La sessione si è aperta con una presentazione sulla terapia antitrombotica in fase precoce a cura del Dottor Claudio Fresco (ASUFC Udine) con focus sui casi di pazienti con SCA-NSTE. In apertura un breve rimando a quanto prescritto dalle Linee Guida ESC 2020, le quali avevano introdotto cambiamenti relativi, ad esempio, all’anticoagulante bivalirudina, passato ad una classe IIB di raccomandazione. Esse avevano inoltre introdotto una controindicazione al trattamento con precarico farmacologico in pazienti con infarto N-STEMI prima della coronarografia, aspetto oggetto di ampio dibattito.
Le successive Linee Guida ESC 2023 hanno portato, invece, ad una retrocessione della raccomandazione di classe IIa per l’esecuzione della coronarografia in pazienti con diagnosi di SCA N-STEMI e, dunque, non più strettamente raccomandata ma da considerare, desiderabile. Permasta invece la controindicazione ad un precarico/pretrattamento del paziente, con livello di evidenza III. A tal proposito è stato inserito un breve riferimento al registro svedese “SWEDEHEART”, una raccolta sistematica di real-world data dalla quale è emerso chiaramente come la maggior parte dei pazienti vengono pretrattati di routine con terapia antitrombotica precoce (n=59.894 trattati vs n=4.963 non pretrattati) e in questi si verifica circa un 46% di mortalità. Tuttavia, sebbene i registri rappresentino un’importante fonte di real-world data, è importante l’introduzione di controlli negativi, come suggerito dalla FDA nella trattazione “Evaluating the utility of negative controls in drug safety and effectiveness studies using real-world data”, a garanzia della qualità del dato e dunque dei risultati potenzialmente ottenibili.
Il pretrattamento routinario con un inibitore P2Y12 è controindicato in pazienti con diagnosi di N-STEMI in cui l’anatomia coronarica non è nota e il trattamento invasivo precoce è già pianificato (<24h).
A parlare successivamente di timing di esecuzione della coronarografia è stato il Dottor Giampaolo Pasquetto (Cittadella di Padova), partendo da riferimenti alle Linee Guida ESC 2020, che relativamente alla selezione della strategia di trattamento dei pazienti SCA N-STEMI e il timing in accordo con la stratificazione del rischio iniziale, sono state oggetto di ampio dibattito per la strategia invasiva immediata indicata entro 2h nei pazienti ad alto rischio.
Sono stati mostrati i risultati provenienti da 11 trials clinici di confronto della strategia precoce vs ritardata, dai quali è emerso che 5 trials sono risultati a favore dell’approccio precoce/strategia immediata (vs lunga anche di 60-70h) raggiungendo l’endpoint primario, definito “hard”, mentre 6 trials non sono risultati a favore.
Risultati sostanzialmente sovrapponibili sono emersi da successive metanalisi, fra cui la metanalisi di Kite TA et al. (European Heart Journal 2022 00, 1-4) su 17 studi clinici randomizzati su oltre 10 mila pazienti SCA-NSTE, dalla quale è emerso come l’approccio precoce, rispetto alla strategia invasiva ritardata, favorisca la riduzione della ischemia ricorrente.
Nell’editoriale ESC “Timing of invasive management of NSTE-ACS: is the time up for early management?” (EHJ 2022 00, 1-3) gli autori parlano di “flessibilità” da applicare in base alle “disponibilità locali”, due concetti innovativi e importanti. Ciò ha comportato un downgrade alla classe IIa di raccomandazione per pazienti ad alto rischio e dunque non più raccomandato/obbligatorio entro le 24h ma preferibile.
Nel caso di pazienti ad altissimo rischio la strategia immediata invasiva è sicuramente necessaria. Sono stati altresì presentati dei pratici casi clinici a dimostrazione del fatto che non tutti i casi di SCA-NSTE sono sovrapponibili.
Uno studio successivo, hypothesis-generating, ha inoltre valutato l’onset time dei sintomi di ischemia (StC o symptom-to-catheter) rispetto al tempo d’intervento che è risultato a favore della strategia precoce.
I vantaggi di una strategia precoce (<24h) sono limitati alla riduzione della ricorrenza di ischemia, IM spontaneo e degenza ospedaliera.
Il concetto chiave è che una strategia invasiva dovrebbe essere disponibile in tutti i pazienti, privi di controindicazioni, durante l’ospedalizzazione. Il timing della strategia invasiva è dettato dal rischio. Al clinico spetta dunque l’arduo compito di trovare il giusto compromesso tra prevenzione dell’infarto spontaneo, incrementato rischio di infarto peri-procedurale e logistica (trasferimento, adeguata disponibilità di personale e posti letto).
La sessione è proseguita con la relazione del Dottor Roberto Ceravolo (Presidio Ospedaliero “Giovanni Paolo II” di Lamezia Terme) che ha parlato di gestione del paziente SCA-NSTE partendo dai principali cambiamenti introdotti dalle Linee Guida ESC, illustrati nella figura di seguito, fra i quali spicca il downgrading dalla classe di raccomandazione da Ia a IIa della strategia invasiva precoce entro le 24h.
Il quesito chiave indagato da diversi trial è stato: “Qual è il timing ottimale per l’esecuzione della coronarografia?”
I risultati hanno mostrato che in tutti i casi di SCA-NSTE la coronarografia immediata non ha un impatto clinico e prognostico. La stratificazione del rischio rappresenta un passaggio importante di orientamento alla migliore strategia terapeutica percorribile.
Come dimostrato dalla metanalisi di Collet JP et al. (Eur Heart J 2021; 42: 1249), relativamente al timing to angiography, non sembra esserci un vantaggio nell’adozione di un approccio eccessivamente precoce.
Ulteriori studi, quali il “TIMACS” e il “VERDICS” hanno mostrato alcune limitazioni e potenziali bias, quali la bassa percentuale di eventi registrati nonostante la casistica ampia (TIMACS) e la potenziale mitigazione degli effetti clinici nella popolazione non studiata con coronarografia (VERDICS).
Lo studio clinico randomizzato “EARLY” ha poi indagato la tempistica ottimale di intervento, sempre in pazienti SCA-NSTE ma non pretrattati.
In quanto rappresentante della realtà clinica dei Centri Spoke, il Dottor Ceravolo ha poi esposto il loro punto di vista (Figura 2), presentando alcune criticità nella gestione dei casi SCA-NSTE legate, ad esempio, al trasferimento dei pazienti (nel 54% dei casi) ai più vicini/disponibili Centri Hub (tempistiche prolungate, posti letti limitati, personale medico e infermieristico dedicato con conseguente riduzione di organico).
I pazienti SCA-NSTE, stando alle raccomandazioni, devono infatti essere trasferiti entro 24h da un Centro Spoke ad uno Hub, il quale è generalmente già sovraccarico di propri casi, in aggiunta ai casi più urgenti di SCA-STEMI.
Sulla base delle evidenze derivanti dell’importante mole di dati real-world disponibili, provenienti dallo “Swedeheart registry”, i pazienti studiati entro 24h risultano a basso rischio e all’aumentare del numero di ore si ha un aumento del rischio, per cui la tempistica di intervento, seppur non necessariamente tempestiva come nei casi STEMI, rimane un aspetto importante. A questo proposito è stata testimoniata la realtà del Centro Spoke di Lamezia Terme, un esempio purtroppo fra tanti in Italia, in cui la media dei giorni di attesa per il trasferimento di un paziente SCA-NSTE ad un Centro Hub è piuttosto elevata, attestandosi sui 18 giorni. Ciò testimonia come la difficile e variegata realtà ospedaliera, non sempre può essere in linea con la visione utopica, quasi idealizzata, delle Linee Guida vigenti, specie nei Centri non Hub nei quali le criticità prevalgono.
Dalla relazione sono emersi i seguenti messaggi chiave, meritevoli di riflessione e di rimedio:
- il mondo reale non è sempre quello delle Linee Guida, soprattutto nei Centri Spoke;
- i Centri Hub sono sovraccaricati dall’attività interventistica dei casi acuti;
- l’organico dei Centri Spoke è nettamente inferiore rispetto a quello degli Hub e quindi risulta in difficoltà nei trasporti;
- alcuni Centri Spoke dovrebbero dotarsi di emodinamica in modo da creare una rete secondaria tra gli stessi;
- non esiste a oggi uno studio clinico randomizzato (RCT) di confronto della strategia precoce vs tardiva considerando come t0 il tempo d’insorgenza dei primi sintomi di infarto (t0 = onset time of first symptom of AMI).
La sessione è poi proseguita con la presentazione del Dottor Filippo Ottani (Ospedale Infermi di Rimini) dal titolo “Timing di rivascolarizzazione dei vasi non culprit”, partendo dalla presentazione dei risultanti derivanti dai trials randomizzati “SMILE” e “BIOVASC”, a favore dell’approccio precoce nei casi SCA-NSTE.
Lo SMILE è un RCT italiano da cui è emerso che in pazienti con MVD (multivessel disease) la rivascolarizzazione completa in un’unica seduta (1-stage PCI) o al massimo con un completamento eseguito entro il ricovero indice (3-7 giorni) risulta essere la strategia più efficace. A due anni di follow-up, infatti, la differenza nei MACCE (Major Adverse Cardiac and Cerebrovascular. Event) nelle due popolazioni studiate è nettamente a vantaggio della rivascolarizzazione completa in unica seduta, rispetto alla strategia multistage di completamento successivo.
Lo studio BIOVASC ha coinvolto sia pazienti con diagnosi di SCA-NSTE che di SCA-STE (limite), sempre randomizzati per 1-stage PCI e multi-stage PCI, con completamento entro 6 settimane. I dati ottenuti nei due gruppi nel medio termine in termini di MACCE risultano a favore della strategia di rivascolarizzazione completa immediata. Nella popolazione multistage PCI si sono inoltre verificati infarti miocardici spontanei precoci (peri-procedurali) con mediana di presentazione a 16 giorni prima della planned-PCI legati a placche non culprit o all’instabilità di placca e in alcuni casi ad uno stato infiammatorio.
Ulteriori evidenze disponibili provengono poi dal trial randomizzato “FIRE” che confronta l’approccio di rivascolarizzazione completa vs culprit-only, i cui dati risultano nettamente a favore del primo. Il trial presenta tuttavia alcune limitazioni degne di nota, quali: popolazione SCA mista (STEMI/NSTEMI), età avanzata (>75anni), definizione di malattia multivasale (MVD se diametro del vaso >2.5 mm).
Per quanto riguarda invece le evidenze derivanti da studi clinici non randomizzati, il “BCIS-UK registry”, pur non essendo un RCT, ha fornito numerose importanti evidenze sulle SCA in circa 18.000 pazienti. Ha per esempio confermato che nei pazienti con SCA-NSTE la rivascolarizzazione completa è più efficace in termini di riduzione della mortalità per tutte le cause nel medio-lungo termine, rispetto all’approccio culprit-only PCI.
Inoltre, si ritiene che la presenza di onde Q sull’elettrocardiogramma di presentazione indichi un coinvolgimento miocardico più esteso e ha dimostrato di essere un predittore indipendente di esiti clinici avversi dopo infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (SCA-STEMI). La presenza di onde Q sull’ECG di presentazione nei pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo primario a causa di STEMI è un predittore indipendente di mortalità e aggiunge valore prognostico. È stato infatti osservato che a distanza di tempo rispetto all’insorgenza dei sintomi (da 0-24h a 72h-1settimana) aumenta progressivamente e in modo significativo il grado di occlusione dei vasi.
I pazienti con onde Q all’ECG basale hanno un rischio significativamente aumentato di mortalità cardiaca, indipendentemente dal tempo alla riperfusione, dall’arteria colpevole o dal sesso. La presenza di onde Q sull’ECG basale può essere dunque utilizzata come surrogato significativo del “symptom onset to balloon time” (STB) e aggiunge significato alla stratificazione del rischio dei pazienti con STEMI sottoposti a PCI.
In ultimo, un breve rimando su quanto raccomandato dalle Linee Guida ESC 2023 relativamente al trattamento dei casi SCA, STEMI e N-STEMI, come mostrato nella figura di seguito (EHJ 2023; 44: 3720).
A conclusione della sessione, la relazione del Vice Presidente ANMCO Leonardo De Luca (Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia), il quale ha presentato i risultati provenienti dai dati real-world raccolti con il Registro prospettico nazionale italiano “EYESHOT-2” (EmploYEd Antithrombotic Therapies in Patients With Acute Coronary Syndromes HOspitalized in iTalian Coronary Care Units), promosso dall’ANMCO e dalla Fondazione per il Tuo cuore, e pensato allo scopo di aggiornare le conoscenze sull’uso delle terapie antitrombotiche nei pazienti con infarto miocardico ricoverati in UTIC. Il registro ha infatti lo scopo di aggiornare le conoscenze relative alle varie terapie antitrombotiche attualmente impiegate come standard of care (in monoterapia o in combinazione), dal momento del ricovero in UTIC fino alla dimissione ospedaliera, in pazienti con diagnosi di STEMI o NSTEMI, con differenti profili di rischio ischemico ed emorragico e sottoposti a differenti strategie terapeutiche (rivascolarizzazione percutanea, chirurgia, strategia conservativa). Focus: tracciare le terapie antitrombotiche impiegate routinariamente nel periodo periprocedurale della PCI e determinare la frequenza di eventi clinici intra-ospedalieri (ischemici ed emorragici) in funzione delle differenti combinazioni di agenti antitrombotici somministrate.
Il Registro ha coinvolto 183 UTIC italiane, rappresentative della realtà nazionale sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista della complessità della struttura (centri Hub e spoke), e ha arruolato un totale di 2.806 pazienti con diagnosi di IMA STEMI/N-STEMI (47.4% STEMI e 52.6% N-STEMI) in un periodo di arruolamento di 4 settimane consecutive (1-29 febbraio 2024). Non è stato previsto un follow-up dei pazienti inclusi.
A seguire sono state brevemente descritte le caratteristiche generali baseline dei pazienti inclusi. Dei casi N-STE ACS colpiscono sicuramente l’età mediana più avanzata (71 anni), l’incidenza (>uomini) e i fattori di rischio caratteristici. Il 7.2% dei pazienti presenta meno di 50 anni, dei quali 5.6% con N-STEMI e 8.9% con STEMI. Di questi, la maggior parte presenta una coronaropatia monovasale (53.2%) e il 9.5% coronarie indenni. Relativamente ai pazienti con diagnosi di SCA-NSTEMI, forma che non richiede una rivascolarizzazione immediata del vaso identificato come “culprit”, il ricorso precoce (<24h) all’esame diagnostico coronarografico è risultato più frequente nella popolazione più giovane (<55 anni) e nei Centri dotati di una sala di emodinamica e ciò in modo indipendente dal rischio stimato, aspetto che invece dovrebbe primariamente guidare il clinico nella scelta di una strategia precoce.
Sono state poi riportate anche le variabili emodinamiche registrate all’ammissione ospedaliera, sia overall che dei casi SCA-NSTE. Di questi ultimi ad esempio: Killip category III-IV 9.3%; arresto cardiaco associato(1.2%); first qualifyng ECG, nel 96.8% dei casi; ST-changes; fibrillazione atriale/flutter all’ECG nell’8.1% dei casi; frazione di eiezione mediana % di 49 ± 10; pressione arteriosa sistolica mediana di 140 ± 23 mmHg; parametri ematochimici chiave per una corretta stratificazione/valutazione del rischio e prognosi, quali profilo lipidico completo, assetto glicemico, funzionalità renale, emoglobina e conta piastrinica. È stata poi presentata la terapia antiaggregante all’ammissione, in anamnesi d’ingresso, una terapia fondata principalmente sull’uso di ASA (37.9%), clopidogrel (10.5%), OAT 9.3%, DAPT 8.3 % e in piccole percentuali di EBPM (1.2%), ticlopidina (0.3%), prasugrel (0.3%), ticagrelor (2%). Trattamenti farmacologici ulteriori assegnati alla dimissione ospedaliera riguardano, in ordine di maggior impiego: ACE-I/ARB/ARNI, β-bloccanti, Statine, Ezetimibe, Diuretici.
È stato poi discusso il processo di stratificazione del rischio, con focus sui pazienti N-STEMI, basato sull’utilizzo di score di rischio quali, principalmente, GRACE (nel 76%; mediana di 149.6 nei casi N-STE), TIMI (nel 14.5%), in piccola misura PRAISE (0.2%) e di altro tipo (10.3%), utili per l’ottenimento di una stima del rischio ischemico (37%). ARC HBR, PRECISE DAPT e altri score sono stati, invece, utilizzati per la valutazione del rischio di sanguinamenti (27.4%).
In riferimento invece alle strategie e al timing è emerso come nel 95.7% dei casi è stata eseguita una coronarografia (73.4% PCI; 5.8% CABG; 20.8% RX) e nel 4.3% una RX.
Relativamente invece alle tempistiche di rivascolarizzazione N-STE, siamo scesi di circa 10 ore rispetto al passato rimanendo sempre entro nelle 24 ore nei Centri dotati di sala di emodinamica. La variabile indipendente che influisce maggiormente e positivamente sulle tempistiche di trattamento è sicuramente la dotazione di una sala di emodinamica. Nei Centri non Hub non dotati di emodinamica la mediana si attesta infatti sulle 45 ore di trattamento rispetto all’evento indice. È stato inoltre registrato un aumento significativo (90% sul totale) del ricorso alla rivascolarizzazione percutanea (l’angioplastica con impianto di DES e completa rivascolarizzazione prevale), una riduzione del trattamento conservativo e una riduzione complessiva dei tempi intercorrenti tra l’accesso ospedaliero e la PCI (soprattutto nei Centri dotati di sala emodinamica).
Ulteriore concetto significativo emerso è la valutazione della tempistica d’intervento a partire dall’insorgenza dei sintomi tipici di SCA (chest pain onset) fino all’ammissione ospedaliera, tempistica valutata e migliorata negli ultimi anni. Inoltre, dai dati presentati è emerso chiaramente come, almeno nella realtà italiana, nonostante una classe di raccomandazione elevata il pretrattamento con antiaggreganti (DAPT) si attesa solamente dal 45 al 48% circa.
Sono stati anche esposti i dati relativi al rate di coronarografie condotte entro le 24h dall’ammissione ospedaliera nei pazienti N-STEMI: età ≤55 anni nel 67.6% dei casi, GRACE score ≥ 140 (cardiac arrest) nel 49.8% e trattamento in sala di emodinamica nel 59.8% dei casi. Sono stati in seguito discussi gli eventi avversi intraospedalieri verificatesi (lunghezza degenza: 7.8 ± 5.4 giorni; mediana di 6 giorni): sanguinamenti maggiori + minori (5.2%), sanguinamenti maggiori (2%), stroke/TIA (0.9%) e morte (1.8%).
Lo studio EYESHOT-2 si configura, in sostanza, come una fotografia della realtà clinica italiana che descrive la gestione intraospedaliera dei pazienti ricoverati per infarto miocardico, mostrando come – in linea generale – tutti i trattamenti raccomandati siano altamente prescritti e una riduzione della mortalità intraospedaliera (1.8% vs 2.3% nei casi N-STEMI; 2.8% vs 3.9% STEMI) rispetto ai risultati emersi dal precedente studio del 2015. Si tratta dei tassi di mortalità intraospedaliera più bassi dei registri ANMCO condotti negli ultimi 25 anni e pertanto un importante traguardo, che ci incoraggia per il futuro.