MAIN SESSION
CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA STRUTTURALE

di Martina Milani
Un aggiornamento su TAVI, correzione percutanea di insufficienza mitralica e tricuspidale, chiusura del forame ovale e dell’auricola sinistra.

La Main Session che si è tenuta in Sala Polis, moderata dai dottori Domenico Gabrielli e Loris Roncon, ha passato in rassegna i principali campi di azione della cardiologia interventistica.

Innanzitutto, la TAVI, protagonista indiscussa. Sono passati 20 anni da quando Alain Cribier ha eseguito il primo impianto percutaneo. In questo relativamente breve lasso temporale la tecnica ha conosciuto una vertiginosa espansione sia in termini di numero di procedure eseguite, sia per tecnologie miniaturizzate e accessi semplificati.

Ma quale valvola scegliere e per quale paziente? Siamo sicuri che one valve fits all? Anche se gli studi, nel complesso, non rilevano la superiorità di un device rispetto ad altri, un approccio ritagliato sul singolo paziente garantisce migliori risultati. Come fare? Per prima cosa il paziente deve essere selezionato adeguatamente. I candidati a TAVI sono spesso fragili (dove per fragilità si intende una sindrome clinica multisistemica complessa che riduce la capacità fisiologica di adattarsi a eventi stressanti) e complessi; vanno quindi studiati con attenzione, onde evitare di sottoporli a un intervento da cui non trarrebbero beneficio perché troppo compromessi. Il dottor Sergio Berti ha mostrato l’esperienza del suo centro, in cui esiste un vero e proprio day hospital dedicato all’inquadramento a 360 gradi del paziente in valutazione per TAVI.

Passando agli aspetti più tecnici, devono essere valutati l’anatomia della valvola (dimensione dell’annulus, altezza degli osti coronarici, calcificazioni, bicuspidia), gli accessi vascolari, la presenza di coronaropatia, di disfunzione ventricolare sinistra, di disturbi di conduzione, per identificare la protesi e la tecnica di impianto più adatte (ad esempio se l’annulus è piccolo si preferirà un impianto sovranulare).

A seguire, l’attenzione si è spostata sul trattamento della valvulopatia mitralica, di cui hanno parlato i dottori Francesco Musumeci e Luigi Fiocca. Per quanto riguarda la forma primaria, la chirurgia la fa da padrone e il trattamento percutaneo resta indicato nei pazienti giudicati inoperabili. Nella secondaria, alla luce dei risultati dei noti studi COAPT e MITRA-FR, il trattamento va riservato ai casi di rigurgito “sproporzionato” rispetto alle dimensioni e alla funzione ventricolare sinistra.

La tecnica edge-to-edge deve essere ancora affinata, per aumentare il successo procedurale: lo studio GIOTTO ha evidenziato che un rigurgito mitralico residuo almeno moderato è associato ad outcome peggiori. Sono stati implementati dispositivi di quarta generazione che presentano dimensioni variabili, maggior semplicità di impianto e possibilità di grasping indipendente dei lembi. Inoltre sono state sviluppate protesi (Tendyne, Intrepid) per la sostituzione valvolare percutanea in casi con controindicazione sia a chirurgia sia ad altre procedure transcatetere.

Tra le novità citate, esperienze nel paziente con insufficienza cardiaca avanzata (dati dal MITRABRIDGE Registry e i risultati del MITRADVANCE-HF) permetteranno di capire se l’intervento può dare un beneficio (prevalentemente in termini di ospedalizzazione) nei soggetti in lista d’attesa per trapianto.

Il dottor Christian Pristipino ha poi parlato di forame ovale. Esso deve essere chiuso nei soggetti con meno di 60 anni in caso di ictus secondario, mentre può esserlo in casi selezionati di ictus oltre i 60 anni e sindromi da desaturazione (quali platipnea-ortodeossia, OSAS, edema polmonare ad alta quota, desaturazione da sforzo) in cui si dimostri un nesso tra entità della desaturazione e dimensioni dello shunt. Poche sono invece le certezze nel trattamento dell’emicrania (attualmente limitato a scopo compassionevole). Caso interessante è quello della malattia da decompressione, in cui l’indicazione si pone analizzando il profilo di emersione: se aggressivo, l’embolizzazione sistemica di bolle di azoto formatesi a livello venoso può essere giustificata dall’apertura di shunt artero-venosi polmonari e un eventuale concomitante PFO non andrebbe trattato.

I device per la chiusura non sono tutti uguali: quelli a doppio disco, semplici da utilizzare, sono gli unici con evidenze di efficacia. Sulle tecniche di sutura percutanea non sono ancora disponibili dati solidi.

Si è quindi passati alla chiusura percutanea dell’auricola sinistra: sono più i rischi o i benefici? È a tutti gli effetti un dubbio amletico e i dati in letteratura non ci aiutano a risolverlo (i registri più importanti, da cui si traggono evidenze, sono AMPLATZER Cardiac plug ed EWOLUTION).

Il dottor Giulio Molon ha sottolineato che la chiusura di auricola non è una first line therapy nella prevenzione dello stroke dei pazienti con FA. Le complicanze descritte infatti non sono del tutto trascurabili e l’indicazione deve essere estesa solo a chi ne può trarre vantaggio. Quindi, i migliori candidati sono i pazienti ad alto rischio di sanguinamento o con controindicazione alla terapia anticoagulante (per storia di sanguinamenti intracranici, angiodisplasie intestinali, epatopatie, coagulopatie) e i pazienti con stroke nonostante adeguata terapia con TAO/DOAC. Anche gruppi di pazienti ad alto rischio e di difficile gestione (ad esempio dializzati o ischemici complessi con FA che dovrebbero essere sottoposti a una triplice long-term), di fatto esclusi dai grandi trial, possono essere considerati per la chiusura di auricola.

Infine, la relazione del dottor Francesco Maisano ha avuto come tema la correzione transcatetere dell’insufficienza tricuspidale.

Si può davvero parlare di inizio di una nuova era per una valvola a lungo dimenticata. La sottovalutazione della tricuspide ha radici lontane: Nina Braunwald nel 1967 scriveva che l’insufficienza tricuspidale si risolve una volta che si corregge la problematica a sinistra. Uno dei motivi per cui la malattia della tricuspide è sottotrattata è anche che i sintomi (astenia, disturbi digestivi da congestione addominale) sono subdoli, poco disturbanti, oppure vengono mal interpretati.

Una recente metanalisi di Wang ha distrutto i pregiudizi sulla tricuspide: l’insufficienza tricuspidale è una patologia a prevalenza non trascurabile e il rigurgito, anche solo moderato e isolato, è un fattore prognostico sfavorevole di sopravvivenza.

Anche le linee guida del 2021 hanno dato maggiore importanza alla correzione dell’insufficienza di questa valvola (inserendola nelle raccomandazioni, seppur in classe IIb, vista la ridotta esperienza accumulata nel trattamento transcatetere). Sono stati sviluppati innumerevoli sistemi (Triclip, Tricvalve, annuloplastica diretta, sostituzione valvolare ortotopica), in parte mutuati dal trattamento transcatetere dell’insufficienza mitralica; nel caso della tricuspide sono più semplici da applicare e garantiscono risultati tecnici più soddisfacenti. La parte difficile è la corretta selezione del paziente: per questo è stato sviluppato un algoritmo decisionale, ancora da ottimizzare.

Martina Milani