CORSO AVANZATO APPROCCIO CLINICO RAGIONATO ALLA SINCOPE

di Catia De Rosa

I Sessione – Stratificazione del rischio e diagnostica

La sessione, moderata dal Dottor Marco Ferretti e dalla Dottoressa Giuseppina Maura Francese prende il via con la relazione del Dottor Mauro Pisano sulla clinica della sincope che indirizza alla fisiopatologia.

Dal punto di vista epidemiologico l’incidenza della sincope nella popolazione generale è del 35% durante la vita, è la causa del 3% degli accessi in PS e il tasso di ospedalizzazione varia dal 12% al 86%, l’incidenza varia nelle diverse fasce di età ed è del 10% nella popolazione over 80 anni; tuttavia l’approccio a tale problema rimane non standardizzato.
Alla base del meccanismo fisiopatologico abbiamo il riflesso barocettore; la riduzione della pressione genera l’attivazione dei barocettori (posti nell’arco aortico e nel seno carotideo) stimolano i nuclei del tratto solitario che riducono l’attività del sistema parasimpatico aumentando l’attività del simpatico, determinando aumento della vasocostrizione periferica e della frequenza cardiaca con aumento dell’output cardiaco, mettendo in atto un sistema compensatorio della riduzione della pressione arteriosa media.
L’età avanzata è un fattore di rischio per la presenza di una disfunzione barocettoriale, il paziente con sincope ha spesso molte comorbidità e una terapia farmacologica complessa; recenti studi hanno evidenziato un potenziale ruolo degli SGLT2 nella riduzione della disfunzione cardiaca autonomica del riflesso barocettoriale.
Stabilire l’eziologia della sincope è la vera sfida sociale che si pone di fronte al clinico; la sincope riflessa e ortostatica (non cardiaca) si distingue dalla cardiaca che ha una mortalità del 30%/anno.
All’interno della sincope riflessa si distinguono la vasovagale, (più frequente nella popolazione giovanile) la situazionale, la sindrome del seno carotideo (dovuta ad un’iperattivazione vagale da stimolazione accidentale dei barocettori carotidei) e le forme atipiche con cause non identificabili.
La sincope ortostatica è dovuta ad una deplezione di volume e un’iniziale disfunzione barocettoriale.
La sincope cardiaca è dovuta a bradi o tachicaritmie o a cardiopatia strutturale, il dato anamnestico è fondamentale, in particolare indagare cosa stava facendo il paziente prima dell’evento, i fattori predisponenti e precipitanti, la dinamica e la durata (durata di minuti esclude la genesi cardiaca) della perdita di coscienza, la presenza di cianosi, cosa è successo alla ripresa di coscienza, la storia farmacologica.
È importante considerare che nella sincope epilettica le contrazioni tonico-cloniche sono simmetriche, asimmetriche nella riflessa. Stratificare il paziente serve a distinguere la sincope ad alto rischio (ECG con blocchi, la sincope in posizione supina o durante esercizio, storia di SCD familiare, insorgenza improvvisa di palpitazioni prima dell’evento) da quella a basso rischio (eziologia vasovagale, situazionale, ortostatica).
Nella sincope non cardiaca, il 98% del totale sono sincopi ipotensive, abbiamo a disposizione diversi test per fare diagnosi, come tilt test e ABPM; nella sincope vasovagale, i giovani presentano più frequentemente eziologia cardioinibitoria con asistolia precoce mentre negli anziani è maggiore la componente vasodepressiva con asistolia tardiva.
Il Dottor Gianfranco Frigo parla della stratificazione del rischio in Pronto Soccorso.
Survey dell’EHRA e studi di coorte prospettici mostrano che c’è un elevato tasso di ospedalizzazione e impiego di risorse per questi pazienti e un’ampia variabilità di gestione nei vari paesi.
Nella valutazione iniziale dove bisogna inquadrare la sincope (riflessa, ipotensione ortostatica e cardiaca) le prime indagini da effettuare sono esame fisico, ECG e misurazione della PAO in orto e clinostatismo; quando la diagnosi è incerta è necessario fare la stratificazione del rischio, per distinguere l’alto rischio che andrà ospedalizzato per un monitoraggio prolungato e sottoposto ad indagini più approfondite (MSC, ecocardiogramma) se disponibile presso una Syncope Unit, e il basso rischio che può essere dimesso.
Esistono diversi score di rischio che sono stati nel tempo identificati, ma la maggior parte non sono validati. Le linee guida dicono che l’uso degli score non è esteso, molti non sono validati per bassa sensibilità, specificità e produttività per cui la classe di raccomandazione e IIb. Non c’è livello di standardizzazione; una recente survey italiana ha mostrato come l’inquadramento diagnostico nella maggior parte dei casi sia subottimale; un aiuto in futuro potrebbe arrivare da uso di AI e machine learning e dalla creazione più capillare delle Syncope Unit.
Il Dottor Francesco Arabia esplora l’appropriatezza delle indagini diagnostiche nel paziente con sincope. La Cochrane neurological field sottolinea come in Pronto Soccorso ci sia un uso inappropriato della TAC encefalo, ecodoppler TSA e RM nel paziente con sincope.
Del totale delle sincopi, il 10% è di origine cardiaca e il 90% non cardiaca; importante è individuare il meccanismo fisiopatologico sottostante, perché questo consente di trovare la terapia: il fenotipo ipotensivo potrà beneficiare di manovre e farmaci, il fenotipo bradicardia di teofillina (<60 aa), cardioneuroablazione o in alcuni casi di pacing.
Nel fenotipo ipotensivo, test diagnostici usati sono la misurazione della pressione nelle 24 h (ABPM), il monitoraggio della pressione con presidi indomabili e tilt test, mentre nel fenotipo bradicardia sono MSC, tilt test e impianto di loop recorder.
I dispositivi indossabili utilizzano vari sensori, validato è il bracciale oscillometrico (whist cuff), che ha comunque il 28% di failure.
L’ABPM è test facilmente disponibile e poco costoso, lo svantaggio è la breve durata del monitoraggio (24 h); identifica la suscettibilità ipotensiva (persistente o costituzionale), che viene diagnostica con un solo valore di PAOS <90 o due misurazioni <100, oppure una caduta >20 mmHg nel post prandiale; il test ha mostrato alta validità scientifica e statistica nella diagnosi in vari lavori. Il futuro è rappresentato da sistemi di monitoraggio multiparametrico con dispositivi indossabili, con aumentata memoria e con algoritmi diagnostici automatici.
La Dottoressa Catia De Rosa parla di corretta esecuzione ed interpretazione del tilt test.
Il tilt test è eseguito per la valutazione della sincope ricorrente senza altre cause evidenti; durante il passaggio alla posizione eretta, vengono monitorati gli eventuali cambi di pressione arteriosa e/o frequenza cardiaca.
Le linee guida lo raccomandano con classe IIa nella sospetta sincope riflessa, ipotensione ortostatica, sindrome tachicardica posturale ortostatica e nella pseudosincope psicogena; tali condizioni devono essere considerate se il tilt test riproduce il sintomo insieme al pattern circolatorio caratteristico.
Dalle LG del 2009 a quelle del 2018 il livello di raccomandazione del test è sceso passando da classe I a IIa come criterio diagnostico e indicazione. Controindicazioni relative sono presenza di ostruzione all’efflusso, stenosi mitralica severa, patologia cerebrovascolare severa e CAD prossimale. Per l’esecuzione è necessario: almeno 3 ore di digiuno prima del test, temperatura ambientale adeguata, presenza di personale esperto; il lettino del tilt testing deve essere inclinabile da 0° a 90° e poter essere riportato velocemente (in 10-15 secondi) alla posizione orizzontale quando necessario e deve avere supporti per i piedi e di cinghie per assicurare il paziente durante l’ortostatismo passivo. Il protocollo maggiormente utilizzato è quello di Westminster (senza farmaci) a cui si può aggiungere il protocollo con TNT o isoproterenolo per aumentare il tasso di positività. Le modalità di esecuzione sono le seguenti: posizionare il pz supino sul tavolo, con fasce ben assicurate per evitare cadute, monitorare la PAO e la FC, la fase di tilt deve essere preceduta da una fase preparatoria durante la quale il paziente rimane in posizione supina per almeno 5-20 minuti, la fase di ortostatismo passivo a 60° della durata di 45 minuti; se il protocollo prevede un potenziamento farmacologico, questo viene effettuato dopo una fase iniziale di circa 20-40 minuti; si interrompe se la PAO <70 mmhg o se il paziente sviene.
Il test è negativo se la PA diastolica aumenta di 10 mmH, la sistolica non si modifica e la FC aumenta di 10-15 b/min.
Nella risposta patologica vasovagale si distinguono 4 fenotipi emodinamici: tipo 1 o sincope mista, la pressione arteriosa si riduce prima della frequenza cardiaca e quest’ultima non scende sotto 40 battiti/min per più di 10 secondi; tipo 2 o sincope cardionibitoria, la frequenza cardiaca scende sotto 40 battiti/min per più di 10 secondi o si verifica un’asistolia superiore a 3 secondi. A seconda che il calo della pressione arteriosa preceda o coincida con la riduzione della frequenza cardiaca, il tipo 2 viene suddiviso rispettivamente nei tipi 2A e 2B; tipo 3 o sincope vasodepressiva, si verifica una riduzione solo della pressione arteriosa, mentre la frequenza cardiaca rimane stabile o subisce solo una lieve riduzione (inferiore al 10% del picco massimo raggiunto durante il test).
La risposta patologica di tipo disautonomico è caratterizzata da lenta e progressiva riduzione della pressione arteriosa fin dall’inizio del test, accompagnata da un lieve aumento della frequenza cardiaca; l’ipotensione via via più grave induce sintomi da ridotta perfusione cerebrale e periferica. In seguito, tramite lo sviluppo di una reazione vasovagale con quadri emodinamici simili a quelli della forma classica.
Nella POTS si verifica entro i primi 10 minuti dall’inizio del tilt testing, un incremento della frequenza cardiaca a valori superiori a 130 battiti/min (oppure un aumento di almeno 30 battiti rispetto ai valori pre-tilt), associato a ipotensione di grado lieve; durante il tilt testing, questi pazienti lamentano in genere solo sintomi di tipo presincopale, sebbene in alcuni casi possa verificarsi una sincope franca.
Nell’incompetenza cronotropa avviene scarso incremento della frequenza cardiaca, inferiore a 5 battiti/min o al 10% rispetto ai valori in clinostatismo; questi pazienti, in genere individui anziani, sono affetti da una forma iniziale di malattia del nodo del seno e potrebbero trarre giovamento dall’impianto di un pacemaker.
Nel tilt test il tasso di positività nella sincope vasovagale è del 92%, 47% nella sincope cardiaca e 13-8% nei soggetti senza sincope.
La Dottoressa Martina Nesti parla di studio elettrofisiologia (SEF) e loop recorder.
Il SEF è utilizzato in meno del 3% dei pazienti con sincope di ndd. Secondo le linee guida del 2018 il SEF è in classe I nei pazienti con pregresso IMA, in classe IIb per bradicardia sinusale asintomatica e palpitazioni, IIa per blocco di branca bifascicolare; se negativo non esclude cause aritmiche della sincope. Nella sincope con bradicardia sinusale asintomatica, il SEF può essere considerato solo se gli altri test sono risultati negativi; l’impianto del PM va considerato nei casi in cui il tempo di recupero del nodo del seno sia prolungato. Nel caso di palpitazioni non documentate di breve durata ad esordio improvviso in assenza di cardiopatia la classe di raccomandazione è IIb.
Nel blocco bifascicolare, l’impianto PM è indicato se HV >70 o BAV II o III dopo stimolazione incrementale o farmacologica; in questi pazienti se c’è anche FE ridotta si procede a impianto diretto.
Nello studio di Palmisano, l’impianto empirico di PM nel paziente anziano con sincope insperata e blocco bifascicolare versus impianto di loop recorder ha ridotto il rischio di sincope ricorrente del 59%.
L’impianto di loop recorder è indicato nei casi di sincopi ricorrenti a causa non chiara in assenza di criteri di alto rischio con alta probabilità di recidiva; se sincope con blocco bifascicolare e SEF negativo, nella sincope riflessa alla fine del processo decisionale e nelle canalopatie/cardiopatie a basso rischio aritmico.
Nei pazienti con Brugada c’è il Bruloop study (Brignole 2024), dove sono stati arruolati 370 pazienti di cui 74% sintomatici sottoposti ad impianto di loop recorder; a tre anni 143 pazienti hanno avuto una recidiva, di questi 22% aritmiche e 77% non aritmiche.
II Sessione – Device, prevenzione, percorsi condivisi
La sessione, moderata dal Dottor Raimondo Calvanese e dal Dottor Biagio Sassone, inizia con la relazione del Dottor Gianfranco Ciaramitaro su tips and tricks nella procedura di impianto dei devices.
La sincope ha molte possibili cause ma una sola fisiopatologia; all’interno delle varie tipologie, il pacing ha un campo d’azione limitato alla sincope cardiaca aritmica e cardioinibitoria.
Nella sincope per blocco atrioventricolare, l’obiettivo è assicurare un’adeguata frequenza cardiaca che sia anche il più fisiologica possibile; prima dell’impianto va valutata la cardiopatia strutturale e l’FE: se FE normale l’indicazione è un convenzionale pacing bicamerale con stimolazione settale, se l’FE è inferiore a 40-45% c’è indicazione a CRT-P o pacing di branca sinistra (la cardiopatia indotta da PM è sottostimata); se il paziente è over 70 con FE normale si può valutare l’impianto di leadless.
Per ciò che riguarda la sincope riflessa le linee guida sono incerte, può risultare efficace in questi contesti solo se la componente cardioinibitoria è prevalente, in pazienti selezionati; se l’origine è la bradicardia i risultati a distanza sono buoni con riduzione delle recidive, scarsi se il meccanismo prevalente è ipotensivo.
Dal punto di vista tecnologico, il semplice pacing bicamerale non rappresenta una risposta completa alla fisiopatologia della sincope riflessa, per cui sono stati creati algoritmi che dovrebbero potenziale l’effetto terapeutico del pacing, che non sono mai stati comparati con quelli convenzionali; tali algoritmi sono il Rate drop, dove ad un brusco calo della FC parte la stimolazione a una FC di 20 battiti maggiore rispetto lower rate programmata, e il CLS (Close Loop Stimulation), che misura l’impedenza intracardiaca durante la sistole nel tessuto e nel sangue che ricopre la punta dell’EC ventricolare destro, aumentando la FC in risposta alla variazione dell’impedenza. Il meccanismo di attivazione non è del tutto chiaro, l’aumento dell’FC controbilancia il calo pretorio; se la sincope è emozionale non è efficace.
Le linee guida danno indicazione all’impianto nel paziente >40 anni con sincope ricorrente, severa e inspiegata che abbia pause asistoliche >2 secondi sintomatiche documentate o asintomatiche >6 secondi, sindrome del seno carotideo cardioinibitoria o tilt test positivo per asistolia.
La Dottoressa Maria Letizia Cavarra relaziona sulla prevenzione della sincope vasovasale.
Le linee guida raccomandano in classe I l’educazione e la modifica dello stile di vita per la prevenzione della sincope vasovagale, la modifica o la sospensione di farmaci ipotensivi e le manovre di contropressione in classe IIa, la terapia farmacologica in classe IIb; c’è differenza con le LG americane che mettono i farmaci in classe IIa e l’aumento del sale e di fluidi in classe IIb, mentre in Europa il sale non è raccomandato.
Le manovre di contropressione che sfruttano la pompa muscolare contrastando lo stress ortostatico, il sangue viene spinto in alto durante la contrazione muscolare, hanno dimostrato di aumentare la pressione nel paziente sincopale sia in laboratorio che nella vita quotidiana in una metanalisi del 2022 (analisi di 34 studi), anche se l’impatto nella vita reale è difficilmente valutabile.
I farmaci più studiati in questo setting sono la midodrina e il fludrocortisone, valutati in metanalisi che hanno mostrato nel caso della midodrina (L.Y. Leo Europace 2022) la riduzione del 63% del rischio di evento nel tilt test e dello studio POST 2 nel caso del fudrocortisone che ha dimostrato la riduzione di eventi in pazienti con due sincopi spontanee alla massima dose tollerata ma senza significatività statistica. Alcuni studi sono stati condotti anche sulla paroxetina che ha dato buoni risultati con il 17% degli eventi nel gruppo trattato vs 52% nel gruppo non trattato. Altro farmaco studiato è l’Atomoxetina (Sheldon, Europace 2019) che ha mostrato di prevenire la sincope indotta dal tilt test ma con aumento delle presincopi.
In conclusione, nei pazienti con prodromi ed episodi non frequenti, l’educazione, il riconoscimento dei prodromi e l’applicazione delle manovre di contropressione sono efficaci nella prevenzione.
Il Dottor Antonio Di Monaco parla dell’indicazione a pace-maker o cardioneuromodulazione nella prevenzione della sincope cardioinibitoria.
L’indicazione al pacing nella sincope cardioinibitoria deriva da due trial il BioSync e il SUP 2.
La neuromodulazione è un tecnica di modulazione del sistema nervoso autonomo; il sistema nervoso centrale tramite il nervo vago stimola in sede epicardica dove sono situati i gangli; viene applicata radiofrequenza fino in sede epicardica riducendo lo stimolo parasimpatico. Inizialmente venivano ablati tutti i gangli, mentre ora ci si concentra solo sul parasettale atriale superiore che regola l’attività del NSA e il parasettale inferiore che controlla il NAV. La prima pubblicazione in merito risale al 2005 (Pachon), dove nei pazienti trattati si è mostrato una riduzione degli episodi al tilt test dopo neuromodulazione; diversi articoli successivi valutano anche le sincopi vasovagali.
Lo studio ELEGANCE, multicentrico, ha valutato l’impatto dell’età nell’outcome della cardioneuroablazione nella sincope riflessa; nei pazienti <40 anni c’è stata una riduzione degli eventi, nel gruppo 40-60 lo stesso mentre nel gruppo over 60 l’aumento della FC non era significativo e il beneficio era ridotto, indicando che in tale gruppo la procedura è da considerare solo se il sistema di conduzione è normale.
Dal punto di vista procedurale, lo studio ROMAN2 ha valutato una coorte di 40 pazienti divisi in due gruppi, 20 sottoposti ad ablazione in atrio sinistro e 20 in atrio destro, concludendo che l’approccio in atrio sinistro è migliore mentre l’approccio biatriale è ancora discusso; è necessaria la selezione del paziente (sincope cardioinibioria, non ci sono dati sulla VV mista) la scelta del target ablativo (attualmente l’approccio non è standardizzato), la verifica dell’efficacia dell’ablazione a lungo termine (rischio di reinnervazione) e dimostrare l’efficacia della terapia (servono dati di confronto a lungo termine per valutare l’effetto dello sbilanciamento dell’attività parasimpatica rispetto al sistema simpatico).
Il Dottor Gennaro Vitulano espone le conclusioni del corso definendo il percorso diagnostico terapeutico del paziente con sincope.
Nella valutazione iniziale bisogna porsi 4 domande fondamentali: c’è stata una TLOC? La TLOC è stata una sincope? Qual è il rischio? La diagnosi è possibile? Nel caso di sospetta sincope, va fatto l’esame fisico, ECG, misurazione della PAO in clino e ortognatismo ed effettuata una stratificazione del rischio di eventi a breve termine, basso rischio ma con sincopi ricorrenti che richiedono esami e trattamento, basso rischio con singolo o rari eventi che non richiede ulteriore valutazione. La definizione del rischio aiuta a decidere se ospedalizzare il paziente, monitorarlo e sottoporlo a test diagnostici ulteriori; il massaggio del seno carotide è indicato nei pazienti >40 anni con sincope a origine incerta compatibile con meccanismo riflesso, è positivo se riproduce il sintomo con bradicardia o ipotensione, senza sintomo si parla di suscettibilità.
Il tilt test è indicato nei pazienti con sospetta sincope riflessa, la risposta vasodepressiva identifica una suscettibilità all’ipotensione ma non esclude la sincope aritmica.
L’ILR è indicato nelle sincopi ricorrenti dopo aver escluso la sincope cardiaca.
Il SEF è raccomandato in classe I nei pazienti con pregresso IMA e sincope inspiegata dopo gli altri test, nel blocco bifascicolare dopo le altre valutazioni negative (IIa), nella sincope con bradicardia asintomatica dopo i test negativi (IIb), nelle palpitazioni improvvise (IIb).
Il trattamento è mediato dalla comprensione dell’eziologia e del meccanismo fisiopatologico; si distinguerà quindi la riflessa/ipotensione ortostatica, la cardiaca e la non spiegata con alto rischio aritmico.
La sincope riflessa beneficia delle manovre di contropressione, educazione e modifica dello stile di vita con eliminazione dei triggers; in alcuni casi selezionati vi è un trattamento farmacologico specifico per queste forme, in una quota non trascurabile di pazienti con sincopi cardioinibitorie vi è indicazione al pacing.
Gli ultimi studi sulla sincope riflessa (Spain e Byosinc) hanno sdoganato un dogma per indicazione al pacing nelle sincopi riflesse severe: l’asistolia in qualsiasi modo venga diagnosticata o spontaneamente o indotta con MSC o tilt test.
La sincope cardiogena è solo un sintomo della patologia aritmica o strutturale sottostante che va trattata per risolvere la sincope.

 

Catia De Rosa ANMCO
Catia De Rosa