Il Corso Avanzato di Gestione del Rischio Cardiometabolico ha rappresentato un’opportunità formativa di grande attualità e interesse, vedendo esperti del settore fornire una disamina sulle principali patologie che concorrono a determinare il rischio cardiovascolare. L’agenda è stata articolata in tre sessioni di un’ora ciascuna, per fornire focus specifici sui diversi aspetti e i più recenti sviluppi in ambito diagnostico, inclusi nuovi biomarcatori e tecnologie di imaging avanzato, che permettono una valutazione più precisa e precoce dei suddetti rischi.
I lavori sono iniziati illustrando come il diabete, l’ipertensione, la dislipidemia e l’obesità agiscano causando un processo di infiammazione sistemica, e portando a una disregolazione di meccanismi neurormonali responsabili del mantenimento del processo stesso. L’accumulo di grasso viscerale in pericardio, fegato e nel pancreas è stato collegato all’infiammazione cronica e alla resistenza all’insulina, che è a sua volta correlato a molteplici pathway di sviluppo di rischio cardiovascolare. L’obesità viscerale, combinata con la perdita di massa muscolare legata all’età, può inoltre portare a iperinsulinemia, dislipidemia aterogenica, infiammazione persistente, disfunzione endoteliale e fibrinolisi compromessa. La resistenza insulinica è implicata anche nell’insorgenza di insufficienza cardiaca correlata all’obesità attraverso l’impatto sul segnale metabolico dell’insulina compromesso, la riduzione dell’ossido nitrico biodisponibile e l’aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione, che comportano un rimodellamento del tessuto miocardico e la fibrosi interstiziale.
L’importanza del controllo del colesterolo LDL come principale fattore aterogeno è stata un tema centrale, e sono state esposte in dettaglio i benefici e le attuali indicazioni delle terapie con anticorpi monoclonali contro la proteina PCSK9 e dei nuovi siRNA, molecole che conducono all’interferenza dell’espressione di specifici geni con sequenze nucleotidiche complementari degradando l’mRNA di fattori implicati nel metabolismo lipidico dopo la trascrizione.
L’analisi del solo colesterolo LDL può sottostimare il rischio cardiovascolare negli individui con adiposità viscerale e altre caratteristiche della sindrome metabolica. Il colesterolo non-HDL, ma anche le lipoproteine a bassa densità (Lpa) e i residui aterogenici, possono essere un indicatore migliore del rischio rispetto al solo LDL. Inoltre, il rapporto tra trigliceridi e HDL è stato associato a resistenza all’insulina e a dislipidemia aterogenica. Risulta d’interesse anche come la ridotta funzione renale, l’albuminuria e la progressione della malattia renale siano direttamente collegate all’obesità indipendentemente dalla resistenza all’insulina. Il meccanismo di questo potrebbe risiedere nell’iperfiltrazione glomerulare, che dipende dalla produzione di grasso viscerale di adipochine infiammatorie e fattori che stimolano la produzione di aldosterone dalla zona glomerulare della corteccia surrenale. L’effetto sulla progressione della malattia renale è anche legato all’attivazione delle vie dell’infiammazione e dello stress ossidativo. In questo, il diabete e l’ipertensione portano a progressione della malattia renale cronica e ad aterosclerosi accelerata, ipertrofia ventricolare sinistra progressiva e allo sviluppo di insufficienza cardiaca.
Passando all’imaging, tra le tematiche affrontate ha avuto particolare risalto lo studio del calcio intracoronarico. L’utilità di un punteggio del calcio coronarico per la previsione degli eventi cardiovascolari è ben consolidata da numerosi studi internazionali. Nei soggetti a rischio intermedio stimato, la quantizzazione del calcium score comporta il miglioramento più significativo nella stima del rischio rispetto ad altri marcatori, tanto da guidare anche i benefici dell’uso delle statine in questi pazienti. Di conseguenza, l’American College of Cardiology e l’American Heart Association raccomandano la stima del calcium score per assistere nella decisione di iniziare la terapia ipolipemizzante, e per valutare anche la terapia con aspirina.
Le diverse opzioni terapeutiche devono comprendere e iniziare dalle modifiche dello stile di vita, come dieta ed esercizio fisico al fine di un ottimale impiego integrato delle farmacoterapie. Tra queste inibitori SGLT-2, dei GLP-1 e degli SMRA agiscono su molteplici meccanismi e impattano sugli esiti cardiovascolari e renali in pazienti diabetici e non, in presenza di insufficienza renale, oltre a ridurre il peso corporeo e l’HbA1c. Alcuni farmaci per la riduzione del glucosio promuovono l’adipogenesi e l’accumulo di grasso epicardico (es. insulina e secretagoghi dell’insulina che agiscono sulle cellule beta pancreatiche come le sulfoniluree), mentre altri, come i GLP-1 RA e gli inibitori della DPP-4, riducono l’accumulo di grasso ectopico ma non riducono l’infiammazione. Al contrario, le statine, la metformina, gli inibitori SGLT-2 e gli SMRA possono ridurre l’accumulo e l’infiammazione del grasso ectopico, oltre alla sua secrezione di adipochine. Il recettore SGLT-2 è espresso anche nel tessuto adiposo epicardico e può aumentare l’assorbimento del glucosio e ridurre la secrezione di chemochine pro-infiammatorie migliorando la guarigione delle cellule endoteliali coronariche, rappresentando un altro straordinario effetto di queste molecole pleitropiche.