La sessione ha trattato l’argomento delle Aritmie nelle malattie rare e nelle Cardiomiopatie acquisite.
In particolare, la prima relazione è stata quella del Dottor Marco Francesco Lococo, che ha trattato l’argomento “Amiloidosi cardiaca, malattia di Fabry ed Emocromatosi”.
Per quanto concerne le aritmie nel contesto dell’Amiloidosi cardiaca, queste sono rappresentate soprattutto da blocchi AV, blocchi di branca e aritmie sopraventricolari (in particolare fibrillazione atriale); tuttavia la morte arriva in genere per attività elettrica senza polso (PEA).
I pazienti con amiloidosi sono in genere caratterizzati da un aumentato rischio tromboembolico, maggiore rispetto a quello emorragico. Pertanto, per i pazienti con amiloidosi è raccomandabile eseguire sempre l’ecocardiogramma transesofageo prima di una cardioversione elettrica, a prescindere dalla databilità dell’aritmia e dall’assunzione di un’adeguata terapia anticoagulante. Spesso, infatti, questi pazienti formano trombi anche in ritmo sinusale, motivo per cui è ipotizzabile una strategia di trattamento anticoagulante con DOAC anche in assenza di fibrillazione atriale, soprattutto in pazienti con atri dilatati e con strain atriale alterato, elevati valori di NT-proBNP, amiloidosi AL e disfunzione diastolica di grado elevato.
Per quanto concerne i device, per questi pazienti, soprattutto in presenza di disfunzione ventricolare, l’impiego del pacing fisiologico (CSP) sembra garantire risultati migliori rispetto alla terapia di resincronizzazione (CRT), mentre l’impianto di ICD è dibattuto giacché i pazienti muoiono principalmente per PEA.
Nel contesto della malattia di Fabry, le anomalie elettrocardiografiche e le aritmie sono spesso precoci, e possono precedere lo sviluppo della cardiomiopatia. Il loro sviluppo è riconducibile alla disfunzione dei canali ionici per accumulo di glicosfingolipidi, oltre che per meccanismi di ischemia, infiammazione e fibrosi. In particolare, in questo setting le anomalie elettrocardiografiche di più frequente riscontro sono: la presenza di PR corto a causa di una rapida depolarizzazione atriale, che tuttavia rappresenta più che altro un marker di malattia; lo sviluppo di fibrillazione atriale; la presenza di QRS largo, con alterazioni della ripolarizzazione e QT lungo, che si associano allo sviluppo di aritmie ventricolari in varie fasi della malattia. Tuttavia, non esiste uno score per la stratificazione del rischio aritmico nella malattia di Fabry, e quindi l’impianto di ICD si esegue in prevenzione secondaria, non ci sono dati certi per quanto concerne il suo impiego in prevenzione primaria.
Infine, l’Emocromatosi si associa spesso a una precoce comparsa di extrasistoli atriali, e la fibrillazione atriale rappresenta l’aritmia che questi pazienti sviluppano più frequentemente. In caso di interessamento del sistema di conduzione da parte della malattia, è possibile la comparsa di blocchi atrio-ventricolari o blocchi di branca. Infine, nella forma con FE ridotta è possibile lo sviluppo di aritmie ventricolari. In questo contesto il trattamento farmacologico di basa sulle molecole canoniche, sebbene sia possibile pensare all’impiego dei calcio antagonisti, allo scopo di limitare l’ingresso di ferro che avviene proprio attraverso alcuni tipi di canali del calcio di tipo L.
È bene sottolineare che per questo gruppo di patologie, similmente a quello che si verifica per la cardiomiopatia ipertrofica, l’insorgenza di fibrillazione atriale in pazienti con disfunzione ventricolare anche lieve, precipita bruscamente lo stato di compenso a causa dell’effetto dell’alternanza tra cicli brevi e lunghi. Per tale motivo, soprattutto in caso di rapida evoluzione di malattia, vale la pena di sottoporli ad ablazione transcatetere in tempi brevi per evitare un ulteriore peggioramento, anche se esiste un rischio di recidiva non trascurabile.
L’argomento successivo è stato quello della Sarcoidosi cardiaca, trattata dalla Dottoressa Chiara Valenti.
La Sarcoidosi è una patologia complessa, a patogenesi dubbia (probabilmente correlata a fattori ambientali che determinano una risposta immunitaria anormale in soggetti geneticamente predisposti), la cui diagnosi è spesso difficile e spesso di esclusione, poiché si presenta con caratteristiche cliniche e strumentali che spesso si sovrappongono a quelle di altre cardiomiopatie e patologie infiammatorie. La sarcoidosi cardiaca si presenta nel 25% dei casi di sarcoidosi totale, può decorrere in maniera subclinica (soprattutto nei casi di sarcoidosi ad interessamento multiorgano), o manifesta sottoforma di scompenso cardiaco, bradiaritmie e tachiaritmie. La diagnosi di certezza si raggiunge con la biopsia endomiocardica, che permette di identificare la presenza dei granulomi magrofagici; mentre in presenza di sarcoidosi che interessa altri organi si può giungere ad una diagnosi di probabilità di sarcoidosi cardiaca mediante l’ausilio di esami strumentali come la RM e la PET. La risonanza magnetica permette di evidenziare zone patchy con distribuzione non ischemica, di ispessimento o assottigliamento parietale, ed LGE che spesso interessa i segmenti basali della parete inferiore e del setto, nonché l’inserzione del ventricolo destro. La PET, utile nella fase attiva di malattia, dimostra l’aumentata captazione di radiofarmaco nelle stesse zone con pattern mismatch cui corrisponde un difetto di perfusione per la presenza di fibrosi. All’elettrocardiogramma è possibile notare una frammentazione del QRS, e/o la presenza di pseudo-onde epsilon, ricordando che in casi dubbi le turbe della depolarizzazione in genere possono essere slatentizzate dalle frequenze cardiache elevate, ad esempio durante un test da sforzo.
Le manifestazioni aritmiche della sarcoidosi cardiaca sono rappresentate da: blocco AV anche di alto grado in pazienti di giovane età, blocchi di branca, extrasistoli ventricolari e possibile sviluppo di aritmie ventricolari sostenute e non sostenute.
Ultima relazione è quella del Dottor Piero Gentile, che si è occupato delle miocarditi.
Nei pazienti con miocardite l’esordio della malattia può essere aritmico, in particolare con tachicardia ventricolare. In questi casi il rischio di ricorrenza è elevato, soprattutto in caso di tachicardia ventricolare sostenuta alla prima presentazione, in presenza di LGE di almeno due segmenti alla risonanza magnetica ed in assenza di edema, mentre la frazione di eiezione sembra non correlare con il rischio aritmico al follow-up. Ovviamente è fondamentale l’impiego di strumenti diagnostici come la RM cuore, senza sottovalutare l’importanza dell’analisi genetica, che talvolta può dimostrare la presenza di mutazioni di proteine desmosomiali, a dimostrazione di una certa quota di overlap tra le miocarditi ad esordio aritmico e la cardiomiopatia aritmogena. In caso di miocardite con presentazione aritmica, le linee guida supportano l’impianto di ICD in prevenzione secondaria prima della dimissione. In alternativa si potrebbe valutare il life-vest. La terapia farmacologica antiaritmica può essere efficace, ma trattandosi frequentemente di pazienti giovani, non possiamo essere certi della loro persistenza terapeutica a lungo termine. Anche l’ablazione transcatetere del substrato aritmico in una fase stabile di malattia può essere utile a ridurre il burden aritmico ed evitare che il paziente vada incontro a numerosi interventi dell’ICD, sebbene non si possa eliminare del tutto il rischio di recidiva.