SIMPOSIO
NUOVE FRONTIERE IN CARDIONCOLOGIA. SIMPOSIO CONGIUNTO ANMCO – AIOM

di Alessandra Schiavo

Negli ultimi 25 anni si sono verificati notevoli progressi nella terapia antitumorale grazie all’introduzione dell’immunoterapia, ovvero di farmaci che hanno come bersaglio il sistema immunitario, determinando una considerevole riduzione della mortalità per alcuni tipi di tumore, ma al contempo si è osservato in questi stessi pazienti un aumento della mortalità cardiovascolare. La cardio-oncologia, disciplina volta alla prevenzione, diagnosi e trattamento delle complicanze cardiovascolari delle terapie antitumorali, è andata sviluppandosi sempre più negli ultimi anni e nel 2021 sono state pubblicate per la prima volta delle linee guida nazionali, grazie alla collaborazione intersocietaria ANMCO-AIOM. Lo scopo di queste linee guida è quello di “standardizzare” delle linee di condotta clinica sulla base delle migliori evidenze scientifiche disponibili, pur essendo la cardioncologia una iper-specializzazione relativamente “giovane”, in cui vi è ancora una relativa carenza nella forza delle evidenze.

 

Principale argomento trattato in questa sessione è stata la prevenzione e la gestione della tossicità cardiovascolare in corso di terapia antitumorale (in particolare antracicline, farmaci anti-HER2 ed inibitori del VEGF-pathway), ma con particolare riferimento all’immunoterapia.

I farmaci immunocheckpoint inibitori (ICIs) sono anticorpi monoclonali che hanno come target le immunocheckpoint-proteins, espresse sulla superficie delle cellule linfocitarie (CTLA-4 e PD-1), responsabili della regolazione del sistema immunitario: normalmente queste impediscono un’attivazione immunitaria eccessiva che potrebbe distruggere cellule sane dell’organismo. Il loro blocco da parte di questi rivoluzionari farmaci fa sì che i linfociti possano attivare una risposta immunitaria “mirata” contro le cellule neoplastiche.

Questa terapia antitumorale non è scevra però di effetti collaterali, e la cardiotossicità è una di questi. Inizialmente sottovalutata, fino a quando nel 2016 quando sono stati riportati i primi casi di miocardite fulminante in corso di trattamento. Si tratta di un evento potenzialmente fatale, con un tasso di mortalità del 40%, attraverso un meccanismo fisiopatologico non ancora del tutto chiaro, e per la cui gestione terapeutica sono state stilate linee guida ad hoc.

La cardiotossicità di tali farmaci può potenzialmente coinvolgere tutto l’apparato cardiovascolare, influendo anche sul processo di aterogenesi: l’alterazione del pathway infiammatorio linfocita T-mediato all’interno della placca aterosclerotica porta all’attivazione di macrofagi ed infiammazione, con formazione di cellule schiumose e progressione della placca aterosclerotica.

Altro argomento trattato, di vivo interesse ed attualità, è stato quello della gestione del trombo-embolismo venoso (TEV) nel cancro, in cui vi è una stretta correlazione fisiopatologica, probabilmente dovuto ad uno stato di ipercoagulabilità nei pazienti affetti da cancro attivo, per le proprietà pro-trombotiche dirette ed indirette esercitate delle cellule tumorali stesse, tanto che nel 10% dei casi il TEV può essere la prima manifestazione di tumori occulti.

Dopo la progressione tumorale, il TEV rappresenta la seconda causa di morte nei pazienti oncologici. Sono stati messi a punto diversi score per valutare il rischio di TEV correlata a chemioterapia, il più utilizzato dei quali è il “Khorana score” che categorizza i pazienti in un rischio basso, intermedio ed alto di eventi tromboembolici.

Il gold-standard per il trattamento del TEV nei malati oncologici è stato rappresentato per anni dalle eparine a basso peso molecolare e dai dicumarolici, ma grazie alle recenti evidenze derivate da 4 grandi trial clinici (ADAM-VTE per apixaban, Hokusai-VTE per edoxaban, Select-D per rivaroxaban, Caravaggio per apixaban), oggi il trattamento con DOAC è considerata la migliore scelta terapeutica nel trattamento del TEV in pazienti oncologici, avendo dimostrato sia efficacia ma anche sicurezza in termini di rischio emorragico non aumentato, sebbene restino ancora aperte problematiche riguardo le possibili interazioni farmacologiche con farmaci inibitori della glicoproteina-P ed induttori/inibitori del citocromi epatici.

A chiusura della sessione, è stato trattao il tema della definizione di specifici PDTA nell’ambito della cardioncologia che ponga al centro la figura del paziente: innanzitutto bisogna partire dalla definizione di una rete di collaborazione tra il cardiologo, l’ematologo e/o l’oncologo, e tutti gli specialisti e gli operatori sanitari che gestiscono il paziente oncologico.

 

 

Il secondo step prevede la definizione di percorsi educativi che coinvolgano il paziente stesso, il training di figure infermieristiche dedicate, cercare di garantire tempi di attesa adeguati per il follow-up clinico del malato oncologico, intrecciare una rete di collaborazione tra società scientifiche intensificando e promuovendo l’attività di ricerca. È stato ricordato inoltre il Prof. Maurizio Galderisi, che ha contribuito nei suoi ultimi anni di vita ai progressi della cardioncologia, avanzando l’idea dello sviluppo di una rete cardioncologica fondata su centri Hub e Spoke.

A che punto siamo oggi? La Dott.ssa Irma Bisceglia ha mostrato i risultati di una Survey nazionale avente lo scopo di costruire una “Rete italiana degli ambulatori di cardioncologia”: delle 145 strutture partecipanti, il 90% ha fornito una risposta favorevole e circa il 60% dei centri contattati avevano già definito un percorso clinico-assistenziale interno. Si apre dunque una nuova prospettiva, con l’idea che la creazione di PDTA condivisi in cardioncologia non sia una realtà poi così lontana da realizzare.

 

Alessandra Schiavo