INCONTRO CON L’ESPERTO L’OBESITÀ, UN PROBLEMA CHE NON POTREMO EVITARE DI AFFRONTARE

di Giulio Balestrieri

La relazione del Dottor Gian Francesco Mureddu si apre con un incipit epidemiologico: il Global BMI Mortality Collaboration del 2016, un’iniziativa che ha aggregato dati provenienti da numerosi studi di coorte in 4 continenti, ha dimostrato l’esistenza di una correlazione lineare tra l’aumento del Body Mass Index (BMI) e l’aumento di mortalità per tutte le cause. L’elevato BMI occupa il quinto posto tra le cause di morte attribuibili nelle donne e il sesto tra gli uomini.
Questa evidenza epidemiologica non deve tuttavia farci scordare che non tutte le forme di sovrappeso e di obesità portano lo stesso rischio vascolare. È importante per il cardiologo riconoscere la transizione fisiopatologica tra il cosiddetto “metabolically healthy obesity phenotype”, in cui il tessuto adiposo, principalmente sottocutaneo, funziona come una sorta di buffering che assorbe efficacemente l’eccesso di calorie e una fase successiva, in cui la capacità di assorbimento dell’eccesso calorico viene superato e il grasso si accumula negli organi viscerali. La seconda fase si accompagna a uno spillover degli acidi grassi liberi e alla secrezione disfunzionale di adipochine e di mediatori infiammatori. Il complesso di queste azioni concorre a creare un profilo pro-aterogeno oltre a favorire la transizione a pre diabete e a diabete.
Cosa può aiutare il cardiologo a distinguere l’obesità patologica dalla healthy obesity? Innanzitutto, capire che la semplice misura del BMI ci dice poco a riguardo della distribuzione del tessuto adiposo. Alcuni semplici parametri antropometrici, la waist circumference (WC), la waist to hip ratio (WHR) e la formula più recentemente studiata della “relative fat mass” (RFM), possono entrare nel bagaglio del cardiologo ambulatoriale. Uno studio dimostra come il solo BMI predice lo sviluppo di scompenso cardiaco con un Hazard ratio (HR) di 1,28. La predittività aumenta a 1,36, a 1,43 e a 1,67 misurando rispettivamente la WC, la WHR e la RFM.
Il Dottor David Mocini presenta una overview dei trattamenti farmacologi e non dell’obesità. L’obesità, ricorda Mocini, va considerata come una malattia. Un errore comune è quello di considerarla un fenotipo, una caratteristica del paziente, trascurando quindi la complessa interazione di meccanismi fisiopatologici che la sottendono. La riduzione del peso corporeo è il target della terapia in quanto porta a un’attenuazione e talvolta a una completa regressione delle comorbilità associate. Un miglioramento del profilo lipidico e dell’ipertrigliceridemia si osserva a partire da un calo ponderale dal 3% – 10%. Obiettivi più ambiziosi come la remissione del diabete mellito o delle apnee ostruttive del sonno richiedono invece un calo ponderale superiore al 10 – 15%.
Proporre al paziente dei target realistici e raggiungibili è fondamentale per ottenerne la compliance. Tutti i soggetti che si presentano in un ambulatorio per la cura dell’obesità hanno alle spalle numerosi tentativi individuali con esiti fallimentari.
Se perdere peso è difficile, ancora più difficile è mantenere la perdita di peso. Dopo il termine di una dietoterapia il paziente riprende il peso perso nell’80% dei casi. Questo perché l’omeostasi energetica agisce attraverso numerose vie (riduzione dei mediatori ormonali che inducono sazietà, incremento dei mediatori ormonali che inducono la fame, riduzione del consumo metabolico) e bloccarne una sola non è sufficiente.
La terapia dell’obesità deve quindi avere un approccio personalizzato, multidisciplinare (sia nelle fasi diagnostiche che nelle fasi di trattamento e di follow-up) e prolungato nel tempo.
I pilastri su cui poggia il trattamento sono l’approccio psicologico, la terapia farmacologica e la chirurgia bariatrica.

  • Approccio psicologico
    L’approccio psicologico deve tenere conto del fatto che i pazienti hanno spesso interiorizzato un senso di giudizio negativo nei propri confronti, un senso di colpa che va affrontato nel corso del trattamento. Le tecniche utilizzate sono tutte da ricondurre alla psicoterapia cognitivo – comportamentale.
  •  Terapia chirurgica
    Principalmente due tipi di interventi: interventi di tipo restrittivo (sleeve gastrectomy, bendaggio gastrico e Bariclip), e interventi di tipo malassorbitivo (diversione biliopancreatica) e interventi di tipo misto (Bypass gastrico Roux en Y).
  • Terapia farmacologica
    Gli unici tre farmaci approvati per la cura dell’obesità in scheda tecnica sono la liraglutide, l’orlistat e il naltrexone/bupropione. a questi tre farmaci potrebbero presto aggiungersi semaglutide e tirzepatide. nessuno di questi farmaci è attualmente rimborsabile.
    Tra i farmaci attualmente in studio in fase 3 figurano cariglintide/semaglutide, orforglipron e retatutride. un problema che accomuna tutti i trattamenti farmacologici è l’elevato costo, superiore anche al costo della chirurgia bariatrica in un orizzonte temporale di 5 anni.

La sessione si conclude con la relazione di Claudio Bilato. La storia della terapia farmacologica dell’obesità ha visto numerose molecole, promettenti ed efficaci nell’outcome della riduzione del peso corporeo, rivelare effetti neutri e talvolta anche deleteri sull’outcome vascolari. Anche i tre farmaci attualmente prescrivibili non hanno dati robusti in termini di riduzione di eventi cardiovascolari.
Un caso di serendipità ha voluto che lo studio SUSTAIN-6 (pubblicato nel 2016), studio registrativo disegnato per provare la sicurezza cardiovascolare della molecola antidiabetica semaglutide, suggerisse una riduzione del rischio cardiovascolare (con i limiti statistici delle dimensioni del campione) e del peso corporeo. Da questa osservazione è nato un ampio programma articolato in più studi (STEP) che ha posto le basi per lo studio di SELECT (Semaglutide Effects on Cardiovascular Outcomes in People With Overweight or Obesity). Lo studio ha arruolato 17.604 individui di età pari o superiore a 45 anni, con un BMI di 27 kg/m² o superiore, e con malattie cardiovascolari preesistenti ma senza diabete. I pazienti arruolati sono di stretta pertinenza cardiologica se consideriamo il fatto che il 70% avevano avuto un pregresso infarto miocardico. ad un follow up di 40 mesi semaglutide, titolata fino ad un dosaggio di 2,4 mg/settimana sottocute, ha ridotto il rischio di eventi cardiovascolari maggiori del 20%, inclusi morte per cause cardiovascolari, infarto non fatale e ictus non fatale. questo fa di semaglutide una first in class drug per quanto riguarda la riduzione degli eventi cardiovascolari e la riduzione del peso corporeo nel paziente obeso.

Cosa attenderci dal futuro? Le molecole prossime all’entrata in commercio estendono lo spettro di azione (per semaglutide confinato all’agonismo sul GLP-1) e ampliano i meccanismi d’azione.
Il GIP (gastric inhibitory peptide) è un incretina (come il GLP-1) ed è secreto a livello intestinale in risposta al pasto e riduce la glicemia aumentando la secrezione e la sensibilità dell’insulina, riducendo la secrezione di glucagone, rallentando lo svuotamento gastrico e la motilità intestinale e aumentando la sensazione di sazietà. tirzepatide, una molecola innovativa non ancora commercializzata in italia, offre il vantaggio di una stimolazione duale incretinica. l’aspetto più sorprendente di tirzepatide, come chiaro dallo studio di fase 3 SURMOUNT-3 (A Study of Tirzepatide In Participants After A Lifestyle Weight Loss Program), è un effetto sulla perdita di peso che si avvicina ai dati osservati nella chirurgia bariatrica (circa 20% in meno rispetto al peso iniziale). Lo studio si è concentrato nella valutazione della perdita di peso. Data l’azione di agonismo sul GLP-1, simile a semaglutide, è lecito attendersi un effetto protettivo su outcome vascolari maggiori, ma i dati a riguardo non sono ancora disponibili.

 

Giulio Balestrieri ANMCO
Giulio Balestrieri