CORSO AVANZATO
L’INQUADRAMENTO CLINICO DEL PAZIENTE IPERTESO E APPROCCIO TERAPEUTICO

di Antonella Spinelli
Sappiamo tutto sull’ipertensione arteriosa?

Il corso avanzato sull’ipertensione arteriosa si è aperto con la brillante e vivace argomentazione del Prof. Stefano Taddei, uno dei massimi esperti nazionali, e direttore del centro regionale di riferimento per la diagnosi e il trattamento dell’ipertensione e ipotensione arteriosa presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa. Il professore ha tenuto a precisare che l’ipertensione arteriosa è asintomatica; quindi, è il sintomo che provoca l’ipertensione arteriosa e non il contrario come spesso viene percepito dai pazienti. L’asintomaticità risiede nel meccanismo dell’autoregolazione cerebrale, che quando risulta inefficace, si manifesta con il comune riscontro della retinopatia ipertensiva esplorabile con il fondus oculi. Il prof. ha anche precisato che non esiste la crisi ipertensiva, nel senso che l’urgenza di ridurre i valori pressori non è determinato dall’entità dei valori pressori ma dal contestuale quadro clinico del paziente, se cioè  presenta dolore toracico, sindrome coronarica acuta, edema polmonare e tutte le condizioni che determinano il quadro dell’emergenza-urgenza ipertensiva. Un importante progresso nella gestione clinica dei pazienti ipertesi riguarda la frequenza relativamente elevata di iperaldosteronismo pari al 20% in quelli con ipertensione resistente e al 6-13% nei restanti casi. I fattori che depongono per ipertensione secondaria sono ipertensione sisto-diastolica con valori > 150/100 mmHg in ripetute misurazioni, ipopotassiemia sia spontanea sia indotta da diuretico, scoperta accidentale di masse surrenali, sindrome da apnea ostruttiva notturna, ipertensione di recente insorgenza complicata da accidente cerebrovascolare in età giovanile, insorgenza non facilmente spiegabile di fibrillazione atriale e riscontro di danno d’organo (ipertrofia ventricolare sinistra, microalbuminuria e disfunzione diastolica) di entità in eccesso rispetto a quello prevedibile sulla base dei valori pressori. Che importanza riveste l’ecocardiogramma come strumento nella diagnosi del danno d’organo e per chi è indicato? Il criterio di scelta rimane sempre quello clinico, cioè se il paziente manifesta segni e sintomi di scompenso e presenta alterazioni elettrocardiografiche. Con la metodica ecografica è possibile stadiare il danno d’organo in quattro stadi; il I stadio è caratterizzato da disfunzione diastolica in assenza di ipertrofia ventricolare sinistra, il II stadio da entrambi, il III stadio da scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata e lo stadio IV ipertrofia eccentrica e ridotta funzione sistolica. Qual è la terapia ottimale in termini di efficacia e di prognosi favorevole nel ridurre il rischio cardiovascolare? Sicuramente una terapia di associazione, anche come approccio iniziale, con ACE-inibitore-Ca-antagonista confermato da solide evidenze in letteratura.

Si è parlato inoltre di denervazione dell’arteria renale come possibile strategia terapeutica alternativa nel paziente affetto da ipertensione arteriosa resistente. I primi studi clinici che hanno testato la procedura di denervazione renale (DR) hanno prodotto risultati discordanti. Una nuova generazione di studi clinici randomizzati ha prodotto risultati promettenti in diversi sottogruppi di pazienti ipertesi, sia in corso di terapia farmacologica che in sua assenza. L’attenzione è stata rivolta ai pazienti “ipertesi resistenti”, includendo nel percorso di selezione del candidato a DR non solo i semplici valori pressori, ma anche il profilo di rischio cardiovascolare globale, la tolleranza e l’aderenza alla terapia farmacologica e la preferenza del paziente stesso. In quest’ottica la procedura di DR si offre quale unica strategia terapeutica con efficacia dimostrata nel paziente con scarsa aderenza alla terapia farmacologica.

 

Antonella Spinelli ANMCO
Antonella Spinelli