La sessione è iniziata con la relazione sulle implicazioni dei test genetici nelle aritmie. L’epidemiologia delle malattie genetiche ci insegna che le malattie aritmiche congenite sono concentrate nell’età giovanile, ad esempio il QT lungo, la sindrome catecolaminergica e la sindrome di Brugada; si utilizzano per la diagnosi dei pannelli di sequenziamento, spesso però un test negativo all’esordio potrebbe essere un falso negativo e va riletto se l’espressione fenotipica è certa perché vi possono essere mutazioni misconosciute che emergono solo dopo diversi anni. Non sempre queste sindromi hanno un approccio monogenetico, il QT lungo ha un aspetto mendeliano, ma possono avere anche un aspetto near monogenetico o poligenico.
La sindrome del QT lungo presenta 3 classi principali: il primo tipo con onda T all’ECG alta in V1-V3, il secondo tipo con onda t piatta, il terzo tipo con onda T negativa nelle stesse derivazioni, diagnosi certa con un QTC >480 msec che fa salire di 2,5 punti dello Schwartz score modificato.
Le 3 sindromi del QT lungo hanno anche fattori clinici scatenanti delle aritmie diversi: il tipo 1 ha aritmie da sforzo, il tipo 2 aritmie da stress emozionale, ed il tipo 3 aritmie a riposo. A volte il QT lungo è associato a delle sindromi congenite caratterizzate da dismorfismi facciali o sordità, per cui si deve sempre eseguire una visita con un attento counseling genetico dei pazienti.
Nel QT lungo vi è una classe di indicazione di I grado sia per il counseling genetico che per il test genetico, per stabilire il rischio di trasmissione ai figli o per valutare se i genitori abbiano la stessa malattia. Inoltre, il tipo di gene e la sindrome relativa del QT lungo, presentano un profilo di rischio diverso: il QT3 con alterazioni SCN5A ha un rischio aritmico più alto degli altri QT1 con il gene KCNQ1.
Anche la terapia farmacologica è mirata e specifica in base al tipo di mutazione: i betabloccanti, in particolare il nadololo, abbattono il rischio aritmico nella sindrome del QT lungo soprattutto di I tipo, nel QT3 è indicata una terapia con mexiletina in grado di annullare il rischio aritmico. È importante eseguire una consulenza adeguata stabilendo una alleanza terapeutica con il paziente, spiegandogli la prevenzione legata all’uso del betabloccante. Inoltre, nel counseling, essendo spesso pazienti adolescenti, si deve considerare l’astensione dall’attività sportiva agonistica.
La Sindrome catecolaminergica presenta aritmie polimorfe durante sforzo, vi sono mutazioni di diversi geni, ad esempio il gene della Ryanodina ed altri geni, anche in questo caso il cocis prevede che venga negata la idoneità sportiva.
La Sindrome di Brugada presenta una genetica positiva solo nel 15-30% dei casi per mutazione del gene SCN5A; le mutazioni troncanti sono le più aritmogene, esistono anche mutazioni minori che possono segregare in alcune famiglie.
Il QTc corto è un’altra patologia del sistema elettrico con un alto potere aritmogeno per cui vi è una indicazione di classe I al test genetico. La ripolarizzazione precoce benigna, considerata da sempre innocua, dopo recenti studi del gruppo francese, sappiamo ora che può portare alcune volte ad aritmie ventricolari maligne.
In tutti i casi di morte improvvisa è importante fare la genetica, per identificare i probandi e proteggere i familiari.
Il secondo relatore ha parlato del ruolo del test genetico nelle cardiomiopatie, nelle tre principali cardiomiopatie a coronarie indenni: ipertrofica, dilatativa e aritmogena. Ha citato i principali geni coinvolti già noti in letteratura. Ma in molti casi non vi è una chiara correlazione tra cardiomiopatie dilatative e genetica, spesso ci si rifugia nella diagnosi di miocardite misconosciuta, ma la diagnosi vera si fa solo nel 9% dei casi in cui si ha la biopsia. Esistono inoltre almeno tre categorie di mutazioni: le patogene, le benigne e quelle di incerto significato (VUS).
Esiste un database OMIM su internet gratuito in cui controllare il significato delle mutazioni trovate e raccoglie i due database principali internazionali. In Italia vi sono pochi centri di genetica e non pubblicano i risultati creando un bias, spesso inoltre i referti non sono interpretabili.
Nel laboratorio di Catania è stata analizzata la genetica dei pazienti con Cardiomiopatia dilatativa andati incontro a trapianto e sei pazienti con morti improvvise, solo nel 13% dei casi sono stati identificati geni certi. Le tachicardiomiopatie o le cardiomiopatie che si manifestano con aritmie nel 67% dei pazienti hanno una mutazione di incerto significato (VUS).
A volte non si può escludere che nelle cardiomiopatie vi sia una interazione tra differenti mutazioni di geni, molti presentano tra 3 e 5 geni mutati; probabilmente esiste un sistema di rete tra le molecole che manifesta il danno cellulare. In futuro la speranza è che la genetica guidi la terapia in maniera traghettata.
L’ultima relazione ha parlato del decision making in pazienti con genotipo positivo e fenotipo negativo: paziente con variante genetica patogenetica mutata senza espressione fenotipica della cardiomiopatia. Generalmente questi pazienti vengono identificati nello screening familiare di un paziente affetto.
I vantaggi dell’identificazione precoce sono una possibile prevenzione precoce, ma il portatore potrebbe non manifestare nel corso della vita la patologia, perché sono generalmente patologie a penetranza variabile ed espressività variabile.
Le linee guida ci dicono di fare controlli regolari con ECG e imaging dedicato a lungo termine per intercettare la malattia.
Nel caso di cardiomiopatia dilatativa fare ECG, ecocardiogramma con strain, Holter ECG e RMN cuore per trovare ad esempio aree di late enhancement.
Il tipo di gene conta? In uno studio su 7.000 pazienti con CMD, la mutazione del sarcomero ha una penetranza precoce in età giovanile invece altri geni presentano una manifestazione tardiva; quindi, nel caso di una mutazione sarcomerica va eseguito un follow up più ravvicinato al di sotto dei 40 anni, poi in età avanzata più lento.
Nella cardiomiopatia ipertrofica vi è una penetranza maggiore nei maschi che necessitano di un follow up più ravvicinato, mentre nelle donne può essere meno frequente.
Nella cardiomiopatia aritmogena i portatori PKP2 hanno un maggior rischio aritmico, i portatori del gene DSG2 più rischio dilatazione; quindi, devono eseguire più controlli ecocardiografici; la mutazione del gene della desmoplachina è la più pericolosa per aritmie e dilatazione.
Per quanto riguarda i portatori dei geni per cardiomiopatia dilatativa non esistono al momento dei dati sul beneficio di un trattamento farmacologico precoce, esiste un unico trial sperimentale su modello animale che valuta il pretrattamento con candesartan i cui risultati si avranno tra circa 3 anni.
Sicuramente è opportuno nei portatori di geni di cardiomiopatie controllare i fattori di rischio ambientali modificabili (ipertensione, fumo, etc.) nel caso di portatore della mutazione del gene della laminina o del gene per la displasia aritmogena; è bene inoltre ridurre anche l’attività sportiva per evitare l’insorgenza della dilatazione.
Il mondo della genetica è ancora una nicchia che dovrebbe aumentare il proprio campo di espansione per chiarire molti aspetti fenotipici delle malattie.