INCONTRO CON L’ESPERTO
LE INFEZIONI DEI DEVICE

di Giovanni Amedeo Tavecchia
Impariamo a riconoscerle e trattare le infezioni dei dispositivi elettronici cardiaci impiantabili, complicanza sempre più frequente nella pratica clinica.

Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un progressivo incremento del numero di impianti di dispositivi elettronici cardiaci quali pacemaker, defibrillatori e sistemi di resincronizzazione con conseguente miglioramento della qualità e dell’aspettativa di vita dei pazienti. Tuttavia, il prezzo da pagare è stato un parallelo aumento delle infezioni con un’incidenza stimata dall’AIAC variabile tra l’1 e il 4%. Il Dott. Luigi Aquilanti, nel corso dell’ultima giornata congressuale, ha moderato una interessante sessione incentrata sulla gestione di queste temibili complicanze.

Il primo intervento è stato del Dott. Stefano Aquilani che ha focalizzato l’attenzione sul ruolo fondamentale della prevenzione, prima strumento per ridurre il rischio infettivo. Bisogna conoscere i principali fattori di rischio modificabili per lo sviluppo di infezioni in modo tale da rimuoverli al momento dell’impianto. Una corretta gestione della terapia anticoagulante è sicuramente uno di questi. In particolare, tra i vari anticoagulanti a disposizione, è assolutamente sconsigliato l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare in prossimità dell’impianto poiché associato ad elevato rischio di ematoma di tasca e conseguente infezione del device. Inoltre, il timing di somministrazione della profilassi antibiotica è cruciale per garantire tassi di concentrazione plasmatica del farmaco adeguati al momento dell’impianto. Le cefalosporine di I generazione devono essere somministrate 60 minuti prima della procedura. Nei pazienti allergici alle penicilline o quando si sospetti la presenza di stafilococchi meticillino resistenti, è opportuno l’utilizzo di vancomicina somministrata 90-120 minuti prima dell’impianto. Vi sono poi fattori di rischio procedurali quali la durata della procedura e la necessità di riposizionamento dei cateteri che sono meritevoli di attenzione. Infine, nei pazienti con fattori di rischio non modificabili ed elevato rischio infettivo (es. IRC, BPCO, terapia immunosoppressiva), può essere considerato l’utilizzo degli involucri antibatterici riassorbibili.

A seguire, il Dott. Matteo Baroni, con estrema chiarezza espositiva, ha sottolineato l’importanza di una gestione multidisciplinare nell’affrontare le infezioni dei device. A tal proposito, il documento di consenso della Società Europea di Cardiologia fornisce indicazioni molto precise. Fino a sei specialisti differenti (cardiologo clinico, esperto di imaging, elettrofisiologo, infettivologo, cardiochirurgo e medico nucleare) possono e devono interagire per arrivare ad una diagnosi e ad un trattamento ottimale. Da un punto di vista terapeutico, accanto alla terapia antibiotica, nei casi di infezione certa del device è fondamentale l’estrazione del dispositivo. Tale procedura molto spesso è complessa e gravata da complicanze anche gravi; pertanto è indispensabile la presenza di un’equipe multidisciplinare esperta, di apparecchiature dedicate e la disponibilità di uno standby cardiochirurgico.

In conclusione, il compito del cardiologo deve essere quello di riconoscere tempestivamente questa complicanza e, quando necessario, riferire i pazienti verso Centri ad alto volume in grado di portare a termine anche procedure di estrazione complesse.

 

Giovanni Tavecchia ANMCO
Giovanni Amedeo Tavecchia