 ospedali dotati di cardiologia in Italia il 60% cha un UTIC; di questi ultimi un 37% è costituito da UTIC ed emodinamica, un 12% UTIC con emodinamica e cardiochirurgia. Nel nord sono più frequenti le UTIC con emodinamica o con emodinamica e cardiochirurgia. Il numero totale delle UTIC è di 405 con 2.578 posti letto. Si conta un posto letto intensivo ogni 23.000 italiani, un posto letto UTIC ogni 146.000 abitanti ed un posto letto di UTIC con angioplastica ogni 239.000 abitanti. Dal 2015 si è assistito ad una riduzione della mortalità intraospedaliera e ad un anno per infarto NSTEMI e STEMI. Durante la pandemia i dati da Blitz-COVID19 hanno evidenziato come l’85-88% dei posti letto UTIC non hanno subito variazioni, mentre il 14% dei posti nella prima fase ed il 9% nella seconda sono stati dedicati ai pazienti COVID. Tra pochi mesi inizierà l’ottavo censimento delle strutture cardiologiche, in collaborazione con l’ISTAT.

La seconda relazione è stata presentata dal Dott. Fabrizio Oliva: “Il ruolo del cardiologo intensivista nei casi in cui l’UTIC è inserita nel contesto di in una terapia intensiva multidisciplinare”.

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di mortalità nella popolazione occidentale, sebbene la mortalità per queste patologie sia andata incontro ad un’importante diminuzione nel tempo grazie al progresso della scienza e delle terapie. L’evoluzione scientifica ha comportato anche una variazione nella tipologia di malato da trattare e nelle caratteristiche delle patologie da gestire, passando da Unità di Cure Coronariche (UCC) che dovevano svolgere osservazione e trattamento di complicanze peri-infartuali ad Unità di Cura Intensiva Cardiologica (UCIC) che devono svolgere il ruolo di Terapia Intensiva per pazienti complessi con patologie cardiovascolari con esigenze critiche. Secondo gli ultimi dati la maggior parte dei Pazienti con sindrome coronarica acuta STEMI vengono ricoverati e monitorati in unità di terapia intensiva ma di questi solo pochi si complicano. Attualmente 1/3 dei pazienti vengono ricoverati in terapia intensiva coronarica per l’osservazione ed il monitoraggio post-procedurale, la maggior parte di questi non necessita di monitoraggio invasivo o delle risorse della terapia intensiva ed ha una bassa mortalità, mentre nei 2/3 dei casi si tratta di pazienti complessi con polimorbilità, disfunzione associata di organi eztracardiaci e cattiva prognosi a breve termine. Problemi UTIC in Italia, fase con intensità di cura, difficoltà a cambiare aspetto dell’UTIC.

I problemi delle UTIC in Italia sono legati a: contenimento dei costi, tentativo di “ospedali per intensità di cura”, presenza di UTIC spoke non sempre adeguate o superate, questo comporta la convergenza, fusione e la scomparsa UTIC all’interno di Terapie Intensive Generaliste con inevitabile perdita della competenza del Dipartimento d’organo. Il cardiologo intensivista nella terapia intensiva multidisciplinare deve assicurare la cura dell’acuzie cardiologica in toto: STEMI, NSTEMI, scompenso cardiaco acuto/shock cardiogeno con necessità di supporto inotropo/vasopressore, contropulsatore aortico, CVVH, storm aritmico, aritmie ventricolari e sopraventricolari con instabilità clinico-emodinamica, embolia polmonare, emergenze ipertensive, ipertensione polmonare complicata; nell’ambito di protocolli condivisi  e collaborazione con gli altri attori. Il cardiologo intensivista dovrà quindi avere delle competenze tecniche necessarie e delle altre auspicabili. Il Consiglio Direttivo guidato dal Presidente Furio Colivicchi ha portato avanti un importante progetto di svolta: la creazione del “Club delle UTIC”. Gli obiettivi del progetto sono: creazione di una piattaforma di formazione permanente per tutti gli operatori interessati nel processo di cura dei cardiopatici critici; creazione dei presupposti per ottenere “omogeneità di trattamento” per i cardiopatici più complessi; condivisione di saperi, esperienze, competenze, problematiche e soluzioni tra i vari operatori e tra centri diversi; formare cardiologi in grado di gestire pazienti cardiopatici complessi nelle diverse realtà di Area Critica. A questo fine è stata pensata anche l’ANMCO CERT: certificazione del cardiologo intensivista.

A proseguire è il Dott. Alessandro Navazio con la relazione “La Rete delle UTIC”.

Negli anni si è assistito ad un progressivo cambiamento e ad una evoluzione delle UTIC: da strutture dedicate alla rianimazione rapida degli anni ’60 a strutture di “critical care” complessa. I risultati del BLITZ-3 nel 2011 hanno offerto alla comunità cardiologica italiana alcuni spunti di riflessione sulla necessità di riconsiderare il numero di UTIC necessario sul territorio nazionale, di ridefinire il ruolo delle UTIC Spoke in funzione della loro integrazione nella rete interospedaliera, di correggere il fenomeno dell’inappropriatezza del ricovero in UTIC di patologie a basso rischio. Il modello di organizzazione “Hun and Spoke” è probabilmente ormai superato per diverse cause tra cui: il fatto che i percorsi di centralizzazione non sono stati strutturati, che non tiene conto del decentramento né delle integrazioni orizzontali, comporta una demotivazione dei professionisti degli Spoke ed un impoverimento di competenze negli Spoke. Un modello più innovativo è quello del “network ospedaliero”. Le reti sono articolazioni organizzative che a matrice incrociano i grandi dipartimenti e hanno la responsabilità di definire i “prodotti” attorno a cui sviluppare le Unit e quindi i team multidisciplinari, che rappresentano l’ossatura della rete. Le Unit sono costituite da team con un budget, costruito sui PDTA che si impegnano a rispettare nella pratica professionale. Il concetto di «rete» non sembra essere completamente applicabile all’unità funzionale UTIC. Le UTIC sono il luogo necessario per la messa in atto di reti assistenziali per determinati quadri clinici/patologie. Il concetto di Club delle UTIC sembra calzare meglio alle necessità formative per il personale medico che opera in terapia intensiva cardiologica.

La Dott.ssa Serafina Valente, coordinatore del “Club delle UTIC ANMCO”, ha parlato di “Il ruolo del Club delle UTIC ANMCO nella formazione permanente del cardiologo di area critica”.

Il giorno 28 agosto 2021 in occasione del primo Consiglio Direttivo il Presidente neoeletto Furio Colivicchi ha annunciato la nascita del “Club delle UTIC ANMCO”, community di critical care. Le Unità coronariche nella loro vecchia accezione attualmente non hanno più senso di esistere perché sono cambiate le patologie che devono essere gestite, un tempo la principale patologia da gestire era l’infarto miocardico acuto non rivascolarizzato. Obiettivi del Club delle UTIC sono: formazione permanente di tutti gli operatori, creazione delle basi per una omogeneità di trattamento, condivisione dei saperi e dei trattamenti. Essenziale è poter formare Cardiologi in grado di gestire pazienti complessi. Tale processo di formazione si articola per esempio sullo sviluppo di webinar e tutorial. A luglio 2022 si terrà a Firenze la prima conferenza nazionale del Club delle UTIC ANMCO. Il CLUB delle UTIC è inclusivo e in quanto tale possono farne parte tutti. Il paziente cardiopatico critico deve essere curato dal cardiologo di area critica quindi la sua formazione è fondamentale. La gestione del paziente non deve essere demandata all’Intensivista generico che non ha le competenze specialistiche necessarie. L’ESC ha creato una certificazione del cardiologo intensivista che non è però calabile nelle nostre realtà. L’ANMCO si sta adoperando per inaugurare una certificazione dedicata con percorsi differenziati e acquisizione di competenze crescenti.

Il secondo simposio dal titolo “Le grandi sfide diagnostico-terapeutiche in UTIC” è stato moderato dal Past President Dott. Domenico Gabrielli e dal Dott. Pasquale Caldarola.

Il Dott. Nicola Gasparetto ha preso la parola per primo con la relazione: “Gestione del post-arresto in UTIC”.

In Europa si verificano 400.000 casi di arresto cardiocircolatorio in un anno. 1.000 persone al giorno muoiono in Europa per morte cardiaca improvvisa, di cui 135 in Italia. Il ruolo del cardiologo nell’arresto cardiaco si articola in diverse fasi: quella dell’angiografia coronarica, del monitoraggio e target in terapia intensiva, della prognosi neurologica e quella del recupero funzionale. I pazienti con ST sopralivellato devono essere sottoposti a coronafrografia urgente. Se non è documentabile un sopralivellamento del tratto ST invece la coronarografia urgente non ha dimostrato un miglioramento dell’outcome del paziente. Nel monitoraggio in terapia intensiva la pressione arteriosa media desiderabile è pari a 65-75 mmHg, altri obiettivi sono: lattati normali o in riduzione, diuresi > 0,5 mL/Kg all’ora e temperatura corporea < 37 ° C. L’analgosedazione è fondamentale. La nutrizione enterale deve essere assicurata entro 24 ore. Non ci sono differenza tra ipotermia o normotermia. La prognosi neurologica si basa sull’esecuzione di test di neurofisiologia, la valutazione clinica, l’imaging e l’aiuto dei biomarker come NSE. Il recupero funzionale si basa su percorsi di riabilitazione neurologica o cardiologica. Il Cardiologo è il protagonista di tutti questi avvenimenti.

Il Prof. Natale Daniele Brunetti ci ha parlato di “Come gestire in IT la sepsi e lo shock settico”. Un ingresso su tre in UTIC è dovuto a sepsi o shock settico. La mortalità è variabile in base all’età dei pazienti, dal 17% nei più giovani al 65% nei più anziani. La sepsi è “una disfunzione degli organi pericolosa per la vita causata da una risposta deregolata dell’ospite contro un’infezione”. Nello shock settico si verifica una riduzione critica della perfusione dei tessuti che può condurre a uno stato di insufficienza multiorgano che coinvolge polmoni, reni e fegato. La disfunzione ventricolare sinistra è presente nel 40-50% dei pazienti con shock settico; ancora più comune della disfunzione sistolica è quella diastolica. Si tratta di una patologia tempo-dipendente per cui è essenziale l’“Early goal directed therapy” al fine di garantire perfusione ed ossigenazione periferica. Un elemento essenziale è l’infusione di liquidi (30 mL/Kg di cristalloidi in 3 ore); quanto prima li infondiamo quanto migliore è la prognosi, per la prosecuzione dell’infusione bisogna basarsi sul monitoraggio con ecocardiogramma. Tra i farmaci vasocostrittori di prima scelta è la noradrinalina, eventualmente associata a vasopressina o dobutamina, Il fine da perseguire è una pressione arteriosa media > 65 mmHg. Un altro snodo fondamentale è il timing della terapia antimicrobica: va iniziata entro un’ora dalla diagnosi nello shock settico ed entro 3 ore nell’infezione senza shock. Può esserci la necessità di un team dedicato per il paziente settico.

La Dott.ssa Carlotta Sorini Dini ha preso la parola con la relazione “Device di assistenza circolatoria a breve e medio termine”.

Il supporto al ventricolo sinistro mediante device di assistenza circolatoria a breve e medio termine può essere ottenuto tramite diversi dispositivi tra cui: il contropulsatore aortico, l’Impella, il tandem-heart e l’ECMO veno-arterioso. Il contropulsatorie aortico è in grado di ridurre il post-carico del ventricolo sinistro riducendo la pressione capillare polmonare, è importante nello shock cardiogeno non ischemico. L’Impella determina un ottimo “unloading” ventricolo sinistro. Il 2,5 garantisce 2,5 L/min di portata ed è destinato al supporto periprocedurale. L’ECMO non è un vero supporto al ventricolo sinistro ma un supporto di circolo. È essenziale scegliere il supporto corretto nei vari scenari clinici. In caso di pre-shock è preferibile il contropulsatore aortico IABP, se è presente desaturazione l’ECMO così come in caso di disfunzione ventricolare destra. L’impianto di un supporto meccanico al circolo deve avvenire il più precocemente possibile; è stato introdotto il concetto di “Door to support time”. Il paziente dovrà essere sottoposto a rivalutazione continua pensando ad escalation o de-escalation sulla base del monitoraggio emodinamico. Serve un lavoro di team. Negli anni si è ridotto l’utilizzo del contropulsatore aortico ed è aumentato quello dell’Impella e dell’ECMO. Le complicanze possono essere diverse e variano nel tempo. Nelle fasi acute sono prevalenti quelle emorragiche, nel cronico quelle infettive.

 

L’ultima relazione del simposio sullo “Storm aritmico” è stata esposta dal Dott. Gaetano Maria De Ferrari ha preso la parola storm aritmico.

Per storm aritmico si intende il verificarsi di almeno tre episodi di tachicardia ventricolare o fibrillazione ventricolare nelle 24 ore. L’aumento della mortalità si verifica in realtà non solo se gli eventi aritmici si verificano entro 24 ore ma entro 90 giorni. Tra le cause ricordiamo: le canalopatie, le torsioni di punta nel QT lungo acquisito e le cardiomiopatie (ischemiche e non). La gestione terapeutica iniziale si basa sull’utilizzo di farmaci come: lidocaina e amiodarone, sulla riprogrammazione dell’ICD e sull’analgosedazione con benzodiazepina e dexmedetomidina. Fondamentale è poi l’inizio del beta-bloccante (propranololo 10-20 mg per os ogni 4-6 ore, se necessario effetto rapido esmololo o landiololo ev), la destione delle cause favorenti (disturbi elettrolitici come ipoK, ipoMg), eliminazione di sostanze proaritmiche (farmaci che allungano QT, amine, ormoni tiroidei), trattamento dell’ischemia miocardica/ipossia/bassa portata e dell’aumento tensione del ventricolo sinistro (diuretici, vasodilatatori, es. sodio nitroprussiato). L’approccio terapeutico sarà poi diverso in base al raggiungimento o meno della stabilizzazione elettrica.

Il propranololo è il beta-bloccante di scelta: non selettivo; determina riduzione drastica degli eventi aritmici rispetto al metoprololo. Se non si ha la stabilizzazione del paziente è indicato il blocco percutaneo del ganglio stellato (STAR studio multicentrico). Come secondo step si può tentare la denervazione simpatica cardiaca eseguita tramite toracoscopia videoassistita. Se la stabilizzazione non viene comunque raggiunta è necessaria la programmazione rapida di un intervento non farmacologico se indicato (ablazione transcatetere in caso di TV monoforme o poliforme con PVC di innesco).

La Dott.ssa Maddelena Lettino ha moderato il terzo ed ultimo simposio dal titolo “Dal decalogo del cardiologo di area critica del Club delle UTIC”.

La Dott.ssa Roberta Rossini ha parlato di “Sedazione e delirio nel paziente ricoverato”.

Il delirium è un disturbo dell’attenzione, ce ne sono tre sottotipi: iperattivo, ipoattivo (sonnolenza, apatia) e misto. Si tratta di un evento che ha un’alta prevalenza ed incidenza in terapia intensiva. Tra le etiologie distinguiamo fattori non modificabili (età avanzata, declino cognitivo, multiple comorbilità, precedenti episodi, insufficienza renale cronica e patologie epatiche) e modificabili (protesi acustiche, occhiali, deprivazione di sonno, dolore, infezioni, chirurgia, alterazioni elettrolitiche, ambiente). Impatto prognostico: elevata morbilità, ritardo estubazione, ricovero in terapia intensiva. Per il trattamento è importante in primis la prevenzione con la rimozione delle cause scatenati e dei fattori precipitanti; sono quindi essenziali la diagnosi tempestiva ed il trattamento farmacologico. Tra la rimozione delle cause ricordiamo di cercare di deinvasivizzare paziente e di farlo mobilizzare. La diagnosi tempestiva: il paziente inizialmente appare disorientato e non riesce a mantenere l’attenzione. Ci sono diverse scale validate tra cui CAM-ICU e ICDSC. Scala di gravità: RASS. Per la terapia farmacologica è da preferire una sedazione blanda con farmaci alle dosi minime possibili.

La seconda relazione sulla “Rapida lettura EGA” è del Dott. Alberto Genovesi Ebert.

La lettura dell’emogasanalisi arteriosa si basa su quattro equazioni fondamentali: ossigenazione, contenuto di ossigeno, ventilazione ed equilibrio acido-base.

Le cause dell’ipossiemia possono essere molteplici; le prime cosa da valutare sono la PAO2 ed il rapporto ossigeno arterioso/alveolare. La ventilazione è espressa dalla PaCO2, se < 40 mmHg aumento ventilazione alveolare se > 40 mmHg aumento della ventilazione alveolare. Se il pH predetto è diverso dal misurato sono di fronte ad un problema non esclusivamente respiratorio. Il compenso atteso: diverso nella fase acuta o cronica delle malattie resp. Nel disturbo misto è importante l’Anion gap. La clinica deve sempre guidare l’interpretazione.

La Dott.ssa Alice Sacco ha parlato di “Inotropi e vasopressori”.

I dati su questi farmaci sono scarsi. Anche le linee guida ci danno classi di raccomandazione basse. Sono stati studiati solo in 5 studi con endpoint non “hard” ma surrogati. Non influenzano la mortalità < 90 giorni o > 90 giorni. Nello shock cardiogeno è essenziale identificare la causa per orientarsi nella corretta scelta terapeutica. Tra i farmaci suggeriti dalla Dott.ssa Sacco ricordiamo l’adrenalina a basso dosaggio, talvolta associata a noradrenalina al minor dosaggio e per il più breve tempo possibile. Non appena possibile da associare un vasodilatatore o un inodilatatore.

Il Dott. Marco Campana ha parlato di “Uso dell’ecocardio per il monitoraggio emodinamico nel paziente critico”.

L’uso dell’ecocardiogramma per il monitoraggio del paziente clinico è fortemente consigliato. Bisognerebbe applicare un protocollo mirato per lo studio del versamento pericardico e della disfunzione ventricolare. Le proiezioni di scelta sono: la sottocostale asse lungo e per la vena cava inferiore, la quattro camere, parasternale asse lungo e asse corto. È inoltre importante nel monitoraggio con formule emodinamiche.

 

Francesca Terzi