INCONTRO CON L’ESPERTO
IPERTENSIONE POLMONARE CRONICA TROMBOEMBOLICA

di Francesca Terzi

Sabato 21 maggio, ultimo giorno dei lavori scientifici ANMCO 2022, in Sala Polis si è svolta la sessione sull’ipertensione polmonare cronica tromboembolica, moderata dal Dott. Claudio Picariello. Il primo relatore è stato il Dott. Loris Roncon, della Cardiologia di Rovigo che ha relazionato sulla definizione di questa patologia e sulla necessità di seguire un percorso strutturato al fine di diagnosticarla il prima possibile. Il cuore polmonare cronico tromboembolico (CPCTE) è una malattia rara caratterizzata da lesioni trombotiche ostruttive organizzate della circolazione polmonare associate a estesi fenomeni di rimodellamento vascolare e viene identificato come gruppo 4 della classificazione clinica dell’ipertensione polmonare (IP). La sua incidenza dopo un evento di embolia polmonare acuta è estremamente variabile ma si attesta intorno al 3.4%. La diagnosi di CPCTE prevede un percorso strutturato che si basa sull’utilizzo combinato di diverse tecniche di imaging da un lato (scintigrafia polmonare ventilo-perfusoria; TAC del torace con mdc; angiografia polmonare non selettiva) e sull’esecuzione del cateterismo cardiaco destro dall’altro. Dal punto di vista emodinamico, il CPCTE prevede la presenza di IP precapillare, caratterizzata da una PAPm ≥25 mmHg, da una PCP ≤15 mmHg e da RAP >3 UW e multipli difetti di perfusione. Il Dott. Roncon ha anche sottolineato che la definizione emodinamica di IP, nel prossimo futuro potrà cambiare abbassandosi la soglia da 25 a 20 mmHg. Indipendentemente dal valore di pressione media in arteria polmonare la valutazione diagnostica di CPCTE andrebbe eseguita dopo almeno 2-3 mesi di terapia anticoagulante ben condotta al fine di escludere embolie polmonari subacute caratterizzate da difetti di perfusione “freschi” e, quindi, non ancora strutturati. Al fine di evitare di perdere pazienti con CPCTE il Dott. Roncon ha mostrato quanto sia importante il monitoraggio clinico, elettrocardiografico e soprattutto ecocardiografico dei pazienti dopo un evento di embolia polmonare. Come suggerito dalle linee guida europee sull’embolia polmonare acuta, i pazienti che restano sintomatici dopo tre mesi dall’evento acuto devono essere sottoposti a screening per escludere o confermare che abbiano un CPCTE. La diagnosi di CPCTE è molto importante perché è l’unica forma di IP potenzialmente curabile con le attuali forme di terapia. L’algoritmo terapeutico del CPCTE prevede l’utilizzo della terapia anticoagulante “a vita”. L’endoarterectomia polmonare (PEA) è il “gold standard” per il trattamento del CPCTE. Su questo argomento ha relazionato il Prof. D’Armini, dell’Ospedale San Matteo di Pavia, cardiochirurgo pioniere in Italia di questo intervento. Il Prof. D’Armini ha mostrato come la chirurgia sia in grado di offrire una normalizzazione del profilo emodinamico, una sopravvivenza nettamente superiore rispetto a quella dei pazienti non operati e una mortalità perioperatoria < 5% purché l’intervento venga fatto in centri esperti di riferimento. L’intervento prevede la sternotomia, moderata ipotermia, fasi di arresto di circolo al fine di rendere visibile il piano di clivaggio per l’endoarterectomia. Negli ultimi anni si è molto affinata la tecnica chirurgica e pazienti che un tempo venivano considerati inoperabili ora, invece lo sono: non è più necessario, infatti, essere guidati da materiale trombotico prossimale visibile. La presenza di placche simil-ateromasiche a livello prossimale può essere utilizzata come “filo di Arianna” per liberare i vasi fino alla periferia. Il risultato clinico, emodinamico e prognostico della PEA nei pazienti con lesioni distali è del tutto sovrapponibile a quella dei pazienti con lesioni prossimali. Circa il 30% dei pazienti con CPCTE, però, risulta inoperabile per l’elevato rischio operatorio (comorbilità, età avanzata, anatomia sfavorevole, sproporzione tra severità del profilo emodinamico e l’entità delle ostruzioni). Inoltre, nonostante una PEA tecnicamente perfetta, il 20-25% dei pazienti presenta una IP residua. In questi pazienti e in quelli inoperabili l’algoritmo terapeutico prevede l’utilizzo di farmaci specifici per la IP e l’angioplastica percutanea delle arterie polmonari con pallone (BPA). A tale proposito il Dott. Picariello ha dato la parola al Dott. Palazzini, cardiologo che lavora nell’unico centro in Italia, il Policlinico universitario Sant’Orsola di Bologna, che esegue la BPA nei pazienti con CPCTE. La BPA, spiega il Dott. Palazzini, venne proposta già alla fine degli anni ’90, senza tuttavia affermarsi nella pratica clinica alla luce dell’elevata incidenza di gravi complicanze periprocedurali. Attualmente la BPA viene eseguita in molti centri a livello mondiale grazie soprattutto all’esperienza maturata dai centri Giapponesi. La BPA, attraverso un approccio che prevede più sedute, è in grado di determinare una pseudo-normalizzazione del profilo emodinamico a fronte di una mortalità periprocedurale inferiore al 5%. La corretta selezione delle lesioni permette di evitare le maggiori complicanze di tale procedura che sono: l’edema da riperfusione, la perforazione del vaso da parte delle guide, la dissezione della polmonare. A tale proposito è stata introdotta una nuova classificazione delle lesioni presenti nel CPCTE al fine di standardizzare e aiutare chi si approccia ad eseguire la BPA. Le lesioni passibili di rivascolarizzazione percutanea, quelle cioè con un buon rapporto rischio beneficio, sono quelle ad anello e le webs intravascolari mentre risultano non angioplasticabili le ostruzioni complete e le lesioni di vasi distali estremamente tortuosi. Il Dott. Palazzini ha mostrato come possano essere applicate alla BPA gli stessi materiali (guide, palloni) e tecniche (IVUS, FFR, OCT) utilizzate nell’angiografia coronarica.

La sessione si è conclusa con la relazione della Dott.ssa Scelsi, cardiologa del centro San Matteo di Pavia che ha affrontato la dimensione farmacologica del trattamento dei pazienti con CPCTE. Il razionale dell’utilizzo dei farmaci specifici in questi pazienti, spiega la Dott.ssa Scelsi, risiede nel trattamento della vasculopatia polmonare ipertensiva presente nelle aree non ostruite. Quasi tutti i principi attivi che agiscono sulle tre vie metaboliche alla base della vasculopatia polmonare ipertensiva sono stati studiati singolarmente o in combinazione all’interno di studi clinici o in “case series” e, più o meno tutti hanno documentato un miglioramento del test dei sei minuti di marcia e del profilo emodinamico ma non della sopravvivenza.

 

Francesca Terzi