Il 17 maggio 2024 è stata la Giornata Mondiale dell’Ipertensione Arteriosa!
Cosa le linee guida non dicono: Stefano Masi ci ricorda che, al di là delle indicazioni stringenti delle linee guida, potrebbe sembrare lapalissiano rammentare che la pressione arteriosa va misurata poco e bene: i soggetti ipertesi la dovrebbero misurare una volta a settimana se casi “gravi” o una volta al mese se ben controllata dalla terapia. Far misurare la PA 3-4 volte al giorno per controllare che sia sempre nella norma non è solo utile e illogico, ma contribuisce a favorire e sostenere uno stato psicologico poco sereno nel paziente. L’ aumento “saltuario” dei valori pressori non ha alcun significato clinico. Non si “rincorrono” i valori di pressione arteriosa! Un aumento dei valori pressori è significativo solo se persiste costantemente per alcune settimane! E’ cruciale distinguere la pressione alta (evento frequente, fisiologico e privo di significato clinico) dall’ipertensione arteriosa (fattore di rischio cardiovascolare).
Rivisitazione critica della caratterizzazione del danno d’organo subclinico: Simona Buralli rivisita criticamente la caratterizzazione del danno d’organo subclinico nel paziente iperteso, come snodo cruciale soprattutto al momento della prima diagnosi (tempo zero), ma anche durante il f-up come conferma o disconferma della “bontà” del trattamento instaurato. È importante ovviamente razionalizzare le risorse in modo “critico” non prescrivendo tutti gli esami per la ricerca del danno d’organo a carico dei vari apparati con una filosofia del “tutto a tutti”, ma personalizzando bensì le scelte in modo da applicare davvero una terapia “targeted”/sartoriale. L’evoluzione del danno d’ organo a livello cardiaco prevede un rimodellamento del ventricolo sinistro prima a livello funzionale con un’alterazione della funzione diastolica, poi a livello morfologico con ipertrofia ventricolare sinistra e successivamente dilatazione della camera e disfunzione sistolica. Dal momento nel quale compare l’ipertrofia il rischio cardiovascolare aumenta, ovviamente, e in modo progressivo. Agire perciò sulla prevenzione della progressione del danno d’ organo legato all’ipertrofia ha un effetto chiaramente molto favorevole sul rischio cardiovascolare. La quantificazione dell’ipertrofia si esegue con lo studio della massa ventricolare sinistra. L’ecocolordoppler cardiaco è la metodica diagnostica di scelta per lo studio del danno d’ organo da ipertrofia e si basa sullo studio della funzione diastolica basato sull’ alterazione del rilasciamento e le pressioni di riempimento, la dimensione dell’atrio sinistro, la caratterizzazione tissutale anche con eco3D e RMN; in alcuni casi selezionati GLS e calcium score. Il danno d’organo del sistema vascolare si studia mediante ecocolordoppler (spessore medio-intimale e placca carotidea) e con pulse wave velocity (rigidità arteriosa). L’eventuale malattia renovascolare si analizza calcolando eGFR, ACR e ecocolordoppler renale e art. renale (i.e. incluso studio eventuale stenosi dell’art. renale). Va ricercato eventuale danno d’organo del microcircolo cerebrale (i.e. decadimento cognitivo, infarti lacunari) e fondo dell’occhio.
Ipertensione secondaria: Alessandra Violet Bacca ci parla del percorso diagnostico dell’ipertensione secondaria. L’iperaldosteronismo primario (che si definisce con il riscontro di ipokaliemia anche in corso di terapia diuretica, ipertensione severa con danno d’organo spesso sproporzionato rispetto al livello dell’ipertensione, massa surrenale) ha una prevalenza nei centri specialistici o SIIA tutt’altro che rara (dal 6% all’ 11%). Nel 5% dei casi il potassio è normale. È una patologia largamente sotto diagnosticata e quindi sotto trattata. Spesso la diagnosi arriva dopo anni di “peregrinazioni”. Per la fibrosi relata all’aldosterone si ha ovviamente importante danno d’organo. La diagnosi è biochimica (dosaggio renina e aldosterone). E’ importante indagare accuratamente l’anamnesi farmacologica per poter individuare terapie che potenzialmente confliggono con il test: FANS o estroprogestinici, terapie cardiovascolari quali diuretici, ACE-i/ARB (test falso negativo) e betabloccanti (test falso positivo). Una volta posta diagnosi, si procede ai test di imaging per la ricerca della massa surrenalica per eventuale indicazione chirurgica. Il feocromocitoma si diagnostica con le catecolamine e impone la valutazione genetica (un caso su tre sottende una forma genetico-ereditaria). La malattia renovascolare (più comunemente causata dalla stenosi dell’arteria renale a genesi in genere aterosclerotica e più raramente legata alla displasia fibromuscolare è un continuum fisiopatologico tra fisiologia e patologia quindi trattare la lesione troppo precocemente o tardivamente porterà outcome sfavorevoli. Elementare, Watson!
Pseudoipertensione resistente: Stefano Masi tratta di pseudoipertensione resistente che si definisce come una marcata sovrastima dei valori pressori alla stima indiretta (e quindi non realmente “resistente”, ovvero PA >o uguale a 140/90 mmHg, stante una triplice terapia ben condotta). Il 90% dei pazienti in triplice terapia dovrebbe raggiungere un buon controllo pressorio. Il 50% degli apparentemente “resistenti” risultano in realtà “pseudoresistenti” (in alcune stime i “veri resistenti” possono arrivare anche al solo 5%): questo “bias” dipende spesso da misurazioni inaccurate, ipertensione da camice bianco ed altri fattori. Le misurazioni “out of office” sono consigliate per confermare la diagnosi e, idealmente, per “catturare” il corretto fenotipo clinico, anche avvalendosi di un uso più estensivo del monitoraggio pressorio delle 24 ore, con particolare attenzione all’effettivo riposo notturno nella stima della presenza del fisiologico “dipping notturno” e alla presenza di disturbi durante il gonfiaggio del bracciale che possono falsare il risultato dell’esame. Ogni fenotipo (ipertensione sostenuta, da camice bianco, ipertensione mascherata) si associa ovviamente a profili di rischio diversi, anche se la riproducibilità dei fenotipi “ipertensione mascherata” e “da camice bianco” è limitata a livello individuale. Parola d’ordine: usare il buonsenso (minimizzare i fattori confondenti nell’interpretazione dei risultati dell’ABPM ed evitare di innescare un “circolo vizioso” che può sostenere anche l’inerzia terapeutica). Per uno screening della pseudoresistenza e per svelare il paziente poco aderente alla terapia possiamo utilizzare: ABPM con somministrazione controllata della terapia, parametri vitali non compatibili con la terapia farmacologica in corso (“farmaci rilevatori”), la valutazione del danno d’organo mediato dall’ipertensione.
Sodio e ipertensione: Andrea Poli ci ricorda che l’associazione tra l’apporto di sodio con la dieta e i valori pressori è chiara tra gli ipertesi, mentre tra i normotesi è, di fatto, trascurabile. La correlazione con gli eventi clinici di natura cardiovascolare, o con la mortalità per tutte le cause, negli studi di natura osservazionale, è, invece, di natura incerta. Il recente studio randomizzato e contollato SSaSS, pur non dirimente, sembra sottolineare soprattutto l’importanza dell’apporto di potassio, e del rapporto sodio/potassio, nel determinare gli eventi clinici. Allo stato attuale nel nostro paese sembra ragionevole continuare a limitare l’apporto di sodio tra gli ipertesi, suggerendo al tempo stesso di aumentare l’apporto di potassio (per esempio da frutta e verdura). Nei normotesi i dati non sembrano conclusivi, e lasciano spazio e differenti approcci strategici (incluso il “non fare nulla”).
Ipertensione e nefropatia: Edoardo Gronda affronta il tema della relazione tra ipertensione e nefropatia. L’ andamento del filtrato glomerulare con l’età non è così scontato come si potrebbe pensare (in alcuni anziani e grandi anziani non si osserva caduta del filtrato). La somministrazione di canagliflozin ha effetti favorevoli sull’ outcome clinico e sull’ulteriore riduzione dei valori tensivi in pazienti con a bordo già duplice o triplice. Più il grado di ipertensione arteriosa è severo, più è probabile dover ricorrere alla terapia renale sostitutiva, che, però, rimane un’opzione terapeutica a cui spesso si arriva tardivamente. Lo studio EMPA-KIDNEY ha mostrato che nella popolazione “cardiorenale” empagliflozin riduce gli eventi renali (mortalità “renale” e necessità di trattamento renale sostitutivo), indipendentemente dal valore di filtrato (sia per eGFR <20 ml/m sia per eGFR >55 ml/m). La cardiologia dello scompenso cardiaco e dell’ipertensione arteriosa non può più ignorare la nefrologia, come a dire che non possiamo esimerci dall’essere “cardionefrologi”! Bisogna individuare precocemente, ben prima che si sviluppi proteinuria, in primis negli ambulatori di cardiologia, il paziente potenzialmente “cardiorenale”.
Ipertensione arteriosa nell’anziano: Giovambattista Desideri tratta dell’ipertensione arteriosa nell’anziano. Innanzitutto definire anziano un ultrasessantacinque pare oggettivamente anacronistico. Le linee guida ESC del 2018 ci ricordano che anche nell’anziano sano bisogna perseguire strategie di trattamento ipotensivo basate sul concetto “the lower the better”, se è “fit” e non fragile, ovviamente con cautela. Lo studio SPRINT che aveva mostrato risultati opposti non ha valutato pazienti fragili: bisogna sottolineare che quando (come spesso accade) gli studi clinici selezionano pazienti molti diversi dai pazienti che troviamo nella “real life” le evidenze che ne derivano sono molto poco estendibili alla pratica clinica. Pertanto è fondamentale personalizzare la terapia in modo da mantenere un approccio “non rinunciatario” nel paziente “fit”, mentre nel paziente fragile/“frail” o pre-frail o in alcuni casi selezionati, ad esempio in pazienti molto anziani, allettati o istituzionalizzati la filosofia terapeutica da perseguire è “cautela e basse dosi”, perché la “fa da padrone” il mantenimento di un adeguata perfusione cerebrale. Inoltre l’effetto “white coat” nell’anziano è molto frequente.
Novità terapeutiche in ambito di ipertensione arteriosa: Alessandro Maloberti affronta il tema dei nuovi farmaci per l’ipertensione arteriosa. Da anni il mercato dei farmaci antipertensivi non presenta grandi innovazioni. Aliskiren rilasciato nel 2017 non ha dato, come sapete, i risultati sperati. Si è osservato che partire con la polipillola tri-quadrivalente negli ipertesi severi, specialmente con ipertensione resistente, è ovviamente una strategia vincente: lapalissiano! La denervazione renale è in fase di ripresa. La novità reale sono gli antialdosteronici non steroidi (finenerone) specie nel setting dell’iperaldosteronismo primario (a breve usciranno i risultati degli studi clinici in corso); è in corso di studio l’ocedurenone. Sono in corso gli studi di III fase per baxdrostat/lorundrostat (probabilmente tra uno-due anni questi farmaci saranno in commercio). Vera rivoluzione che a breve diverrà probabilmente realtà è l’introduzione di farmaci antipertensivi a somministrazione sottocutanea: l’agonista di NRP-1 (recettore dei peptidi natriuretici), anticorpo monoclonale a somministrazione mensile e Zilebesiran, un siRNA funzione anti-angiotensinogeno, a somministrazione semestrale.