In questa seconda giornata del 55° Congresso Nazionale ANMCO assistiamo ad un brillante simposio sulle dark side delle miocarditi, moderato dal Dottor Carbonaro.
Introduce il simposio il Dottor Imazio che incentra la sua presentazione sulla gestione clinica dei pazienti che presentano una miocardite e che si presentano nella quotidianità in un centro che non necessariamente gestisce i quadri più complessi. In attesa delle nuove linee guida sul tema previste per il 2025 viene spiegato come la conoscenza di questa patologia prenda sempre più piede nella pratica clinica e quanto sia fondamentale essere in grado di gestirla nel migliore dei modi. Lo spettro di presentazione è ampio, con un ventaglio che comprende quei pazienti con una forma lieve che decorre paucisintomatica e che si risolve senza reliquati e quei pazienti che hanno invece un esordio con dolore toracico simil infartuale, profilo aritmico spiccato fino a quadri severi di scompenso cardiaco acuto e shock cardiogeno. Vengono presentati i dati del Registro Lombardo multicentrico che, in linea con altri dati presentati, conferma come il 75% circa dei pazienti con miocarditi appartenga ad una categoria a basso rischio. Viene illustrato un documento di consenso ANMCO/SIC dove vengono riportate le cause di miocardite ma, come specificato dal relatore, l’eziopatogenesi della miocardite è più complessa e scaturisce dall’integrazione di un substrato di predisposizione genetica su cui probabilmente un trigger, come un’infezione, attiva complessi meccanismi che coinvolgono infiammazione ed autoimmunità.
La biopsia endomiocardica rappresenta uno strumento diagnostico importante, fondamentale in quelle forme rapidamente progressive che necessitano di un trattamento specifico immediato come la miocardite gigantocellulare, la forma eosinofila e la forma linfocitaria.
Viene ribadita l’importanza di un approccio pragmatico, preciso e sequenziale, che consenta la precoce individuazione delle forme severe che determinano scompenso cardiaco acuto o shock cardiogeno, complicate da disfunzione ventricolare sinistra o da un pattern aritmico ventricolare spiccato con la successiva gestione di questi pazienti in centri hub.
A questo punto il simposio prosegue con uno dei massimi esperti di miocardite, il Dottor Ammirati, che illustra le forme più complesse, rare, ma la cui conoscenza potrebbe consentire di identificarle precocemente e di diminuire la mortalità nei pazienti. Per prime vengono descritte le miocarditi correlate ad immune checkpoint, farmaci antitumorali che hanno applicazione in circa il 50% delle neoplasie. Le cellule tumorali spesso esprimono PD-L1, che si lega a PD-1 sui linfociti T, inibendo la loro attività. Gli ICIs che bloccano PD-1 (come nivolumab e pembrolizumab) o PD-L1 (come atezolizumab e durvalumab) impediscono questa interazione, riattivando le cellule T contro il tumore. Impedendo questa interazione però viene favorita l’autoimmunità generale e tra queste, la miocardite. La miocardite come complicanza di queste tipologie di trattamento insorge precocemente, nella maggior parte dei casi nei primi 30 giorni dall’inizio della terapia, ma può insorgere più raramente nei primi 3 mesi e, talora, anche a distanza di diversi mesi. L’età media dei pazienti colpiti da questa tipologia di miocardite è quasi doppia rispetto alla comune età di presentazione della miocardite, la prevalenza è nel sesso maschile e la tipica presentazione è con dispnea e affaticamento, esistono casi che presentano miotossicità o diplopia come quadro simil miastenico. All’elettrocardiogramma spesso si riscontrano ritmi ventricolari o comunque un burden extrasistolico ventricolare elevato. In genere ad essere confondente è la mancata riduzione della frazione di eiezione ed è per questo che bisogna concentrarsi soprattutto sugli elevati valori di troponine e sugli aspetti elettrocardiografici. La mortalità di questi pazienti si attesta intorno al 30-40% ed è dovuta sia a morte cardiaca ma anche a mortalità correlata al tumore, si specifica come spesso queste terapie sono le ultime linee disponibili e la loro interruzione porta ad un’evoluzione della patologia di base che può essere fatale. Il trattamento deve essere tempestivo con alti dosaggi di cortisone endovenoso e, se non fosse sufficiente, prevedendo l’utilizzo di immunosoppressori come abatacept o di anticorpi anti-timociti (ATG) che colpiscono selettivamente i linfociti T, attori del meccanismo patogenetico.
Viene fatto poi un cenno alle miocarditi correlate alla clozapina. Viene mostrato il registro VIGIBASE da cui si evidenzia come gli antipsicotici sono la categoria di farmaci maggiormente implicati nelle forme miocarditiche da ipersensibilità.
Un ultimo sguardo viene posto sulle miocarditi con background genetico. Una presentazione simil miocarditica, infatti, può essere causata da una cardiomiopatia durante una fase di hot phase. Risulta estremamente importante riconoscerle e, in questo senso, indagare l’anamnesi personale e familiare in modo accurato. Si tratta di pazienti che hanno una RMN cardiaca con un LGE ad anello o a livello settale e che hanno alto rischio di aritmie ventricolari maligne e morte cardiaca improvvisa.
Il Dottor Ammirati presenta un trial in corso coordinato dall’Ospedale Niguarda di Milano, il CMP-MYTHIC TRIAL in cui viene testato l’utilizzo della colchicina in pazienti con cardiomiopatie con miocardite.
A concludere questa sessione la Dottoressa Musella che focalizza l’attenzione sull’utilizzo della RMN cardiaca nei pazienti con miocardite, metodica non invasiva con ruolo cruciale nella diagnosi e nel follow-up di questi pazienti. Attraverso l’utilizzo di sequenze diverse vengono valutate la presenza di edema miocardico, di iperemia e di fibrosi. Particolarmente utile nella stratificazione prognostica di questi pazienti, infatti, la persistenza di LGE, indicatore di fibrosi, in assenza di edema miocardico, individua le aree di cicatrice e predice una prognosi peggiore. Invece, i pazienti che al follow-up dimostrano un’assenza di edema e di LGE hanno una prognosi migliore.
La risonanza magnetica cardiaca rappresenta uno strumento diagnostico fondamentale nella gestione della miocardite, offrendo una valutazione dettagliata e non invasiva della struttura e funzione del miocardio. L’uso di tecniche avanzate come il T1/T2 mapping e il late gadolinium enhancement permettono di identificare con precisione le aree di infiammazione e danno miocardico, migliorando la diagnosi e la gestione dei pazienti affetti da questa condizione.
