MAIN SESSION
SCA-STEMI 2022: COSA SAPPIAMO E COSA DOBBIAMO IMPARARE A CONOSCERE

di Nicolina Conti
Tra consolidate certezze e controversie da risolvere, un viaggio nelle aree grigie delle sindromi coronariche acute.

Nella prima giornata del 53° Congresso ANMCO si è tenuta questa interessante Sessione su luci ed ombre delle sindromi coronariche acute. La continua evoluzione delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche impone una costante necessità di aggiornamento e confronto tra le diverse realtà italiane.

Con la moderazione del Dott. Cavallini e del Dott. Tizzani la sessione si è sviluppata partendo dalla considerazione che l’ANMCO ha contribuito all’organizzazione della gestione dell’infarto del miocardio scrivendo pagine della storia della Cardiologia italiana.

Nella prima relazione il Dott. Scherillo ha descritto lo stato di salute delle reti per l’infarto miocardico. Scopo è diffondere ed implementare le evidenze scientifiche per migliorare l’organizzazione del sistema. La rete per l’IMA è stata supportata da ANMCO e SIC con un documento di consenso che affrontava 3 punti chiave: definire una rete omogenea nel territorio, su base provinciale e una commissione consultiva permanente con il compito di costruire la mappa hub e spoke e definire compiti e tempistiche in base alle risorse. Attraverso la partecipazione al progetto europeo “stent for life” si è raggiunto nel 2017 il target point delle 600 pPCI/milione di abitanti/anno e nel 2018 si è ottenuto l’accordo stato-regioni con la definizione degli indicatori di qualità della rete STEMI. Si è assistito alla crescita del tasso di angioplastica entro 48 ore fino all’80% con una riduzione della mortalità. Durante la pandemia purtroppo vi è stata una netta riduzione delle pPCI (-63% nel 1° mese, -11% pPCI per milione di abitanti) e un incremento della mortalità. Tuttavia, la rete IMA ha tenuto duro mostrando un lieve aumento delle PCI entro 48 ore.

La presentazione si è conclusa auspicando la costituzione di un database online dello STEMI per la raccolta di dati in tempo reale, di una rete per lo shock cardiogeno e di una rete post-acuto per gli IMA.

Al Dr Scherillo, segue la Dott.ssa Serena Rakar che prosegue condividendo percorsi e scenari su tema ACC  extraospedaliero con i due scenari possibili: IMA complicato da ACC oppure ACC causato da trombosi coronarica acuta a prescindere dall’ ECG d’ingresso. La prima possibilità riguarda pochi pazienti ma con elevato rischio di mortalità. È importante identificare i pazienti a rischio per migliorare la gestione pre-ospedaliera (ad es. la gestione della terapia antiaggregante nel pretrattamento). Gli ACC sottesi da ACS hanno una altissima mortalità che è dovuta principalmente a cause neurologiche. È cruciale, pertanto, scegliere a cosa dare priorità: cervello o cuore. Un importante documento polisocietario indica che questi pazienti vanno gestiti con un sistema complesso parallelo alla rete IMA a gestione multispecialistica e con collaborazione tra territorio ed ospedale, con impatto diretto sulla mortalità a prescindere dalla distanza. Gli approcci devono essere individualizzati e perciò sono stati sviluppati score (citato tra gli altri il Miracle2) per stratificare i pazienti in ingresso soprattutto per quanto riguarda gli outcome neurologici a lungo termine.

Infine, un accenno all’ACC refrattario e all’approccio “shock and go” con utilizzo precoce di ECMO che può migliorare l’outcome quando utilizzato in pazienti accuratamente selezionati (in un RCT condotto in Minnesota nel braccio ECMO la sopravvivenza è risultata 43% vs 7% nei controlli). È perciò importante dotarsi di protocolli di ECPR anche per questa problematica. È ora che i cardiologi comincino ad occuparsi di ACC!

Successivamente, il Dott. Leonardo De Luca ha affrontato la questione dei pazienti a presentazione tardiva. La quota di questi pazienti si è ridotta nel tempo grazie alla rete dell’infarto, attestandosi nei vari registri intorno al 12%. Ovviamente queste percentuali sono aumentate durante la pandemia. Dal punto di vista dell’impatto prognostico si sa che più tardiva è la presentazione e maggiore è la mortalità a breve, medio e lungo termine. Inoltre, più ci si allontana dall’esordio dei sintomi e meno la rivascolarizzazione ha beneficio sui MACE. Sappiamo dalla letteratura che non vi è beneficio prognostico nella rivascolarizzazione oltre le 48 ore (OAT trial), mentre rimane una area grigia tra le 12 e le 48 ore (BRAVE-2 trial negativo a fronte di alcuni studi di registro francesi che incoraggiano ottimismo).

La presentazione si è conclusa citando il progetto ANMCO che è in corso per valutare il beneficio della rivascolarizzazione tra 12-48h sui MACCE, di cui attendiamo speranzosi i risultati.

 

Di shock cardiogeno ha discusso il Prof. Italo Porto, che ha sottolineato come questa sia la patologia con il peggior outcome e caratterizzata da una eziologia eterogenea di cui però lo STEMI copre la grande maggioranza (81% dei casi). È in ogni caso fondamentale l’identificazione precoce basata soprattutto sulla clinica e la stratificazione del rischio utilizzando SvO2 (portata), lattati (perfusione) e valutazione con Swan-Ganz. Cruciale anche l’ecocardiogramma in sala di Emodinamica per valutare le complicanze meccaniche.

È seguita una analisi critica dei maggiori trial sull’argomento. Nel CULPRIT-SHOCK trial è emerso un vantaggio prognostico nella rivascolarizzazione della sola lesione culprit senza differenze tra STEMI e NSTEMI; è da sottolineare tuttavia come possa essere difficile identificare la lesione culprit nei NSTEMI. Inoltre, vi è la questione del ruolo cruciale dei t-MCS dato che i farmaci aumentano il consumo di O2. Controverso il risultato del IABP-SHOCK II trial che ha provocato il declassamento del contropulsatore in classe III nelle ultime linee guida a fronte di numerose limitazioni dello studio (ad esempio che il dispositivo venisse utilizzato nello shock conclamato e dopo la PCI, mentre l’utilità sembra maggiore in fase di pre-shock). Anche l’Impella se usato precocemente è associato a un miglioramento dell’outcome come si evince dai dati del registro NCSI. Questo concetto è ripreso dalle ultime linee guida sullo scompenso cardiaco che considerano i t-MCS precocemente in classe IIa.

Il messaggio finale è che lo shock non si cura da solo, è necessario lavorare in team in maniera strutturata per aumentare la sopravvivenza (shock team approach).

Interessante anche l’analisi del Dott. Savonitto sulla gestione degli ultra80enni. Dall’analisi dei registri sulle SCA l’80% dei pazienti ha > 75 anni. Si è infatti assistito a uno shift dell’età verso destra per effetto dell’invecchiamento della popolazione.  Inoltre, all’aumentare dell’età aumentano le donne con correlazione lineare. Questo si verifica perché le donne hanno 10 anni di vantaggio nella estensione della malattia coronarica. La popolazione anziana è caratterizzata dal contrasto tra rischio trattabile vs rischio non trattabile (età, fragilità, IRC, disfunzione miocardica pregressa e comorbilità), che non viene abbattuto dal trattamento aggressivo.

Per quanto riguarda l’approccio farmacologico è da sottolineare come la trombolisi sia efficace anche nell’anziano ma a spese di un aumentato rischio di sanguinamento. Le linee guida suggeriscono di non fare eparina come pretrattamento, di ridurre a metà la dose di trombolitico e di non utilizzare il carico dei P2Y12. Successivamente sono emerse evidenze a favore della pPCI che attualmente è il trattamento di scelta anche in questa popolazione. Anche in questo caso è da evitare il pretrattamento perché raramente si ottiene una ST-resolution e vi è un aumento della mortalità (studio ATLANTIC). È cruciale bilanciare il rischio ischemico con il rischio emorragico, tenendo presente che dopo 30 gg il bleeding risk diventa superiore.

Dal punto di vista prognostico negli anziani l’incidenza di shock cardiogeno è maggiore ma la rivascolarizzazione riduce la mortalità con un trend più significativo rispetto che nel giovane. Al contrario, lo STEMI ha prognosi peggiore per aumentata incidenza di stroke. I casi di malattia multivasale sopra i 75 aa sono >60% con beneficio sopravvivenza trattando solo la lesione culprit.

Infine, il Dott. Leonardo Bolognese, pioniere dell’angioplastica primaria, ha affrontato la complessa gestione della malattia multivasale. Su questo argomento vi è sempre stato un acceso dibattito con cambiamenti di pensiero e linee guida nel corso del tempo causati dalla mancanza di studi clinici appropriati. Finalmente lo studio COMPLETE è riuscito a dare una svolta dimostrando una riduzione del RR di MACE del 26% nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione completa, risultato in gran parte dovuto alla riduzione del numero di infarti miocardici. Questo è stato recepito dalle ultime Lg americane che hanno posto la rivascolarizzazione completa in classe I. Rimangono aperti diversi gaps in evidence: quando completare la rivascolarizzazione, come valutare se i vasi sono meritevoli di procedura e come gestire i casi di shock cardiogeno. Si attendono i risultati di studi ancora in corso per dirimere la questione.

Per quanto riguarda lo shock cardiogeno, l’evoluzione è stata inversa con il recente trial Culprit-shock che ha dimostrato il beneficio della rivascolarizzazione della sola lesione culprit per minimizzare il rischio periprocedurale. Dopo la stabilizzazione emodinamica, invece, le procedure staged potrebbero essere di beneficio anche in questo sottogruppo.

 

Nicolina Conti