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Cardiologia Riabilitativa: il quinto Pilastro della cura nello Scompenso Cardiaco

di Elena Gualini
Il ruolo della Cardiologia Riabilitativa nel miglioramento del trattamento del paziente affetto da insufficienza cardiaca cronica; dall’esercizio fisico alla nutrizione, la cardiologia riabilitativa si afferma come il quinto pilastro nella gestione dello scompenso cardiaco: migliora la qualità di vita, riduce la mortalità e abbatte i tassi di riospedalizzazione

Apre la sessione sulla Cardiologia Riabilitativa il Dott. Temporelli, affrontando un tema centrale nella gestione dello scompenso cardiaco (heart failure, HF): l’esercizio fisico come strumento terapeutico e diagnostico.
Nel contesto dello scompenso cardiaco, la terapia farmacologica resta imprescindibile. I quattro pilastri della terapia – ACE-inibitori/ARNI, beta-bloccanti, antagonisti dei recettori mineralcorticoidi e SGLT2 inibitori – hanno migliorato significativamente la prognosi dei pazienti. Tuttavia, anche con l’adozione completa di questi trattamenti, la mortalità a sei mesi resta intorno al 10% e il tasso di riospedalizzazione raggiunge il 25%, con un trend in crescita.
È in questo scenario che la cardiologia riabilitativa si configura come quinto pilastro nella gestione del paziente con scompenso. Già dal 2016 e successivamente nelle linee guida del 2021, l’esercizio fisico ha ottenuto una raccomandazione classe IA per i pazienti con scompenso cronico. Questa indicazione è stata confermata anche dalle linee guida americane, sottolineando il valore universalmente riconosciuto della riabilitazione cardiologica.
I vantaggi dell’esercizio fisico sono molteplici e trasversali, migliorando non solo la resistenza allo sforzo ma anche la funzione metabolica, respiratoria e cardiovascolare, favorendo l’estrazione di ossigeno e migliorando la performance funzionale.
Ovviamente l’esercizio fisico, come un farmaco, deve essere prescritto al paziente giusto, nel momento giusto e con il dosaggio adeguato, evitandone la prescrizione nei pazienti con acuzie in atto o condizioni cliniche instabili.
Il Dott. Temporelli, inoltre si avvia alle conclusioni sottolineando come il test cardiopolmonare (CPET) possa essere uno strumento utile per la stratificazione prognostica e la valutazione dell’eziologia della limitazione funzionale di ciascun un paziente, rendendo possibile un’ancor migliore tailoring dell’esercizio fisico per ogni soggetto.

La sessione prosegue con il Dott. Caruso ha sottolineato che la cardiologia riabilitativa non solo riduce la mortalità e le ospedalizzazioni, ma incide anche positivamente sulla spesa sanitaria. Studi clinici hanno dimostrato una riduzione del 24% della mortalità cardiovascolare e del 20% della mortalità totale nei pazienti sottoposti a programmi riabilitativi. Il Congresso ESC del 2005 già riconosceva questi benefici, oggi supportati da ulteriori evidenze.
Ogni ricovero, infatti, rappresenta per il paziente una perdita progressiva dell’autonomia funzionale del paziente. La riabilitazione cardiologica fornisce al clinico tempo e spazio per ottimizzare la terapia farmacologica, educare il paziente, migliorare la compliance e prevenire le recidive. Tuttavia, uno degli ostacoli principali resta lo scarso accesso ai programmi riabilitativi, spesso per via di lunghe liste d’attesa. In questo contesto, l’efficienza nella gestione delle risorse e la personalizzazione del percorso riabilitativo diventano fondamentali.
Interviene nella sessione anche la Dott.ssa Barbara Biffi che porta l’attenzione su aspetto spesso trascurato, ovvero la valutazione e il trattamento dello stato nutrizionale del paziente con scompenso cardiaco. Spesso i pazienti affetti da scompenso cardiaco presentano uno stato nutrizionale non adeguato alla loro condizione clinica. La valutazione dello stato nutrizionale dovrebbe avvenire entro 24-48 ore dall’accesso in ospedale, valutando la presenza di malnutrizione precocemente utilizzando i criteri GLIM. La malnutrizione, infatti, ha un impatto negativo sulla prognosi anche nei pazienti con HF.
Un punto critico è la valutazione della presenza di massa muscolare scheletrica. L’intervento nutrizionale dovrebbe iniziare con la fortificazione della dieta, evitando eccessi di sodio e supportando il paziente nella scelta consapevole degli alimenti. In caso di apporto inadeguato è necessario considerare l’integrazione con nutrizione enterale o supplementi orali.

A chiudere la sessione, la Dott.ssa Armata ha posto l’accento sulla gestione del paziente anziano, la cui prevalenza nello scompenso è sempre più significativa. In questo contesto, la semplice valutazione della frazione d’eiezione ventricolare sinistra (FE) non basta. Occorre una fenotipizzazione più precisa, che tenga conto di classe funzionale, sintomi e comorbidità.
Lo studio HF-ACTION ha dimostrato che pazienti con FE ridotta (<35%) possono trarre beneficio dall’esercizio fisico indipendentemente dal valore di FE, se correttamente selezionati. La classe NYHA, pur utile, è soggettiva e dovrebbe essere affiancata da test più oggettivi come il 6-Minute Walk Test (6MWT) e il CPET.
Per concludere, la cardiologia riabilitativa è molto più che un complemento della terapia farmacologica: è una componente integrata e fondamentale della presa in carico del paziente con scompenso. Interviene non solo sull’efficienza cardiovascolare, ma anche sulla sfera nutrizionale, funzionale, psicologica e educativa del paziente. In un’epoca in cui il numero dei pazienti con HF è in crescita e le risorse sanitarie sono limitate, investire in riabilitazione significa aumentare la qualità di vita e ridurre la mortalità, le ospedalizzazioni e i costi.
Prescrivere esercizio fisico, valutare precocemente la malnutrizione, fenotipizzare il paziente anziano: sono tutte azioni che trasformano la riabilitazione da opzione accessoria a parte integrante della strategia terapeutica.

 

Elena Gualini
Elena Gualini